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La scomparsa di Alberto Bevilacqua (8 settembre), seguita quasi a ruota da
quella di Carlo Castellaneta (28 settembre), ha privato il mondo della
letteratura di due grandi scrittori
del romanzo storico d’autore.
La morte, si sa, è un fatto
ineluttabile che disarma e disorienta, ma quando colpisce esponenti della
cultura, trascende il senso di abbandono individuale ed è qualcosa che somiglia
tanto ad un vuoto diffuso ed invisibile, una sorta di "voragine collettiva" in
cui è il pensiero, prima ancora che il sentimento, a sprofondare.
E’ un passaggio in cui la Cultura si ferma e retrocede,
rigenerandosi nella memoria di chi ha scritto pagine indimenticabili, storie
che hanno fatto la Storia, il
passato che ritorna e che si proietta nel futuro come patrimonio prezioso per i
posteri.
Carlo Castellaneta, milanese, ha
esordito nel 1959 con Viaggio col padre, edito dalla Mondadori, romanzo che è una ricerca
interiore degli affetti e del bisogno di comunicare.
Arriva al grande pubblico
televisivo con Notti e nebbie, miniserie del 1984 tratta dall'omonimo libro del 1975. Sublime la descrizione del profilo del protagonista, il commissario Bruno Spada, che sacrifica qualsiasi
remora morale di giustizia sociale pur di obbedire alla ragione di Stato del
regime fascista. Quanti personaggi del genere si sono avuti (e moltiplicatisi)
in ogni era o periodo storico da sembrare quasi il déjà vu di tanti altri incontrati nel nostro cammino,
sicché “l’errore” è semplicemente la
diversa sembianza con cui ci appaiono.
Di Alberto Bevilacqua, parmense del 1934, si ricorda il pregevole
curriculum: da La califfa del 1964
(riprodotto più tardi nel film del 1970 interpretato da una
straordinaria Romy Schneider) a Questa specie d’amore (Premio Campiello del 1966), da L’eros del 1994, a Gialloparma del 1997 da cui venne realizzato due anni
dopo un film diretto dallo stesso autore.
Di Gialloparma, romanzo di
malelingue e intrighi della provincia emiliana, si riporta il seguente passo
a sottolineare la sensibilità e lo stile poetico dello scrittore:
Quando Ugo Foscolo scrisse Dei Sepolcri (1807), venne mosso dalla profonda e struggente aspirazione di creare un
collegamento indissolubile tra la vita e la morte: l’interruzione naturale e
inevitabile dell’esistenza di ognuno, non impedisce la sopravvivenza delle illusioni,
degli ideali, dei valori e delle tradizioni dell'uomo.
Per gli scrittori accade un pò la stessa cosa: su di loro non calano le
tenebre dell’oblio perché sopravvivono nel ricordo di ciò che hanno scritto. Ed
è per questo che... non muoiono mai.
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