LA NOTTE DEI RICORDI

L’insonnia, si sa, è una brutta bestia. Spesso figlia dello stress e di azioni quotidiane compiute a velocità supersonica, è divenuta nell’era moderna uno dei principali effetti del trasbordo emotivo, dell’esaltazione dei sensi e dell’ansia incontrollata.

Sono tante le persone che popolano la notte. Mentre le luci della città si spengono, ve ne sono altre che si accendono quasi ad intermittenza nelle case e in altri luoghi di ritrovo, come un vecchio presepe che ci pare di osservare dalle finestre delle nostre stanze o semplicemente girovagando per strade deserte e lastricate.

Ma la notte è anche una fucina di idee per scrittori e sognatori, mestieranti e artisti di strada intenti a scrivere sui muri i pensieri più disparati e reconditi. Complice il silenzio, la notte genera ricordi che ti fanno andare indietro nel tempo.

Così è nata “La notte dei ricordi”, una delle mie canzoni più suggestive, scritta nel 1982, che è anche il testo di apertura de “Le parole del mio tempo”.  Qui ad essere insonne è un ventenne alle prese con i ricordi della sua perduta infanzia …

La notte dei ricordi passava su di me
e lenti erano i giorni mentre aspettavo te
Giravo per la stanza cadevo nell'assenza
mio padre se ne andava con la sua incoerenza

Avevo un po’ di freddo quando tornavo a letto
ma il vento non soffiava … il vento non soffiava …
Aprivo la finestra e fuori c'era festa
bambini che correvano le madri che parlavano

Adesso ci penso e penso sempre a te
Peccato! Ti ho amato ma non ho amato me
adesso so chi sei
adesso so perché...

La notte dei ricordi non la ricordo più
e lenti questi giorni non li capisco più
L'autunno sonnecchiava e di pioggia si bagnava
la mia coscienza nuda aveva già paura


Adesso i miei occhi si perdono nei tuoi
sorpreso mi domando se ancora tu mi vuoi
se esiste ancora un poi
per me per te per noi

Adesso ci penso e penso sempre a te
Peccato! Ti ho amato ma non ho amato me
E mi commuovo un po’
poi rido e non lo so...


(BLOG RETRO 2015)

L’APPARTAMENTO

Carino, luminoso e superaccessoriato. Riscaldamento autonomo con telecomando, lavatrice auto-programmabile, video citofono e impianto satellitare. Cosa vuoi di più? E poi è tutto così accogliente, confortevole, non devi nemmeno faticare tanto per tenerlo in ordine. C’è anche una bella vista panoramica, vedrai che ti troverai bene.”

Sono sopraffatto dalle parole di Annalisa che mi mostra con la verve del più consumato agente immobiliare l’appartamento in cui dovrò andare ad abitare. Rimango in silenzio con la faccia cupa e perplessa, come un bambino al primo giorno di scuola che si rifiuta di entrare in classe.

I cambiamenti non sono mai stati il mio forte. Sarà forse per pigrizia mentale o per un’atavica riluttanza per le cose nuove che ho sempre preferito pianificare tutto della mia vita, adagiandomi al mio modello organizzativo come un perfetto ed efficiente ragioniere Mi sono “abituato” alle mie abitudini: casa-lavoro-casa, senza alcuna deviazione del percorso. Mi sono abituato al silenzio, ai miei silenzi.

Annalisa sembra leggermi nel pensiero e mi porta a visitare la stanza da bagno tenendomi sottobraccio quasi per timore che io possa scappare.

Guarda come è spazioso. C’è anche la vasca per l’idromassaggio.” Mi strizza l’occhio abbozzando un sorriso malizioso. “Sei un bell’uomo, potrai portarci tutte le donne che vorrai.

La mia accompagnatrice continua nella sua opera di persuasione prospettandomi una vita piena di gioia e di sesso sfrenato. Non l’ascolto più. Vedo la sua bocca continuare a muoversi emettendo tanti bla bla bla ed io mi assento completamente inseguendo un pensiero d’infanzia.

Eccomi bambino con mia madre che mi mostra il regalo che avevo sempre sognato: una bicicletta da corsa “superaccessoriata” proprio come l’appartamento che sto visitando.

