LA FORZA BUONA DELLA LETTURA


Definirla una scrittrice “esordiente” non rende giustizia al talento di Stella Stollo, autrice umbra (è nata ad Orvieto) con la passione per la narrativa e, in particolare, per quella storica.


I suoi libri sono scritti con competenza e preparazione professionale, segnano un distinguo tra gli scrittori cosiddetti “naif”, ovvero istintivi o autarchici e quelli che fanno dell’esperienza della lettura un caposaldo indispensabile per poter scrivere bene e con qualità.


Sono doti che si riscontrano, ad esempio, nel romanzo “Io e i miei piedi”, che Stollo pubblica nel 2011 aggiudicandosi il concorso Cogito ergo scrivo”, indetto dalla casa editrice Graphofeel, o in Malditerra (2012), opera tra il serio e faceto sul disagio giovanile, particolarmente apprezzata dalla critica.


Cresciuta sotto l’influenza di grandi scrittori come Dostoevskij, Amado e Yourcenar, Stella Stollo è riuscita finalmente a coronare il sogno di scrivere un romanzo storico pubblicando di recente “I delitti della Primavera”, un thriller ambientato nella Firenze del “400 e ispirato al grande pittore Sandro Botticelli.


Nell'intervista che mi ha gentilmente concesso Stella Stollo, si racconta con garbo e spontaneità, senza nulla nascondere della sua grande passione per la lettura che è divenuta, a lungo andare, il perno fondamentale di tutta la sua esistenza …



IO: Nella tua biografia hai dichiarato di avere con la lettura e la scrittura un rapporto di tipo “terapeutico”. La prima ti ha assicurato la “sopravvivenza”, la seconda ti ha aiutato a vivere meglio. Quali sono stati in concreto i benefici dell’una e dell’altra?


STELLA STOLLO: La mia primissima infanzia è avvolta in un’atmosfera buia, fatta di sensazioni di nausea, apatia e angoscia: detestavo il cibo (addirittura la cioccolata, che oggi adoro!), non mi piaceva giocare né parlare con gli altri bambini, ero terrorizzata e immobilizzata da mille paure. Ho iniziato a vivere nel momento in cui ho imparato a leggere. A sette anni ho letto “Un canto di Natale” di Dickens, sono rimasta irretita e praticamente non ho smesso più: la lettura mi ha schiuso mondi e situazioni che, piano piano, mi hanno aiutata a vincere la diffidenza verso il mondo e a diventare sempre più curiosa della vita e delle emozioni che non avevo mai immaginato potesse offrire.
I libri sono diventati i miei più fedeli amici e hanno continuato a offrirmi rifugio nei momenti di insicurezza, spazi immensi durante le crisi claustrofobiche dell’adolescenza, conforto e speranza al dolore delle prime delusioni amorose. La scrittura è venuta come conseguenza della lettura e, se nei primissimi esperimenti della giovinezza ha avuto solo una funzione di sfogo, è diventata poi un efficace strumento per entrare in contatto con la parte più nascosta di me. Ancora oggi la considero un mezzo per far emergere impressioni, desideri e sogni che resterebbero sopiti e taciti, sotto l’agitata superficie della vita quotidiana.


IO: Ti sei laureata in Lingue e Letterature Orientali trascorrendo un anno in Cina. Che cosa hai appreso dalla cultura orientale?


STELLA STOLLO: Ho scelto il mio corso di studi per un interesse prevalentemente filosofico- letterario, spinta dalle letture che hanno caratterizzato la mia tarda adolescenza. L’impatto con l’Oriente reale fu abbastanza deludente. Dal mio soggiorno di studio in Cina sono ormai trascorsi quasi trenta anni. Ciò che più amai allora era una diversa percezione del Tempo: lunghissimo, dilatato, senza frenesie e ritmi ansiogeni, dispensatore di una libertà mai provata prima. Non faccio fatica ad immaginare che oggi sia tutto completamente cambiato.


