NESSUNO LO DEVE SAPERE


“L’hai fatto?”
“Non ancora. Ho un po’ di paura.”
“Lo so che è difficile ma devi farti coraggio.”
“Non ce la faccio a guardarlo, è più forte di me.”
“E tu non lo guardare.”
“Ho provato a tirarlo fuori ma sento tutti gli occhi puntati su di me.”
“Aspetta che si fa buio, così nessuno ti vede.”

“Come farò ad estrarlo da lì? E’ morto stecchito e chissà da quanto tempo.”
“Usa i guanti, un asciugamano e un sacchetto nero della spazzatura.”
“E poi?”
“Poi ti fai un bel giretto in macchina, ti trovi un posto lontano da occhi indiscreti e ci depositi il malloppo.”
“Non credi che sia il caso di andare alla polizia?”
“Così ti arrestano di sicuro. Non ti crederebbero mai.”

“Ma io sono innocente!”
“Lo so, ma sai quanti innocenti sono in carcere?”
“Perché dici questo? Non farei del male nemmeno ad una mosca. Pensa che se vedo una formica mi scanso per non calpestarla. Mia madre mi diceva che le formiche sono figlie di Dio.”
“Eh, quante cose diceva tua madre! Alcune giuste, alcune sbagliate. Però è vero, le formiche sono come gli agnelli, sono protette dal Signore.”

“Ma tu mi credi, vero?”
“Certo che ti credo, però…”
“Però cosa?”
“Il mondo è cattivo e tu sei troppo ingenuo.”
“Credo proprio che stanotte non dormirò. Sento addosso ancora quell’odore sgradevole. Se non mi sbrigo andrà in putrefazione.”
“Calma, devi agire con calma.”
“Fai bene a parlare te. Non c’eri mica tu quando ho aperto il cofano e mi sono trovato questa bella sorpresa.”

“Ma com’è potuto succedere? E, soprattutto, come ha fatto ad infilarsi nel motore”
“Me lo sono chiesto anch’io. Se non fosse stato per quell’odore strano dell’aria condizionata non mi sarei accorto di nulla.”
“Povera bestiola!”
“Già! Credo che non toccherò cibo per almeno una settimana.”
“Ora non esagerare! Dicono che i gatti hanno sette vite.”
“Spero che non portino anche sette disgrazie.”

“Come sei catastrofico!”
“Domani gli darò una degna sepoltura.”
“Ottimo, ma adesso non ci pensare più.”
“Che questa cosa resti tra noi. Nessun altro lo deve sapere.”
“Tranquillo! Sarò muto come una tomba.”



NESSUNO LO DEVE SAPERE

Di

Vittoriano Borrelli

(Ogni riferimento alla realtà è puramente casuale)

BLOG RETRO: 27.07.2018

UN CICERONE NAPOLETANO


Metti una studentessa universitaria che decide di realizzare una tesi su Luciano De Crescenzo. Metti lo scrittore partenopeo che si offre di accompagnare la giovane laureanda nei luoghi in cui ha vissuto. Il risultato è un viaggio nella terra del sole come lo fu per Dante nella Divina commedia. 

Il paragone forse è eccessivo ma ha dalla sua il sapore della reminiscenza, la riscoperta di quel passato che ci ha visto crescere, patire e gioire in tutti gli aspetti emozionali della nostra vita. Perché noi siamo ciò che siamo stati. 

Si potrebbe racchiudere così il senso del libro di De Crescenzo pubblicato nel 2014, “Ti porterà fortuna” con il sottotitolo “Guida insolita di Napoli”. L’inferno e il Purgatorio, per riprendere l’opera di Dante, altro non sono che quelle turbolenze giovanili del celebre scrittore-filosofo riemerse nell'itinerario dei ricordi. In verità c’è un passaggio del libro che ricorda proprio la Divina Commedia: quando l’autore e la studentessa Carla si ritrovano nel Cimitero delle Fontanelle, per i napoletani “O campusant’ d’e Funtanelle”, situato in alcune grotte tra i rioni Sanità e Vergine. Una specie di ossario comune davanti al quale un tempo si pregava affinché coloro che vi erano sepolti potessero veder ridotto il tempo da trascorrere in Purgatorio. Qui il Cicerone-De Crescenzo commenta: “Piuttosto che passare l’eternità a bruciare tra le fiamme dell’Inferno o in compagnia di un qualche santo in Paradiso intento a raccontarmi in ogni singolo dettaglio il proprio martirio, di sicuro preferirei trascorrere il più tempo possibile in Purgatorio.” 