Ti piace? C’è proprio tutto: due specchietti retrovisori, il sellino di vera pelle, le luci di direzione, ben cinque marce e il vano per la bottiglietta dell’acqua. Con le lunghe corse che farai ti verrà sicuramente sete. Anzi, sai una cosa? Invece dell’acqua ti riempirò la bottiglietta con il tuo succo di frutta preferito.”

Come Annalisa, mia madre continuava a parlarmi, ad accarezzarmi il viso con il suo fare amorevole cercando di rendermi partecipe di una gioia che soltanto dopo scoprii avere ben altro fine: tenermi lontano da casa per alcune ore mentre riceveva i suoi amanti in camera da letto.

Gianni, ma mi stai ascoltando?” La voce di Annalisa mi riporta alla realtà e non so se è più piacevole di quella che ho appena ricordato.

Ora devo proprio andare. A minuti verrà Franco per il contratto. Vedrai, sarà molto vantaggioso per te.” Mi schiocca un bacio sulla guancia, prende la borsa e scappa via in tutta fretta.

Dalla finestra la vedo uscire dal portone, attraversare la strada e alzare lo sguardo verso di me che la sto osservando tra le tende. Mia moglie mi saluta con la mano regalandomi questa volta solo un sorriso spento e fugace prima di mescolarsi tra la gente.

So che non tornerà più.


L’APPARTAMENTO

Racconto breve scritto da

Vittoriano Borrelli


Ogni riferimento a fatti o personaggi della realtà è puramente casuale.

(BLOG RETRO 2015)

FERRAGOSTO

Nel giorno più importante e atteso dell’estate mi viene in mente una simpatica poesia di Gianni Rodari, raffinato scrittore di letteratura per l’infanzia vissuto nel secolo scorso (1920-1980).

La poesia, che porta lo stesso nome di questa giornata, è dedicata ai bambini rimasti in città a causa delle ristrettezze economiche delle proprie famiglie. E quest’anno, a giudicare dai dati preoccupanti della crisi economica, di fanciulli a digiuno di vacanze ce ne sono davvero tanti.

Si dice che l’immaginazione è più fervida nei periodi di inedia e di recessione economica. Dove la realtà non allieta, la fantasia soccorre. Lo sapeva bene Rodari che quando pubblicò questa poesia nel 1960 all'interno della raccolta “Filastrocche in cielo e in terra”, raccontò sapientemente un aspetto della propria esperienza giovanile negli anni duri della guerra contrassegnati dalla fame e dalla miseria.

Mi piace pensare che l’auspicio di Rodari conclamato nei versi “Quando divento Presidente faccio un decreto a tutta la gente”, possa un giorno realizzarsi per mano di “uomini di buona volontà”. Perché se la felicità è un diritto di tutti, lo è ancor di più per i bambini del mondo. Vederli sorridere è la gioia più grande che si possa provare in tutti i giorni dell’anno. Ferragosto compreso.


Filastrocca vola e va
dal bambino rimasto in città.

Chi va al mare ha vita serena
e fa i castelli con la rena,
chi va ai monti fa le scalate
e prende la doccia alle cascate…

E chi quattrini non ne ha?
Solo, solo resta in città:
si sdrai al sole sul marciapiede,
se non c’è un vigile che lo vede,
e i suoi battelli sottomarini
fanno vela nei tombini.

Quando divento Presidente
faccio un decreto a tutta la gente;
“Ordinanza numero uno:
in città non resta nessuno;
ordinanza che viene poi,
tutti al mare, paghiamo noi,
inoltre le Alpi e gli Appennini
sono donati a tutti i bambini.

Chi non rispetta il decretato
va in prigione difilato”.

(G. RODARI)

(BLOG RETRO 2014)

LA LUCE OLTRE



Ninuccia cara, quest’anno il giro al cimitero sarà più lungo.” Ascoltavo le parole di zia Rosa rivolte a mia madre mentre disegnavo sui vetri appannati della finestra della cucina un sole grande e sorridente, che in cuor mio speravo spuntasse davvero dal cielo nuvoloso di quella mattina.