IO: Il tuo romanzo “Io e i miei piedi” (2011), ha ottenuto tanti apprezzamenti classificandosi nel 2012 al 2° posto al primo concorso letterario nazionale “Il profumo della creatività”. L’hai tenuto però nel cassetto per ben 15 anni. Che cosa ti ha spinto a pubblicarlo?


STELLA STOLLO: Nel 2011 l’ho mandato al concorso “Cogito ergo scrivo”, indetto dalla casa editrice Graphofeel. Ha vinto il concorso e la pubblicazione. Se mi sono decisa a tirarlo fuori dal cassetto, è perché sentivo l’esigenza di avere un parere sulla mia scrittura, visto che mi ero già impegnata nell'arduo progetto di realizzare il romanzo storico appena uscito.


IO: La rappresentazione psicosomatica di un disagio, come quello narrato in questo romanzo, richiama il tema dell’attenzione, o meglio del suo contrario. Quanto, secondo te, la società in cui viviamo è disattenta rispetto ai nostri bisogni?


STELLA STOLLO: È evidente che viviamo in una società centrata sull'avere piuttosto che sull'essere, una società consumistica che crea un sempre maggior numero di bisogni fittizi al solo scopo di allargare la produzione di certi beni, ed è poco interessata al valore della persona e ai suoi reali bisogni. Tutto ciò ci provoca sia l’ansia di riuscire a soddisfare quelle esigenze che crediamo reali, sia la frustrazione di veder negate le nostre più intime e vere esigenze. E al medesimo tempo ci sentiamo in dovere di apparire perfetti, di nascondere ansie e frustrazioni agli occhi degli altri, spesso ai nostri stessi occhi. Cerchiamo di cacciarle sempre più in profondità nella nostra anima, finché essa si ribella e ci scrive un messaggio, ben visibile, sul nostro corpo. Forse sperando in un po’ di attenzione.


IO: In “Malditerra” racconti il malessere esistenziale nell'era moderna con accenti che ricordano “La Nausea” di Sartre ma con una differenza: nell'opera dello scrittore francese il passato è la proiezione dell’inutilità del presente; nel tuo romanzo il ricordo spinge i protagonisti ad optare per la migliore scelta di vita. Si è sempre arbitri del proprio destino?


STELLA STOLLO: Non si può forgiare interamente il proprio destino, tuttavia credo che esso sia spesso il risultato di una combinazione tra gli accadimenti della vita e le nostre scelte, soprattutto le nostre non scelte. Procediamo su una certa strada solo perché non troviamo il coraggio di cambiare direzione, magari senza rendercene conto, come sonnambuli. Il primo passo è quindi risvegliarci e imparare a conoscere noi stessi, i nostri sogni e reali desideri, cercando di non sprecare una vita ad accontentare i desideri degli altri. Non dico che sia facile.


IO: So che sei appassionata della narrativa storica e che prediligi autori come Dostoevskij, Amado e Yourcenar. Quali influenze hanno avuto nella tua crescita professionale?


STELLA STOLLO: Da tutte le mie letture ho appreso qualcosa. Di ognuno di questi tre autori c’è un libro che porto nel cuore e che mi ha aiutata nella mia crescita come autrice. “Il giocatore” di Dostoevskij mi ha insegnato che anche una piccola storia se è ben costruita nell'intreccio, impeccabile nella scrittura, e fa un uso sapiente dell’ironia può diventare terribilmente avvincente. “Gabriella garofano e cannella” di Amado mi ha trasmesso il gusto dei dettagli capaci di evocare atmosfere affascinanti, della sensualità di colori, profumi e parole. Infine “Memorie di Adriano” di M. Yourcenar mi ha insegnato a non accontentarmi, a puntare in alto, a lavorare sodo cercando di raggiungere la versione migliore possibile, anche a costo di impiegare tempi lunghissimi. Se possedessi anche una piccolissima parte del particolare talento di ciascuno di loro, mi riterrei soddisfatta.


