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Ho
deciso di seguire Lavinia come un detective dell’ultima ora. La scusa di
volersi sentire utile simulando la parte della lavoratrice impegnata non
mi ha mai convinto. Oltretutto mia moglie è sempre stata vaga nel raccontarmi
il resoconto della giornata, limitandosi a ragguagliarmi su generiche puntate
ai negozi del centro o ai musei.
“Da
quando in qua ti piace l’arte?”
“Non
mi è venuta la passione per i quadri. Lo faccio per i custodi.”
“I
custodi?”
“Quelli
che vigilano nelle sale di esposizione. Sono così spenti e annoiati!”
“Già,
la frustrazione! Dì un po’, non sei mica diventata comunista?”
Silenzio.
Reazione tipica di Lavinia quando si sente alle strette. Non ho voluto indagare
oltre e mi sono concentrato sul mio piano di “inseguimento” nei
confronti di una donna divenuta improvvisamente misteriosa e sfuggente.
Una
di quelle mattine mi sono svegliato prima di lei con la scusa di dover andare
fuori città. Sono uscito alle 7:30 e ho postato la macchina dietro la chioma
rigogliosa di un salice piangente, poco distante dalla fermata del bus.
Alle otto in punto ecco Lavinia uscire dal portone e sistemarsi sotto la pensilina
con la solita aria distratta e assente. L’autobus è arrivato puntualmente per
la gioia dell’azienda dei trasporti ma nell'indifferenza generale del gruppo di
pendolari che si è riversato silenzioso e disciplinato al portello per
la salita. Ho iniziato l’inseguimento tenendomi a debita distanza dal mezzo pubblico
ripetendo quasi meccanicamente quello che avevo visto fare in tanti films
polizieschi.
L’aria
pungente dell’autunno novembrino mi ha procurato un brivido nelle spalle,
uno scossone che mi ha fatto riflettere sulla correttezza di ciò che
stavo facendo. In fondo ciascuno di noi ha un lato nascosto della propria vita
che vorrebbe tenere al riparo da qualsiasi interferenza esterna. E’ la c.d. teoria degli spazi privati contro
cui nessuno sarebbe legittimato ad entrare senza il consenso di chi li
custodisce. Ho scacciato questo pensiero come una mosca al naso, convinto del
fatto che il mio ruolo di marito esigesse quanto meno una spiegazione
plausibile sulle sortite mattutine di Lavinia.
L’autobus
è arrivato in Piazza Mercato fermandosi alla pensilina che fronteggia un
negozio di erboristeria. Ho visto Lavinia scendere in tutta fretta e imboccare subito
dopo una stradina laterale. Ho fatto appena in tempo a vedere mia moglie
entrare da un portone, forse il primo a fronte di quella viuzza, e ho
posteggiato la macchina sulle strisce gialle riservate ai disabili. “Mi
beccherò una multa, ma fa niente.”
Mi sono
precipitato nella stradina fermandomi davanti al portone da cui pensavo che
Lavinia fosse entrata poco prima. Il portone è di quelli antichi con la scritta
in mezzo all'arcata “Partito comunista italiano”. Mentre rimugino sulle
targhette del citofono per decidere quale pulsante pigiare, vedo sbucare a
tutta velocità una BMW scura che per poco non m’investe. D’istinto mi aggrappo
alla maniglia del portone e mi volto verso il lunotto dell’auto: qui incrocio
lo sguardo di Lavinia che dall'abitacolo sembra volermi dire qualcosa, forse
una richiesta di aiuto.
‘L’hanno
rapita!’, penso tra me. Lo squillo del cellulare mi ha fatto uscire
dal fermo immagine in cui per un momento mi sono ritrovato osservando la scena
del presunto rapimento di mia moglie. Sul display leggo il messaggio di
Lavinia: “Ti spiego tutto quando torno a casa.”
Quelle
parole mi hanno rassicurato abbandonando ogni proposito di andare alla polizia
per reclamare un esercito di sbirri alla ricerca di una BMW che correva
all'impazzata per la città. Sono rientrato a casa e ho atteso l’arrivo di mia
moglie ascoltando le notizie del telegiornale: l’idea del rapimento non mi era
completamente sfumata. Ad un tratto lo speaker fa il seguente
annuncio: “Sparatoria all'acciaieria di via Croce. Tre persone sono entrate nell'ufficio di direzione e al grido ‘Viva le brigate rosse’ hanno aperto il fuoco
uccidendo il presidente, l’amministratore delegato e la sua segretaria. Pare
che alla base della strage ci sia la protesta di un gruppo di operai per le
loro pessime condizioni di lavoro. Tra gli autori del pluriomicidio, anche
una donna, una certa Lavinia Bellagamba …” Subito dopo viene mostrata la
foto di mia moglie che dallo schermo sembra guardare proprio a me, muta ed
inespressiva come l’avevo vista poco prima su quella maledetta auto scura.
Gli
occhi mi si sono riempiti di lacrime offuscando quell'immagine fino a che non è
svanita nel nulla.
LA MIA DONNA
NON ESISTE
Racconto breve in due
parti scritto da
Vittoriano Borrelli
Ogni riferimento a
fatti o a persone reali è puramente casuale
La
prima parte è stata pubblicata venerdì
2 ottobre 2015
Commenti
un finale cosi drammatico .. non ci sarei mai arrivata .. complimenti !
RispondiEliminaGrazie per i complimenti Jamar. Un caro saluto.
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