Cosa voleva dire la zia?”, chiesi più tardi alla mamma.
Per il 1 novembre dovremo far visita a un altro parente che ci ha lasciati.”

Ecco il giro lungo, pensai tra me. La cosa però non mi turbò. Come ogni anno ero impaziente di curiosare tra le bancarelle che sarebbero state allestite lungo il viale di casa mia. Già pregustavo tutte quelle bontà che mi facevano luccicare gli occhi, come i pan dei morti, dolci tipici del periodo ricoperti di tanto zucchero. Mia madre me ne comprava sempre un sacchetto insieme a una buona scorta di caramelle e di torrone alle mandorle.

Quella mattina mi recai al cimitero con la famiglia al completo: papà, mamma e sorella maggiore. All'ingresso c’erano altri parenti, zii e cugini, che ci aspettavano con fiorilumini e qualche fazzoletto pronto per l’uso. Nel cielo nuvole scure si addensavano massicce preparando l’inizio della prima pioggia novembrina.

Cominciammo il giro. La tomba della nonna non era in buono stato; la foto spostata all'angolo della lapide, rimasugli di foglie ingiallite sparse qua e là e il vasetto delle orchidee con poca acqua. Ma le donne della “truppa” non si persero d’animo e passarono subito all'azione. C’era chi puliva con uno straccetto ogni parte del sepolcro, chi si recava al lavatoio per il ricambio dell’acqua, chi si occupava dei nuovi fiori da sistemare e chi invece accomodava gli oggetti nella giusta posizione.

Dovrò parlare con il personale del cimitero”, si lamentò papà. “Avevo raccomandato di dare ogni tanto un’occhiata alla tomba. Vedo che non mi hanno ascoltato.”
Tu prova ad aumentare la mancia”, propose mia madre. “Forse non sono contenti di quello che gli diamo”.

Andammo da Cesira.

Era una bambina morta vent’anni prima per un male incurabile. Si diceva che facesse miracoli e che le sue spoglie fossero ancora intatte anche dopo l’ultima esumazione. Aveva al suo seguito un gran numero di visitatori a lei devoti per le guarigioni più difficili e insperate.

La tomba era quasi tutta ricoperta di fiori che a malapena si notava la foto, piuttosto sbiadita, di una fanciulla dal volto sorridente con tanti riccioli biondi. I miei si allontanarono per far visita a zio Luciano, l’ultimo della lista dei “più”, ed io rimasi solo con mia sorella. Tirai dalla tasca il sacchetto dei pan dei morti e depositai un biscotto sulla tomba di Cesira. Mia sorella annuì con un sorriso accarezzandomi il capo.

Ci avviammo all'uscita del cimitero dove trovammo i miei e gli altri parenti che si scambiavano gli ultimi saluti. Ad un tratto sbucò da quella piccola folla una bambina bellissima, simile a Cesira, che si avvicinò a me schioccandomi un bacio sulla guancia e sussurrandomi all'orecchio: “Grazie del dolcetto”. Chiusi istintivamente gli occhi ma quando li riaprii la bambina non c’era più. Mi girai verso l’ingresso del cimitero e una luce oltre il viale dei cipressi apparve come un arcobaleno dopo la tempesta.

Riccardo, sbrigati a salire!”, gridò mio padre mentre apriva lo sportello della macchina.
Mi accomodai sul sedile posteriore con mia sorella che mi aiutava a sistemare il berretto e la sciarpa. Sui vetri appannati del finestrino disegnai di nuovo il mio sole sorridente, questa volta illuminato di quella “luce oltre” che mi accompagnò fino al ritorno a casa.


LA LUCE OLTRE

Racconto breve
di
Vittoriano Borrelli


(BLOG RETRO 2014)

LA MIA DONNA NON ESISTE

Da qualche mese mia moglie Lavinia esce tutte le mattine alle otto in punto. Nulla di strano se dovesse andare al lavoro o portare i bambini a scuola. Il fatto è che non abbiamo figli e l’unica occupazione preferita della mia consorte è sbrigare le faccende domestiche, cucinare o farsi trovare pronta per andare da qualche parte.