IO: Dei tuoi romanzi ho apprezzato in particolare la tecnica espositiva e l’impostazione del tessuto narrativo. Nulla è lasciato al caso. Tutto è meditato con un architettura narrativa che denota competenza, preparazione e dedizione. Secondo te quanto è importante per uno scrittore l’esperienza della lettura?

STELLA STOLLO: È fondamentale per apprendere le tecniche di scrittura: non per imitare qualcuno, ma per forgiare un proprio stile. Anche un pittore astrattista, prima di arrivare al suo stile personale, impara a padroneggiare le tecniche figurative. Nessun artista, nessuno sportivo, nessun professionista raggiunge determinati obiettivi senza esercizio e allenamento costanti. La lettura è il primo allenamento di uno scrittore. Personalmente, ma è solo una mia opinione, penso che per scrivere sia molto più importante leggere che frequentare qualsiasi corso di scrittura creativa.


IO: E'appena uscito il tuo nuovo libro “I delitti della Primavera”, a coronamento del tuo sogno di realizzare un romanzo storico. Parlaci un po’ di questa tua ultima “fatica”.


STELLA STOLLO: La storia ruota attorno alla realizzazione del meraviglioso dipinto “L’Allegoria della Primavera”. Nel 1475 a Firenze Sandro Botticelli, Gran Maestro della confraternita “I fedeli del giglio”, inizia a dipingere la grandissima tela, aiutato dall'assistente Filippino Lippi. L’intento principale è quello di realizzare un talismano propiziatorio per il progetto del suo amico d’infanzia Amerigo Vespucci. Questi sta cercando di convincere la signoria dei Medici a finanziare un viaggio verso un continente a ovest delle colonne d’Ercole, della cui esistenza aveva già parlato nel XIII sec. il francescano eretico Raimondo Lullo. All'improvviso la città inizia ad essere sconvolta da una serie di efferati delitti, collegati alle figure femminili via via dipinte sul quadro. Chi si cela dietro questa brutale e animalesca violenza contro le donne, proprio mentre i due pittori si accingono a celebrare l’essenza femminile che anima l’Universo? È forse l’opera di un “mostro”, così come lo definisce il popolo? Oppure, come ipotizza Botticelli, è il piano di una setta nemica ai fedeli del Giglio? Una setta che si opporrebbe al loro progetto di costruire, nel nuovo mondo che Vespucci andrà a raggiungere, una società fondata sui valori dell’amore, della bellezza e della pace? Sarà Filippino Lippi ad improvvisarsi “detective” e a risolvere il mistero.


IO: Il fascino dell’arte in chiave thriller. Perché questa scelta?


STELLA STOLLO: Nell'intrecciare alla trama la vicenda dei delitti, non è stata tanto l’idea della sfumatura di giallo a stuzzicarmi, quanto la preziosa opportunità, offerta dalla narrativa storica, di evidenziare come certe caratteristiche dell’essere umano rimangano immutate nel corso dei secoli, dando luogo al ripetersi delle stesse brutture, discriminazioni e ingiustizie. I delitti descritti nel romanzo rimandano a una delle caratteristiche più orribili della nostra società e dei nostri tempi, ovvero la violenza fisica e psicologica di cui sono spesso oggetto le donne, fino ad arrivare all'assassinio brutale.


IO: Hai altre passioni? Quali?…


STELLA STOLLO: I gatti, i fiori, la cucina, il cinema. E un viaggio ogni tanto, quando è possibile: è il mezzo più potente che conosco per sfuggire al mal di vivere.


IO: Il sondaggio del momento: e-book o cartaceo?


STELLA STOLLO: Se l’e-book serve a diffondere la lettura, soprattutto tra i giovani, ben venga! Anch’io mi ritrovo spesso, per motivi economici, a comprare la versione digitale di un’opera. Certo, il piacere di sfogliare e annusare un libro è insostituibile! A me, poi, piace tanto sottolineare a matita le frasi che più mi colpiscono, quasi per catturarle. Con l’evidenziatore del tablet non è la stessa cosa…


IO: Dove si possono trovare le tue opere?


