LA CULTURA DEGLI IGNORANTI

La comunicazione corre veloce sui binari di un treno mediatico che batte tutti sul tempo, impedendo di elaborare concetti e pensieri che sembrano svolazzare dai finestrini delle carrozze, come le case e le campagne. Scenario solito di immagini intermittenti che appaiono e scompaiono davanti agli occhi di assonnati viaggiatori.

Il vuoto delle idee pesa molto di più della consistenza del pensiero. Nei salotti televisivi o pseudo letterari imperversano i cosiddetti “opinionisti”, etnia dell’ultima ora a cui è stato dato l’indebito privilegio di parlare del tutto e del niente, qualunquismo spicciolo e di bottega che tuttavia sa essere attraente e coinvolgente come i colori sgargianti delle locandine di un infimo film di periferia.

bla … bla … bla

Donna Lucia, la mia vicina, è letteralmente rapita dalle parole di chi, attraverso l’etere, esprime la propria opinione sulla cultura:La cultura è l’anima di un paese!” Mi guarda ed esclama: “Come parla bene questo qui. Se lo dice lui sarà sicuramente così!”

Peccato che quest’anima sia stata venduta al diavolo parecchio tempo fa e proprio dai più convinti assertori della cultura. Qualcuno si sarà domandato (e risposto) delle ragioni per le quali il nostro patrimonio artistico e culturale sia stato spesso denigrato, divelto e alfine abbandonato a se stesso. Lo smottamento di terreno che ha interessato proprio quest’anno parte del giardino della Casa di Severus negli scavi archeologici di Pompei, è soltanto uno degli scempi  prodotti dall'incapacità di preservare e valorizzare la cultura.

Proprio su Pompei il marchese de Sade, letterato vissuto nel Settecento, pronunciò la celebre invettiva: “Ma in quali mani si trovano, gran Dio! Perché mai il Cielo invia tali ricchezze a gente così poco in grado di apprezzarle?” Era il 1776  ma si potrebbe datarla ai giorni nostri.

"Ho una tesi ambiziosa, quasi arrogante: l'Italia è più interessante nel futuro che nel passato", continua l’opinionista del momento.  In quest’affermazione c’è tutto quello che, rispetto alla cultura, è antinomico e contraffatto. Non c’è cultura se non c’è un passato fatto di tradizioni, di insegnamenti, di valori storici. Credo, al contrario, che sia molto più interessante guardare a questo passato se si vuole ottenere un futuro migliore.

Fin quando il pensiero non si spoglierà del protagonismo di chi lo genera e lo diffonde, nessuna crescita culturale si potrà mai prospettare.

Lascio Donna Lucia davanti al televisore, ancora ammaliata da cotanto parlare.

E finalmente quel bla …bla … bla… lo sento in lontananza, fino a dissolversi del tutto.

UN CICERONE NAPOLETANO


Metti una studentessa universitaria che decide di realizzare una tesi su Luciano De Crescenzo. Metti lo scrittore partenopeo che si offre di accompagnare la giovane laureanda nei luoghi in cui ha vissuto. Il risultato è un viaggio nella terra del sole come lo fu per Dante nella Divina commedia.

Il paragone forse è eccessivo e improprio, ma ha dalla sua il sapore della reminiscenza, la riscoperta di quel passato che ci ha visto crescere, patire e gioire in tutti gli aspetti emozionali della nostra vita. Perché noi siamo ciò che siamo stati.

Si potrebbe racchiudere così il senso dell’ultimo libro di De Crescenzo, “Ti porterà fortuna” con il sottotitolo “Guida insolita di Napoli”. L’inferno e il Purgatorio, per riprendere l’opera di Dante, altro non sono che quelle turbolenze giovanili del celebre scrittore-filosofo riemerse nell'itinerario dei ricordi. In verità c’è un passaggio del libro che ricorda proprio la Divina Commedia: quando l’autore e la studentessa Carla si ritrovano nel Cimitero delle Fontanelle, per i napoletani “O campusant’ d’e Funtanelle”, situato in alcune grotte tra i rioni Sanità e Vergine. Una specie di ossario comune davanti al quale un tempo si pregava affinché coloro che vi erano sepolti potessero veder ridotto il tempo da trascorrere in Purgatorio. Qui il Cicerone-De Crescenzo commenta: “Piuttosto che passare l’eternità a bruciare tra le fiamme dell’Inferno o in compagnia di un qualche santo in Paradiso intento a raccontarmi in ogni singolo dettaglio il proprio martirio, di sicuro preferirei trascorrere il più tempo possibile in Purgatorio.”

