C’è
una vita vissuta ed una vita immaginata. A volte si rimpiange l’una a discapito
dell’altra e viceversa. Si va avanti con questa doppia veste che recinge il
nostro stato d’animo, rappresentata da un lato dai ricordi e, dall’altro, da
una sorta di sospensione del pensiero perché il presente, sovente, ti fa agire
senza pensare, salvo la riflessione postuma di quello che abbiamo fatto o che
siamo stati.
Ecco
che allora il ricordo diventa l’unità di misura del nostro tempo, lo specchio e
il giudice delle nostre azioni alla fine di una giornata, di una settimana, di
un anno. Quante volte ci domandiamo se abbiamo fatto bene o male in una determinata
circostanza, se potevamo fare di più o se abbiamo dato meno di quanto era nelle
nostre possibilità?
Domande
che diventano ricordi, il passato delle nostre azioni, la rendicontazione del
nostro essere.
La
remissione degli esiti di una vita giunge spesso ad un’età avanzata,
all’apparire delle prime rughe, dei primi capelli bianchi, quando si svolta
l’angolo e si lascia alle spalle una giovinezza che appassisce come un
fiore reciso che svanisce inesorabilmente.
Si
dice che i ricordi siano generalmente appannaggio dei vecchi, di coloro che
hanno vissuto un bel pezzo di vita e più raramente ai nostalgici di qualsiasi
età. Sono la cornice che instrada la via del tramonto quando, disillusi, si
aspetta il calare della sera per far riposare le proprie membra stanche.
Io
che vivo di ricordi è il pensiero che affligge e fa rimuginare chi ha poco da chiedere
al futuro e molto da rammaricarsi per qualche occasione persa, per un certo
modo di affrontare la vita che, a conti fatti, sarebbe stato meglio farlo con
più spensieratezza e genuinità.
Ma
l’esperienza, purtroppo, arriva sempre quando tutto è già compiuto. Io che
vivo di ricordi è ciò che emerge dalle ceneri di un dolore, mentre l’ultima
speranza consuma l’attesa di un mattino mite e giusto.
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