STELLA STOLLO: Sul sito di ARPANet: ARPANet.it
Sul sito ilmiolibro :ILMIOLIBRO.it
Le versioni e-book dei tre romanzi già pubblicati si trovano nei principali e-store.
“I delitti della Primavera” sarà acquistabile sul sito di Graphofeel: GRAPHOFEEL.it
.
IO: Grazie per la disponibilità e per l’intervista. Tanti in bocca al lupo per tutto ciò che desideri.



STELLA STOLLO: È stato un vero piacere. Grazie mille a te, Vittoriano, per avermi ospitata sul tuo blog. Un saluto a tutti i tuoi lettori.

NON C’E STATO IL TEMPO



La storia del rimpianto nei versi di questa canzone che ho scritto nel 1997, tratta dall'album omonimo.

Melodia dalle atmosfere elegiache, Non c’è stato il tempo è l’attimo fuggente che non è stato colto, l'orologio impazzito che spazza via il momento della riflessione, la ricerca delle cose e degli affetti che contano di più.

La velocità del tempo si contrappone ai pensieri che sopravvivono al proprio vissuto, come fiori che, prima ancora di sbocciare, appassiscono nelle immense praterie incolte.

NON C'E' STATO IL TEMPO
 (V. Borrelli)

Non c'è stato il tempo per guardarci dentro
ed innamorarci anche contro il vento
Io ti avrei portata dove non sei stata
e ti avrei capita anche se la vita
in fretta ti ha smarrita
e hai vissuto sola con la mente vuota

Non c'è stato il tempo per accarezzarci
e sfiorarci dentro senza aver paura
di scoprire in fondo questo sentimento
che soltanto adesso lo sentiamo nostro

Non c'è stato il tempo per ricostruire
e cercarci ancora oltre questa fine
Io ti avrei sospinta come foglia al vento
e ti avrei raggiunta anche in capo al mondo
ridandoti la vita
come una conquista dopo la tempesta

Non c'è stato il tempo per ridisegnare
con colori accesi giorni spesi male
Io ti avrei convinta a cambiare vita
oltre ogni dubbio fuori dalla nebbia

Non c'è stato il tempo per mandare all'aria
quei discorsi strani che facevi seria
quando ci bastava solo una canzone
per rappresentare questo nostro amore



TRATTO DA:" Le parole del mio tempo"

L'OSCAR DELLA DISCORDIA

The winner is: La grande bellezza”. Nella notte degli Oscar 2014 il film di Paolo Sorrentino si aggiudica l'ambita statuetta dopo quindici anni dall'ultima affermazione con “La vita è bella” di Roberto Benigni.

Non sono tuttavia mancate le polemiche come quella sollevata da Sabrina Ferilli, una delle attrici del cast. La regina dei sofà si è letteralmente infuriata per non essere stata invitata alla premiazione dopo la sua “brillante” recitazione (un nudo integrale sotto lo sguardo assente del protagonista). Per intanto si “consola” con il tapiro d'oro di Striscia la notizia in attesa di sogni di gloria più propizi.

A parte questo insolito fuori programma, “La grande bellezza” ha indubbiamente suscitato nell'opinione pubblica giudizi contrastanti e non proprio lusinghieri, a dispetto del riconoscimento ottenuto, segnando una sorta di spaccatura tra la critica c.d. di élite e quella più spicciola e popolare.

E’ un dato di fatto che il film del regista napoletano, uscito nelle sale cinematografiche nel 2013, non abbia registrato grandi affluenze. Nemmeno la recente programmazione sulle reti Mediaset , pur seguita da otto milioni di telespettatori, ha fatto mutare l’opinione prevalente che è rimasta sostanzialmente delusa. 

Ai più è apparso persino irriverente il paragone con altre opere cinematografiche di ben altro spessore come “La dolce vita” di Fellini o la menzionata “La vita è bella”, molto più intense e coinvolgenti.