Attraverso le vie della città partenopea, i due improvvisati viaggiatori incontrano personaggi che hanno avuto un qualche legame con la vita dello scrittore, con le loro storie e le loro fedeli abitudini. Come Raffaele, il guardiano dei parcheggi che a distanza di quarant'anni si trova a fare lo stesso lavoro: “Don Lucia’, sono stato sempre qua. Mai un viaggio, mai uno spostamento. Qualche volta sono stato a passeggio vicino al mare, ma non ho trovato il coraggio di tuffarmi, pur avendone un desiderio forte. Lo sapete, non avrei mai trovato la forza di mettermi in costume. Con la mia complessione antiestetica.

O come Gennaro, il barbiere dalle tariffe stracciate, la cui bottega è definita da De Crescenzo l’università del vero dialetto napoletano. Qui i due compagni di viaggio assistono a una conversazione tipica tra i frequentatori abituali della bottega incentrata sulle lunghe code alle poste:
Stammatina me so’ pigliat ‘nu tuossec mai visto” (Stamattina mi sono arrabbiato).
T’a  fai cull’ova, ‘a trippa” (La fai con le uova la trippa, per dire di voler affrontare una situazione difficile).
Questo succede perché tu insisti, Enrì, ad andare alla posta al Chiatamone. Ti ho sempre detto: vai al corso, là c’è mio cognato”.
Eh, ‘o jamm’ a piglià a Agnano”, vostro cognato. Chill’nun ce sta mai”. (Andare a prendere ad Agnano è un modo di dire per indicare l’irreperibilità delle persone. Un tempo era considerata la zona più remota di Napoli).

In queste poche battute c’è tutta la napoletanità verace e spontanea, spesso ispiratrice di tante commedie celebri come quelle scritte da Eduardo De Filippo o dallo stesso De Crescenzo nel film che lo ha reso famoso “Così parlò Bellavista”.

Carla è letteralmente rapita dai racconti di De Crescenzo, lo incalza nelle domande fino a scoprire, ad esempio, che il gioco del lotto, tanto praticato dai napoletani, nacque al Nord alla fine del Cinquecento, che la genovese, piatto partenopeo a base di cipolle e avanzi di maiale, nulla ha a che fare con il capoluogo ligure, e che a Napoli ogni quartiere è un “teatro” a balconi dove si assiste “lo spettacolo offerto dalla vita di strada.”

E’ un libro scorrevolissimo, pieno di spunti di riflessioni, che consiglio a chi ha voglia di scoprire qualcosa di più su questa bellissima (e turbolenta) città. De Crescenzo ancora una volta ha fatto centro con la sua verve e la sua godibilissima ironia partenopea.

Giudizio: Ottimo.
“Non ti fidare di chi ti dice che solo con le tue forze puoi farcela.
Ci vuole anche fortuna,
o, come diciamo qua a Napoli, “ciorta”.
E sorridi, che è l’unico modo per aiutare la sorte.”

IO PARLO DA SOLO

Io parlo da solo. Tutto è cominciato quando un bel giorno mia moglie mi ha lasciato sbattendo la porta. Ero seduto sul divano del soggiorno di casa con Lidia ritta in piedi, lo sguardo severo e austero, le braccia conserte e la bocca spalancata dalla quale si sprigionavano cumuli di parole e di epiteti.

“Ti ho tradito. Ti ho messo le corna. E sai con chi? Con Piero, il tuo migliore amico, quello di cui vai fiero e che un giorno hai voluto per forza presentarmi. Me lo hai servito su un piatto d’argento: bello, solare e muscoloso. Il contrario di te: tozzo, burbero e con la testa sempre tra le nuvole. Ti ho tradito, capisci? Non dici nulla? Non spiccichi parola? Ma che uomo sei? Maledetti i tuoi silenzi!”

