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“Io non appartengo più
alle cose del mio tempo
non mi riconosco più
lì nascosto dietro un canto
non mi basta nemmeno il cuore
per giustificare capire sentire immaginare
non mi basta la forza degli occhi
per voltarmi e non guardare”
alle cose del mio tempo
non mi riconosco più
lì nascosto dietro un canto
non mi basta nemmeno il cuore
per giustificare capire sentire immaginare
non mi basta la forza degli occhi
per voltarmi e non guardare”
Con questi bellissimi versi Roberto Vecchioni presenta il suo nuovo album “Io non appartengo più” a
pochi giorni dalla sua candidatura al premio
Nobel per la letteratura (poi assegnato alla scrittrice canadese Alice Munro).
Melodia dalle atmosfere altamente intimistiche, questo disco
del bravissimo artista milanese “cavalca” il risveglio della canzone d’autore,
che torna prepotentemente alla ribalta seminando il vuoto intorno alle proposte
musicali del momento, “insipide”, anonime e figlie di un tempo avaro, se non
nullo, di emozioni.
Quando il testo di una canzone si eleva a Poesia è l’Arte che vince e sovrasta l’ovvietà, la comunicazione puerile e
impersonale dei nostri tempi che divide e disunisce e ci fa sentire tutti un po’ più soli.
Con quest’album dal sapore fortemente autobiografico, Vecchioni
mostra tutte le sue qualità migliori, rivolgendo un atto d’accusa ad un mondo
diverso e divergente dal suo. L’autore, senza mezzi termini, punta il dito sull'uso
spasmodico dei social network che tolgono sostanza e contenuto alle relazioni
sociali in nome dell’apparire, del bisogno di raccontarsi senza ascoltare, di
sentirsi individui fra milioni di individui che non “vedono” e non “comunicano”.
Concetti che il noto cantautore ha ribadito nelle ultime interviste
rimarcando gli effetti negativi del potere mediatico sul senso di appartenenza dell’uomo
alla comunità. La società moderna, per l’interprete di Samarcanda, è sempre più
protesa all'esaltazione individuale, ai deliri di onnipotenza che sfociano pericolosamente nell'emulazione
collettiva.
La speranza lascia il posto al rimpianto ed è un brutto segno
per chi, avanzando negli anni, è costretto a guardarsi indietro per immaginare
un futuro diverso.
E allora “io non appartengo più, e lascio lo spiraglio alla mia porta, solo,
quando vieni fallo con l'amore di una volta.”
Commenti
non credo che una volta fosse tutto cosi bello.Sentiamo la nostalgia semplicemente
RispondiEliminaperchè eravamo più giovani.....ma il problema non sono i social ma noi....
Ciao Thomas. E' vero che si tende ad "idealizzare" il passato rimuovendo le cose peggiori. Qui però non è tanto una questione di senilità, quanto piuttosto dell'abbassamento del livello morale e delle cose che contano che è sotto gli occhi di tutti, al di là del fatto che gioie e dolori ci sono stati e ci saranno in ogni epoca, passata, presente o futura. Una cosa dici bene: il problema non è nei social network ma in noi stessi che non sappiamo utilizzarli o limitarne l'uso a ciò che possono servire senza soppiantare la crescita e l'importanza delle relazioni interpersonali "tradizionali". Grazie comunque per il commento. Un caro saluto.
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