Quanto amore che si perde

 



C'è qualcosa che non so spiegare
in questo giorno di nostalgia

Quanto amore che si perde
per cercarsi veramente
nelle notti quando il buio scende
e nessuno più si sente

C'è davanti a me un mare immenso
che nel silenzio parla per me
e un'onda che va ad infrangersi su quello scoglio
io chiudo gli occhi pensando che

quanto amore che si perde
per tuffarsi nel presente
sulle strade in mezzo a tanta gente
che si affanna inutilmente

C'è qualcosa che vorrei fermare
ma è un temporale che esplode in me

Quanto amore che si perde
per volersi fino in fondo
Aspettare sempre un nuovo giorno
con la testa dentro a un sogno


 

(Tratto da Le parole del mio tempo”)

 

(Puoi ascoltare il brano anche da qui: Le mie canzoni sono differenti


L’iniziazione

 


Ci sono cose che quando iniziano non finiscono mai e col passare del tempo peggiorano fino a divenire un fardello che ci portiamo dentro di noi fino alla fine dei nostri giorni. Sono il più delle volte comportamenti negativi, azioni novizie che diventano abitudini, vizi o inclinazioni da cui non riusciamo più a liberarcene.

Provare a capire l’origine di questa iniziazione è compito arduo che nemmeno gli psicologi, gli strizzacervelli o altri esperti del settore ci riescono. Questi esploratori dei meandri della mente umana riescono a mala pena ad imbandire una diagnosi che sia quanto meno plausibile. Rendere logico, lineare, costruttivo quello che sul piano comportamentale è illogico, disarticolato e distruttivo è come comporre un mosaico con l’ultima tessera che non si combacia con le altre, col risultato che tutto il disegno precostituito viene giù come un castello di sabbia.

A parte le iniziazioni più comuni, dalla prima rapina in banca fino a divenire la mente diabolica di un gruppo eversivo, dalla prostituzione indotta o voluta fino alla liberalizzazione sessuale che diventa devianza dall’amore e rispetto del proprio corpo, quello che preoccupa maggiormente sul piano dell’agire umano è la perdita di discernimento tra il bene e il male, tra le cose giuste e sbagliate.

Qui l’iniziazione è come una mano che s’insinua nella mente e nell’anima muovendo gli ingranaggi dei sentimenti nel senso opposto da quello voluto o desiderato. Se non si ha l’indugio, il ripensamento all’ultimo istante prima di precipitare nel baratro, le conseguenze sono per lo più irreparabili ed è un viaggio nel niente senza ritorno.

Quando ci s’imbatte in persone che hanno vissuto o vivono un’esperienza del genere, ogni tentativo di dissuaderle o imboccarle sulla retta via è un’impresa già votata al fallimento. Non c’è nulla da fare, sono persone perdute che non si ritrovano più e non c’è un filo d’amore che possono darti, non c’è commozione nei loro occhi che quando l’incroci è come trovarti davanti al diavolo.

Prevenire l’iniziazione, quel momento topico oltre il quale si apre il buio più cupo, si può e si deve per un mondo migliore fatto di vera e sana umanità.

L’iniziazione del bene che sconfigge il male è la vera scommessa da fare e da vincere se si vuole ambire ad una vita meno travagliata, involuta e imperfetta.

 

 

Le voci di dentro

 


Tra i capolavori di Eduardo De Filippo, “Le voci di dentro” è uno dei più riusciti sotto il profilo dell’impegno sociale del grande drammaturgo partenopeo di portare sul palcoscenico l’analisi minuziosa dell’agire umano traendola fedelmente dalle manifestazioni della vita reale.

Una trasposizione che il grande Maestro della nostra letteratura volge a profitto con un’operazione chirurgica tesa a fotografare le caratterizzazioni tipiche dei comportamenti individuali rispetto ad eventi della vita comune, tali da suscitare nello spettatore una deduzione logica del tutto spontanea rispetto alla propria (o indiretta) esperienza.

Spesso ci serviamo delle fotografie per ricordare momenti più o meno indimenticabili del nostro passato, quasi a volerli immortalare per evitare vuoti di memoria. Nell’opera di Eduardo è la vita stessa che si eleva a ricordo e a rappresentazione visiva di ciò che siamo senza che lo scorrere del tempo possa mai cancellare.