Le parole di Lidia mi cascavano sulla testa facendomi sprofondare sempre di più nell'ampia imbottitura del sofà nuovo di zecca. Sono stato in silenzio tutto il tempo aspettando che la tempesta finisse e che finalmente ripiombasse la quiete. Ero stranamente calmo e riflessivo. Ricordai ad un tratto la scenetta comica di Totò, quella di Pasquale che riceve pugni e insulti da un Tizio incontrato per strada: “Pasquale, era un pezzo che ti cercavo. Figlio di un cane, finalmente ti ho trovato!” E a seguire schiaffi e pugni in testa. Il povero malcapitato pensava tra sé “Chissà ‘sto stupido dove vuole arrivare!” Ma perché non hai reagito?, fa l’amico. “E che me frega a me, mica son Pasquale io!”

Ho reagito come il Pasquale della barzelletta e cioè nella totale indifferenza. Non ero io che dovevo vergognarmi ma Lidia e Piero che mi avevano tradito, l’una nell'amore e l’altro nell'amicizia. Da allora ho cominciato a parlare da solo, facilitato anche dal fatto che intorno a me non c’era più nessuno. Un soliloquio che è iniziato prima tra le mura domestiche con commenti del tipo ‘Oggi è stata una giornata faticosa!’ ‘Meglio una pizza o due uova al tegamino? ‘Una bella doccia calda è quella che ci vuole!’. Poi le parole sono “uscite” per strada, tra la gente, nei negozi e negli uffici. Erano quasi sempre delle imprecazioni rivolte ai miei odiati traditori:

Mia moglie non mi merita!
Piero non mi merita!
Nessuno mi merita!

Un ritornello che ripetevo in ogni occasione: dal salumiere, ai giardini pubblici, finanche alle poste mentre stavo in coda ad aspettare il mio turno. Una volta, proprio all'ufficio postale, sentii qualcuno da dietro che mi apostrofava: “Nemmeno tu ci meriti se continui con questa lagna!”

Piero ed io lavoravamo nello stesso ente pubblico. Io mi occupavo della progettazione e lui degli appalti. Un giorno mi confidò tutto fiero e contento che una certa impresa in cui lavorava suo fratello si era aggiudicata un lavoro da quasi due milioni di euro. C’era qualcosa che non andava ma per la grande amicizia che nutrivo per Piero decisi di mettere da parte qualsiasi sospetto.

Ora quella vicenda mi era ritornata prepotentemente alla memoria al punto da riassumerla con queste parole:“Piero corrotto, in galera ti ci porto!”. Le ripetevo a voce alta in qualunque luogo mi trovassi, e un giorno persino davanti alla stazione dei carabinieri.

Oggi Piero è rinchiuso nel carcere di Rebibbia con l’accusa di corruzione. Lidia l’ha lasciato e si è messa con un altro.

Io continuo a parlare da solo.
IO PARLO DA SOLO

Racconto breve di Vittoriano Borrelli

(Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale).

Una bella giornata di sole

“Ma che bella giornata di sole questa giornata senza morti. Questo profumo di limoni giù nelle strade.” Sono i versi dell’omonima canzone di Antonello Venditti tratta dall'album “In questo mondo di ladri” del 1988.

Alle porte della Santa Pasqua mi piace pensare che sulle note di questo bellissimo brano tutti possano vivere una giornata luminosa e splendente, fatta di ritorni, di abbracci e di ricongiungimenti come avviene fra le persone che s’incontrano nelle stazioni, negli aeroporti o più in generale nelle strade del mondo.

C’è una realtà che non piace, una quotidianità che spesso si affronta con fatica, apprensione e incertezza per il futuro. Mettere da parte i dissidi, le incomprensioni o le inimicizie sarebbe più che auspicabile in questo giorno di festa che da troppo tempo ha perduto quella solennità che le è propria.

Fermarsi a riflettere. Un’attività di pensiero che pare non esserci più negli usi e nelle abitudini della società moderna. Si parla troppo spesso per slogan e per voglia di stupire più che per cercare il consenso e la condivisione. In una parola: per comunicare.

E la chiamano liberazione questa giornata senza morti, questo profumo di limoni dalle finestre aperte”.  

Come un invito a sciogliersi in un abbraccio e liberarsi delle paure che condizionano il nostro vivere quotidiano e che ci impediscono di essere quello che vogliamo.

Tutto in una giornata, breve ma allo stesso tempo eterna se la si vive intensamente portandosi addosso, al calar della sera, tutto il profumo della sua bellezza.

E’ una barca che naviga sulle onde del mare. Questo giorno di libertà tu non lasciarlo andare.”

Non lasciarlo andare …

Buona Pasqua a tutti.