I dialoghi incomprensibili dei protagonisti e il contenuto insipido della storia hanno fatto da contraltare ad una rappresentazione scenica, senza dubbio godibile, ma non sufficiente di per sé a catalogare il film super- premiato fra quelli “immemorabili”. Forse il regista ha voluto creare questa contrapposizione per dimostrare quanto la grande bellezza, nelle sue proporzioni smisurate, faccia “abbagliare” e rendere vacui coloro che ne rimangono folgorati.

Certo è che il tema della bellezza, già affrontato da Fazio nel recente Sanremo con risultati non eccellenti, non riesce proprio a catturare l’interesse e l’entusiasmo della gente, forse distratta da altre preoccupazioni.

E di questi tempi la vera bellezza non è ciò che si vede ma è quella che ciascuno di noi riesce a "sentire" e a "comunicare" da ... dentro.

LE IDENTITA’ CULTURALI

L’era della globalizzazione sta spazzando via le identità culturali disperdendole nel cosmo come retaggi storici del nostro passato.

Un tempo era facile, intuibile e comprensibile l’identificazione di un popolo attraverso le sue tradizioni, gli usi e i costumi, finanche nel linguaggio, nell'idioma come forma univoca di comunicazione e di assonanza di un comune sentire.

Nelle società tribali, ad esempio, l’organizzazione sociale era caratterizzata dal perseguimento di idee di solidarietà e di comunione d’intenti, oltre che di origini. Tutto era basato su una disciplina comune, accettata e condivisa da una etnia riconosciuta e riconoscibile, che sapeva imporsi e farsi imporre. Esempi di società tribali ve ne sono tutt'oggi nei cc.dd. paesi sottosviluppati, ma guardando alla loro organizzazione, semplice e unitaria, ci si chiede se il progresso abbia davvero portato con sé modelli sociali evoluti e più efficaci.

Nell'era moderna le identità culturali si sono via via associate a simbolismi rappresentativi della storia di un popolo piuttosto che delle sue radici, sicché l’eredità storica che doveva  costituirne il fondamento e il “collante” con le generazioni future, si è andata disperdendo in luogo di una coscienza sociale proiettata più nell'attualità o nel futuro prossimo.

Si associa, ad esempio, Londra al Big Ben, Parigi alla Torre Eiffel, New York alla Statua della Libertà e, fino al 2001, alle Twin Towers, ma le popolazioni di queste metropoli si sono nel frattempo trasformate al punto da allontanarsi quasi del tutto dalla storia che le ha rappresentate.

Proprio il tragico abbattimento delle Torri gemelle ha trasformato la storia del mondo con un taglio deciso con il passato: niente da quel momento sarebbe stato più come prima.

Da quell’11 settembre 2001 si è assistito al decadimento delle identità culturali, le cui avvisaglie in Italia si erano già avute negli anni ’90 con “Tangentopoli” e con la fine della c.d. “Prima Repubblica”.

Rispetto all'era moderna, i periodi storici del passato erano molto più identificativi di una precisa corrente culturale che si sviluppava in aderenza al contesto sociale di cui era espressione. Si pensi alla cultura rinascimentale o a quella del neorealismo del secolo scorso.

Nell'epoca attuale si fa molta più fatica ad essere parte di un contesto o di una comunità poiché mancano regole sociali accettate e condivise, in una parola manca il senso di appartenenza al gruppo, all’etnia (nel senso più ampio del termine), all’organizzazione storico-culturale.

Complice una politica distante dalle reali esigenze della comunità governata, e sotto la spinta della globalizzazione del tutto e del niente, il massimo senso dello Stato si riscontra a malapena alzandosi in piedi allo stadio per ascoltare l’inno della nazionale di calcio. 

Serve allora un deciso cambio di rotta perché le politiche apparentemente egualitarie finiscono col rendere indifferenziate le “differenze”, minando alla base le precipue identità culturali che rischiano così di dissolversi come le più tipiche espressioni del nostro essere.