Attraverso le vie della città partenopea, i due improvvisati viaggiatori incontrano personaggi che hanno avuto un qualche legame con la vita dello scrittore, con le loro storie e le loro fedeli abitudini. Come Raffaele, il guardiano dei parcheggi che a distanza di quarant'anni si trova a fare lo stesso lavoro: “Don Lucia’, sono stato sempre qua. Mai un viaggio, mai uno spostamento. Qualche volta sono stato a passeggio vicino al mare, ma non ho trovato il coraggio di tuffarmi, pur avendone un desiderio forte. Lo sapete, non avrei mai trovato la forza di mettermi in costume. Con la mia complessione antiestetica.” 

O come Gennaro, il barbiere dalle tariffe stracciate, la cui bottega è definita da De Crescenzo l’università del vero dialetto napoletano. Qui i due compagni di viaggio assistono a una conversazione tipica tra i frequentatori abituali della bottega incentrata sulle lunghe code alle poste: 

Stammatina me so’ pigliat ‘nu tuossec mai visto” (Stamattina mi sono arrabbiato). 
“T’a fai cull’ova, ‘a trippa” (La fai con le uova la trippa, per dire di voler affrontare una situazione difficile). 
Questo succede perché tu insisti, Enrì, ad andare alla posta al Chiatamone. Ti ho sempre detto: vai al corso, là c’è mio cognato”. 
Eh, ‘o jamm’ a piglià a Agnano”, vostro cognato. Chill’nun ce sta mai”. (Andare a prendere ad Agnano è un modo di dire per indicare l’irreperibilità delle persone. Un tempo era considerata la zona più remota di Napoli). 

In queste poche battute c’è tutta la napoletanità verace e spontanea, spesso ispiratrice di tante commedie celebri come quelle scritte da Eduardo De Filippo o dallo stesso De Crescenzo nel film che lo ha reso famoso “Così parlò Bellavista”. 

Carla è letteralmente rapita dai racconti di De Crescenzo, lo incalza con le domande fino a scoprire, ad esempio, che il gioco del lotto, tanto praticato dai napoletani, nacque al Nord alla fine del Cinquecento, che la genovese, piatto partenopeo a base di cipolle e avanzi di maiale, nulla ha a che fare con il capoluogo ligure, e che a Napoli ogni quartiere è un “teatro” a balconi dove si assiste “lo spettacolo offerto dalla vita di strada.” 

E’ un libro scorrevolissimo, pieno di spunti di riflessioni, che consiglio a chi ha voglia di scoprire qualcosa di più su questa bellissima (e turbolenta) città. De Crescenzo ancora una volta ha fatto centro con la sua verve e la sua godibilissima ironia partenopea. 

Giudizio: Ottimo. 

Non ti fidare di chi ti dice che solo con le tue forze puoi farcela. 
Ci vuole anche fortuna, 
o, come diciamo qua a Napoli, “ciorta”. 
E sorridi, che è l’unico modo per aiutare la sorte.” 




BLOG RETRO: Già pubblicato in data 17 aprile 2015

LE MANI SU DI ME


Faccio la vita da quando … è passato così tanto tempo che non ricordo più da quando ho iniziato a battere il marciapiede. Necessità? Senso di colpa? Piacere di farmi del male? Forse saranno state tutte queste cose messe insieme o forse nessuna perché certe scelte sono così forti e innaturali che non c’è mai una ragione per giustificarle. 

Mi chiamo Generosa, nome che mia madre mi donò come simbolo della sua battaglia sociale a favore dei poveri e dei derelitti. Faceva parte di un’associazione di volontariato dedita agli emarginati, ai disadattati e sventurati del pianeta, sempre presa ad organizzare campagne e iniziative in difesa dei diritti civili. L’ho delusa, come ho deluso tante altre persone che hanno scommesso su di me. 

Se non ricordo gli anni che avevo quando tutto è iniziato, ho invece ben presente le circostanze che mi hanno indotto ad imboccare quella che per i benpensanti è la strada della maledizione e della perdizione eterna. Non parlo della ragione principale, la si capirà dal mio racconto, ma di un aspetto particolare che fa da cornice a questo “lavoro”: il fuoco. 