Quella della casalinga è sempre stato il sogno di Lavinia: “Voglio occuparmi di te e della casa”, diceva da fidanzati, “quando ci sposeremo sarò completamente a tua disposizione, giorno e notte” prometteva pronunciando le ultime paroline con un sorriso ammiccante. Insomma, due cuori e una capanna secondo il disegno di Lavinia, donna minuta e un po’ casual ma con le idee ben chiare.

E invece, come dicevo, da qualche tempo Lavinia ha cominciato a dare segni di frustrazione del suo essere casalinga e moglie a trecentosessanta gradi. Tutto è iniziato con comportamenti più o meno espliciti: dalle attività culinarie scadenti e frettolose, come la pasta al burro o il riso scondito al posto di gustosi manicaretti, per passare alle altre necessità quotidiane come i vestiti da portare in lavanderia anziché curarli personalmente o alle pulizie della casa, un tempo accurate, e adesso discontinue e superficiali.

Voglio uscire, fare qualcos'altro,” ha cominciato a protestare, “questa casa mi sta stretta”.

E così mia moglie ha preso a stare fuori tutto il giorno non per recarsi al lavoro ma facendo “finta" di andarci. “Di trovarmi un’occupazione non se ne parla, non c’è niente che mi piace. Facciamo così: ogni mattina esco come fai te ma con una differenza: tu al lavoro ci vai davvero, io invece farò finta di andarci, così m’illudo di tenermi impegnata.”

L’ho assecondata per il grande amore che ho per lei, ma da quel momento … non l’ho vista più!
Si può dire che il ricordo quotidiano che ho di mia moglie è tutto racchiuso in un rito monotono e cadenzato della mattina presto che a volte mi fa pensare di essermelo soltanto immaginato.
Ecco che la vedo svegliarsi alla sei in punto, andare in bagno, farsi la doccia, passare in cucina per preparare il caffè e tornare subito dopo in camera da letto per vestirsi e truccarsi con particolare premura come se temesse sempre di fare tardi. 

Cos'è  tutta questa fretta? Non devi mica andare al lavoro!
Ho il bus che mi parte alle 8:10, e poi lo sai.
Cosa?
Lo sai che mi piace farlo anche se solo per finta. Ma c’è anche un altro motivo.
Quale?
Osservare le persone, le loro facce cupe e assonnate. Mi piace leggere nei loro occhi tutta la frustrazione per un lavoro che magari odiano e che invece sono costretti a farlo.
E hai bisogno di tutta questa messinscena? Basta che ti affacci alla finestra, la fermata del bus è proprio sotto casa. La gente la puoi osservare comodamente anche da qui.
Spiritoso!

Questa è più o meno la discussione che abbiamo quasi tutte le mattine. Ma non c’è verso per convincere Lavinia a ritornare ad essere quella di un tempo: una casalinga e una moglie perfetta. Anzi, a furia di praticare questo rito insolito ed inspiegabile è diventata anche lei una pendolare a tutti gli effetti: stesso sguardo vuoto e malinconico come se davvero fosse alle prese con un lavoro che non ama. A volte passando in macchina alla fermata dell’autobus la vedo confondersi con il solito gruppetto di lavoratori che quasi non la riconosco più. Come un camaleonte mimetizzatosi in mezzo ad una folla anonima da divenire una macchia umana fra le tante, senza volto e senza nome.

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Ho deciso di seguire Lavinia come un detective dell’ultima ora. La scusa di volersi sentire utile simulando la parte della lavoratrice impegnata non mi ha mai convinto. Oltretutto mia moglie è sempre stata vaga nel raccontarmi il resoconto della giornata, limitandosi a ragguagliarmi su generiche puntate ai negozi del centro o ai musei.

Da quando in qua ti piace l’arte?
“Non mi è venuta la passione per i quadri. Lo faccio per i custodi.
I custodi?
Quelli che vigilano nelle sale di esposizione. Sono così spenti e annoiati!”
Già, la frustrazione! Dì un po’, non sei mica diventata comunista?

Silenzio. Reazione tipica di Lavinia quando si sente alle strette. Non ho voluto indagare oltre e mi sono concentrato sul mio piano di “inseguimento” nei confronti di una donna divenuta improvvisamente misteriosa e sfuggente.