La commedia, scritta nel 1948, e riproposta in diverse rappresentazioni teatrali e televisive (di cui si ricorda la messa in onda del 1978 con una magistrale Pupella Maggio fra gli interpreti), è un ritratto fedele della nostra coscienza nella sua massima rappresentazione simbolica rispetto ad eventi più o meno accaduti. E poco importa se il protagonista Alberto Saporito abbia creduto nel sogno che un certo delitto sia stato commesso dai vicini di casa. Qui sono i comportamenti interiori ad essere reali ed inconfutabili, a dispetto delle prove giudiziarie che l’intervento della magistratura dimostrerà essere del tutto inconsistenti.

 Si può essere assassini senza aver commesso delitto alcuno, perché nelle voci di dentro è il simbolismo ad agire e a far tirare fuori dai protagonisti della storia la loro vera indole. Ne è una riprova l’atteggiamento dei vicini che vedendosi accusati di aver ucciso Aniello Amitrano, amico di Saporito, faranno di tutto per scagionarsi accusandosi a vicenda, progettando persino l’assassinio dello stesso protagonista pur di liberarsi dell’onta di un omicidio mai (realmente) commesso.

Pregevole il j’accuse di Saporito nel finale della commedia:

 Mo' volete sapere perché siete assassini? E che v' 'o dico a ffa'? Che parlo a ffa'? Chisto, mo', è 'o fatto 'e zi' Nicola... Parlo inutilmente? In mezzo a voi, forse, ci sono anch'io, e non me ne rendo conto. Avete sospettato l'uno dell'altro: 'o marito d' 'a mugliera, 'a mugliera d' 'o marito... 'a zia d' 'o nipote... 'a sora d' 'o frate... Io vi ho accusati e non vi siete ribellati, eppure eravate innocenti tutti quanti... Lo avete creduto possibile. Un assassinio lo avete messo nelle cose normali di tutti i giorni... il delitto lo avete messo nel bilancio di famiglia! La stima, don Pasqua', la stima reciproca che ci mette a posto con la nostra coscienza, che ci appacia con noi stessi, l'abbiamo uccisa... E vi sembra un assassinio da niente? Senza la stima si può arrivare al delitto. E ci stavamo arrivando ..

È la perdita della stima il vero delitto commesso. Una componente della vita interiore che nessun ordinamento giuridico considera ma che ne “Le voci di dentro” assurge a macchia indelebile della nostra coscienza. Ed è una delle più tangibili e implacabili delle condanne.

 

Giardino d'infanzia


Dall'album "Malinconico digiuno" del 1981, questa canzone, dalle forti reminiscenze leopardiane, racconta la storia di un'infanzia rubata sicché il ricordo che ne deriva è il rimpianto di una giovinezza idealizzata ma mai vissuta veramente. Musicalmente orecchiabile nonostante il testo impegnato, Giardino d'infanzia si colloca a pieno titolo tra i pilastri fondanti delle parole del mio tempo.

GIARDINO D'INFANZIA
(V. Borrelli-S. Maniscalco-V.Borrelli)



Nel giardino d'infanzia nascondevo il peccato
le bugie con mia madre e con mio padre invecchiato
Dopo un po’ mi stendevo sopra il suolo bagnato
e guardavo il mio cielo farsi sempre lontano
Qualche volta per sbaglio arrossivo nel buio
addormentandomi su un letto freddo e di nessuno

Nel giardino d'infanzia c'era la fata turchina
con il corpo sottile e con la faccia ruffiana
Mi diceva perché sognavo altri orizzonti
se la vita era quella alle spalle dei monti
Sotto alberi di ulivi i miei occhi erano vivi
ascoltavo il mio tempo e le voci del vento

Nel giardino d'infanzia la mia faccia era pulita
e facevo all'amore per cambiare un po’ vita
Io stringevo tra le mani due rami vecchi e spinosi
e baciavo il mio tronco con pensieri scabrosi
Vita mia dove sei? Perché fuggi da me?
Ho bisogno di te sempre e solo di te

Quante volte ho rubato l'anima alla poesia
quante volte ho cercato di andarmene via
Dietro il niente restavo e in silenzio morivo

Nel giardino d'infanzia nei discorsi del nonno
c'era la verità di leggende e di imbrogli
Io fumavo il mio vento mentre mi disprezzavo
perché avevo accettato il mio destino segnato
Vita mia dove sei? Perché fuggi da me?
Ho bisogno di te sempre e solo di te

La mia vita moriva prima di incominciare
le mie idee erano ombre e volavano sole
Dietro il niente restavo e in silenzio morivo

Nel giardino d'infanzia quante cose ho lasciato!
La mia terra il mio sangue
il mio giorno rinunciato
Dietro il niente restavo
e in silenzio morivo

(Tratto da Le parole del mio tempo”)