Bambina passavo ore intere seduta sulle ginocchia di mio padre a guardare il camino di casa mia. Ero affascinata dalle fiamme che si sprigionavano dai ceppi rosolati, ampie e folgoranti che m’inondavano di calore e di vitalità. Quasi mi commuovevo nell'assistere a quello spettacolo luminoso fatto di scintille intermittenti che si perdevano e si rigeneravano nell'aria. Mi piaceva udire lo scoppiettio della legna bruciata che scandiva lo scorrere del tempo dei miei inverni di città. 

Il fuoco, si sa, viene utilizzato dalle prostitute non solo per segnalare la loro presenza ai clienti, ma anche per tenere ben caldo le loro parti intime per offrirle alle migliori condizioni. Per me ha rappresentato per un certo numero di anni la verginità. Come le Vestali, vergini per antonomasia, che utilizzavano il fuoco a simbolo della loro purezza eterna. 

Dopo aver perso la mia innocenza mi è rimasto il fuoco quale unico appiglio che mi ha tenuta legata, sia pure solo idealmente, al ricordo della bambina che ero stata un tempo e che il tempo stesso aveva voluto seppellire in qualche parte di me. Per sempre. 

Da un giorno all'altro ho abbandonato la mia infanzia diventando la donna che sono adesso. Ho cambiato il mio nome in “Genè”, un francesismo che ho utilizzato per dare un tocco di esotico al mio personaggio e ho acceso tanti di quei falò per sentirmi ancora viva tra le fiamme mentre tutto si spegneva dentro di me. 

Con gli uomini ho voluto però fare un patto: niente mani su di me, sarei stata io a condurre il gioco, a procurar loro quel piacere tanto effimero quanto evanescente facendo uso esclusivamente dei movimenti accorti e studiati del mio corpo. 

Ci sono riuscita con la gran parte dei miei clienti, ubbidienti e qualcuno anche masochista. Per gli altri un po’ focosi ci pensava Gaetano, il mio compagno, a ristabilire le regole. Era soprannominato “Lo spostato” per i suoi modi bruschi, un vero e proprio troglodita ma a me ha fatto comodo almeno fino a quando è durata la mia esperienza sulla strada. 

Ora mi sono messa in proprio. Ricevo i clienti nel mio attico al quartiere Parioli di Roma. Sono diventata una prostituta di lusso, una vera signora che tutti trattano con rispetto. 

TECHETECHETÉ


È inutile nascondercelo: siamo più proiettati al passato che al futuro. Ci piace vivere di ricordi, essere nostalgici di un tempo che pensiamo sia stato bello anche se l’abbiamo vissuto con turbolenza e con qualche dispiacere. Una sorta di autodifesa che ci spinge a selezionare soltanto i momenti più belli della nostra vita.

Ecco perché programmi televisivi come il Techetechetè, ma ancor prima come Ieri e Oggi, hanno un successo straordinario ed attirano una platea di proseliti sempre più folta ed appassionata. Il bianco e nero prevale sul colore, le sfumature di grigio su quelle sgargianti di un bel panorama in…diretta.

Quando sfogliamo un album di fotografie lo facciamo quasi sempre col sorriso sulle labbra o con una punta di commozione nel rivedere immagini e persone che non ci sono più ma che sono state a noi care e che ci teniamo a custodirle con cura.

Si stava meglio quando si stava peggio”, recita un vecchio proverbio, un adagio iterativo che svela il senso (o il mistero) della vita: le cose belle sono a portata di mano, davanti ai nostri occhi ma le apprezzeremo e ce le ricorderemo solo tra qualche tempo. 

C’è comunque un momento in cui bisogna fermarsi a riflettere, voltarsi indietro prima di riprendere il cammino. Accade con il Techetechetè televisivo o con altri fermo immagine di quest’estate rovente in attesa di tornare a settembre.

Un lungo preambolo per annunciare il ritorno di BlogRetro, i migliori post che i lettori potranno rileggere fino al prossimo Agosto.

A tutti voi una buona estate, ovunque voi siate, e una buona rilettura delle parole del mio tempo.

Vittoriano Borrelli