Una di quelle mattine mi sono svegliato prima di lei con la scusa di dover andare fuori città. Sono uscito alle 7:30 e ho postato la macchina dietro la chioma rigogliosa di un salice piangente, poco distante dalla fermata del bus. Alle otto in punto ecco Lavinia uscire dal portone e sistemarsi sotto la pensilina con la solita aria distratta e assente. L’autobus è arrivato puntualmente per la gioia dell’azienda dei trasporti ma nell'indifferenza generale del gruppo di pendolari che si è riversato silenzioso e disciplinato al portello per la salita. Ho iniziato l’inseguimento tenendomi a debita distanza dal mezzo pubblico ripetendo quasi meccanicamente quello che avevo visto fare in tanti films polizieschi.

L’aria pungente dell’autunno novembrino mi ha procurato un brivido nelle spalle, uno scossone che mi ha fatto dubitare di ciò che stavo facendo. In fondo ciascuno di noi ha un lato nascosto della propria vita che vorrebbe tenere al riparo da qualsiasi interferenza esterna. E’ la  c.d. teoria degli spazi personali a cui nessuno dovrebbe accedere senza il consenso di chi li custodisce. Ho scacciato questo pensiero come una mosca al naso convinto del fatto che il mio ruolo di marito esigesse quanto meno una spiegazione plausibile sulle sortite mattutine di Lavinia.

L’autobus è arrivato a Piazza Mercato fermandosi alla pensilina che fronteggia un negozio di erboristeria. Ho visto Lavinia scendere in tutta fretta e imboccare subito dopo una stradina laterale. Ho fatto appena in tempo a vedere mia moglie entrare in uno stabile e ho posteggiato la macchina sulle strisce gialle riservate ai disabili. “Mi beccherò una multa, ma fa niente.”

Mi sono precipitato in quella stradina fermandomi davanti al portone da cui pensavo che Lavinia fosse entrata poco prima. Il portone è di quelli antichi con la scritta in mezzo all'arcata “Partito comunista italiano”. Mentre rimugino sulle targhette del citofono per decidere quale pulsante pigiare, vedo sbucare a tutta velocità una BMW scura che per poco non m’investe. D’istinto mi aggrappo alla maniglia del portone e mi volto verso il lunotto dell’auto: qui incrocio lo sguardo di Lavinia che dall'abitacolo sembra volermi dire qualcosa, forse una richiesta di aiuto.

L’hanno rapita!’, penso tra me. Lo squillo del cellulare mi ha fatto uscire dal fermo immagine in cui per un momento mi sono ritrovato osservando la scena del presunto rapimento di mia moglie. Sul display leggo il messaggio di Lavinia: “Ti spiego tutto quando torno a casa.” Queste parole mi hanno rassicurato abbandonando ogni proposito di andare alla polizia per reclamare un esercito di sbirri alla ricerca di una BMW che correva all'impazzata per la città.

Sono rientrato a casa e ho atteso l’arrivo di mia moglie ascoltando le notizie del telegiornale: l’idea del rapimento non mi era completamente sfumata. Ad un tratto lo speaker fa il seguente annuncio: “Sparatoria all'acciaieria di via Croce. Tre persone sono entrate nell'ufficio di direzione e al grido ‘Viva le brigate rosse’ hanno aperto il fuoco uccidendo il presidente, l’amministratore delegato e la sua segretaria. Pare che alla base della strage ci sia la protesta di un gruppo di operai per le loro pessime condizioni di lavoro. Tra gli autori del pluriomicidio, anche una donna, una certa Lavinia Bellagamba …” Subito dopo viene mostrata la foto di mia moglie che dallo schermo sembra guardare proprio a me, muta ed inespressiva come l’avevo vista poco prima su quella maledetta auto scura.

Gli occhi mi si sono riempiti di lacrime e hanno offuscato quell'immagine finché non è svanita nel nulla.

LA MIA DONNA NON ESISTE

Racconto breve scritto da
Vittoriano Borrelli

Ogni riferimento a fatti o a persone reali è puramente casuale


(BLOG RETRO 2015)