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gennaio: giorno della memoria che andrebbe celebrato ogni minuto del nostro tempo per non dimenticare lo sterminio della
Shoah, fardello indelebile che ha segnato la vergogna del mondo. Morti
inspiegabili, infanzie rubate per sempre, ricordi che non si dimenticano (e che
non si devono dimenticare). In questa macelleria etnica qualcuno si è potuto
salvare grazie al coraggio di uomini qualunque che si sono rivelati veri e propri
eroi.
Tra
le tante testimonianze di coloro che sono riusciti a sottrarsi al massacro
dell’Olocausto ho scelto quella che ha per protagonista un
segretario comunale. Il buon agire di questo storico funzionario della
pubblica amministrazione (purtroppo sconosciuto ai più), ha permesso ad un
gruppo di ebrei di ottenere il via libera per imboccare la strada del
sole, quella che per tanti altri è stata solo agognata con lo sguardo proteso tra i fili spinati.
Le
carte d'identità sono state lo strumento, la base, il perno della nostra
storia. Non so dove mio padre conobbe il segretario del piccolo comune,
vicino a Cattolica. Forse andò a chiedere una informazione, forse per avere le
carte annonarie. L'impiegato capì che quel signore aveva dei pensieri e un
cognome imbarazzante, schedato in chissà quali elenchi. Gli chiese se il
problema l'aveva solo lui e mio padre gli spiegò che il problema era grande
anche come dimensione: sei noi Rimini, quattro i Finzi più la nonna Finzi, la
zia Maria Cantoni vedova d'Angeli e poi il direttore della ditta di mio padre,
Guido Vivanti.
Sono
brutti cognomi, disse il segretario comunale. E' vero, disse il signor
Rimini. Torni tra due giorni - disse il segretario - ci saranno quattordici
carte d'identità perfette, una di scorta. Voi siete tredici, una di più perché
potreste fare qualche errore nello scrivere i nomi. Mio padre andò e tornò con
una busta gialla intestata "Comune di..." con le quattordici carte
bianche ma con la firma del podestà e del segretario comunale e il timbro a
secco del comune. La sera i miei chiusero bene le porte.
Guido
Vivanti aveva una bella grafia nitida e rotonda; era abituato a scrivere le
fatture a mano nel nostro magazzino. Aveva una penna stilografica madreperlacea
di bachelite azzurrina. Compilò le carte di identità sotto la lampada che
scendeva sul tavolo e aveva il contrappeso di porcellana bianca. Scriveva
lentamente con grande attenzione.
I
cognomi subivano alterazioni impercettibili ma purificatorie. Tutti i Rimini
divennero Ruini, tutti i Finzi divennero Franzi. La zia Cantoni divenne Carloni
e lui, Vivanti, con un moto d'orgoglio si trasformò in Vivaldi.
Le
lievi metamorfosi dovevano servire per evitare eventuali lapsus o per sperare
nella disattenzione di chi ci avesse chiesto i documenti avendoci riconosciuti.
Una ipotesi macchinosa ma astrattamente possibile. Con quei documenti i Ruini e
i Franzi andarono a Mondaino. Dove poi Vivaldi li raggiunse un mese dopo.
La
nonna Franzi e la zia Carloni vennero sistemate in un convento di suore a
Morciano, dove poi sotto i bombardamenti pregavano in ebraico... e le suore in
latino. Mio padre chiese timidamente al segretario comunale cosa poteva
fare per lui e il segretario gli rispose che doveva fare buon viaggio, con i
suoi figli e i suoi parenti e usare bene le carte di identità che gli aveva
dato... perfette, aggiunse, così mio padre capì che la firma del podestà era
falsa.
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