MISSIONE COMPIUTA!

Quando ho iniziato a leggere “Esperance: una missione per due”, il nuovo libro di Flavio Standoli, sono stato favorevolmente colpito dalla qualità dello scritto e in particolare dalla sintassi e dall'impostazione del tessuto narrativo ben curate e senza sbavature.

Durante la lettura ho pensato, in alcuni frangenti, che se a scrivere una storia così avvincente e coinvolgente fosse stato un autore celebre non ci avrei trovato alcuna differenza. Questo per sottolineare che ci sono tanti autori esordienti che sanno scrivere bene e che meritano ben altri palcoscenici, ben altra visibilità e consensi. Per Standoli il mio augurio è che possa presto raggiungere una fetta di lettori sempre più ampia e consona alla sua bravura.

Romano, classe 1973, Flavio Standoli ha esordito come autore due anni orsono con “Il deserto e la neve”. Si ripropone con un romanzo nel quale la solidarietà, l’aiuto silenzioso ma operoso per il prossimo, rappresentano il filo conduttore di una matassa intricata e intrigante che si srotola man mano che i personaggi e le loro vicende prendono forma e sostanza.

Ambientato nell’Africa dei tempi moderni, ancora funestata dal sottosviluppo e dalla sottocultura, il romanzo narra le gesta dei nuovi eroi, che sono quelle persone comuni che in punta di piedi e senza troppi proclami decidono di portare a compimento una missione, -la ricostruzione di alcuni villaggi-, affrontando con coraggio varie insidie e difficoltà, fra le quali,  le “solite” intromissioni dei poteri forti.

C’è tutto l’impegno sociale di Standoli nel sottolineare con forza e determinazione l’importanza di mettere al servizio degli altri il proprio contributo, giacché nessuna ricchezza interiore è tale se rimane fine a se stessa.

Nell'intervista che riporto di seguito l’autore romano si racconta offrendo con dovizia di particolari aspetti forse reconditi dell’opera, ma che sono di sicuro interesse per quei lettori appassionati delle storie di avventura a sfondo umanitario. E già solo per questo si può dire che la  missione di Standoli è ... ampiamente compiuta!


IO: Esperance: una missione per due” esce a distanza di due anni dal tuo primo libro “Il deserto e la neve”. C’è un collegamento tra le due opere?

FLAVIO STANDOLI: Caro Vittoriano, grazie per la tua ospitalità, in realtà le storie sono molto diverse, anche se in entrambi i romanzi i personaggi divengono protagonisti loro malgrado. Ciò che adoro in un’avventura è il modo in cui le persone affrontano l’azione e come, quest’ultima, si trasformi progressivamente in un’occasione di cambiamento.

IO: Nel tuo ultimo libro il fascino dell’avventura s’intreccia con temi impegnativi come la solidarietà, l’aiuto per il prossimo, il bisogno di sentirsi realizzati rendendosi utili agli altri. Quanto, secondo te, questi valori sono importanti in una società, come quella odierna, apparentemente multirazziale ma sempre più proiettata all'isolamento culturale?

FLAVIO STANDOLI: Credo che nella società odierna, desiderio di protagonismo e successo all'americana abbiano coniato la moneta più forte attualmente in circolazione. I mass media ce la vendono come filosofia di vita e appesantiti da questo metallo affrontiamo lunghi periodi di crisi ragionando esclusivamente con la pancia: l’intolleranza viene sfogata verso i più deboli, quelli che soffrono di più le scelte scellerate dei grandi timonieri, tutti alternano con disinvoltura i ruoli di vittime e carnefici, o si frega o si viene fregati, e allora a morte lo straniero che ci ruba posti di lavoro e riempie i letti dei nostri ospedali, a morte gli omosessuali, che impediscono la ripresa perché privi di valori, a morte l’arte, a morte la cultura, a meno che non sia quella recensita da giornali a tiratura nazionale che ormai non compra più nessuno. Non mi limiterò a dire quanto siano importanti in qualsiasi società valori come tolleranza e solidarietà. Fortunatamente oggi l’isolamento culturale è una scelta, per disintossicarsi e riacquistare la propria umanità consiglio una semplice ricetta: spegnete la TV, uscite a socializzare e imparate bene una seconda lingua, utilizzate internet come se fosse un treno per arrivare a destinazione, e non uno yacht su cui restare a villeggiare.

IO: La fede religiosa, altro tema del romanzo, ha un ruolo fondamentale nelle vicende e nelle scelte dei protagonisti. Sembra quasi il tentativo di recuperare un valore oggi fortemente in discussione. Qual è l’analisi che ne hai tratto?

FLAVIO STANDOLI: Nell'esplorare i contrasti emotivi che vivono i personaggi, non si può non affrontare il tema della religione. Fondamentalmente è la spiritualità dei soggetti a ritmare costantemente l’evoluzione degli eventi. Personalmente sono dell’idea che Islam, Ebraismo e Cattolicesimo abbiano causato direttamente o indirettamente più vittime di qualsiasi altra calamità naturale (anche se nel 99% dei casi vengono utilizzate come paravento per coprire cause molto più materiali), eppure chi veramente crede in una delle grandi religioni monoteiste (l’1% circa delle folle che si riuniscono settimanalmente nei luoghi di culto) può realizzare imprese eccezionali, dimostrare infinita passione, offrire ineguagliabili esempi di solidarietà e tolleranza. L’opera principalmente mette in evidenza un aspetto: più che sulle parole di un uomo, meglio concentrarsi sulle sue azioni.

IO: La corruzione, la mercificazione delle relazioni in nome del Dio denaro rappresentano l’altra faccia della medaglia contro cui si snodano le azioni positive dei protagonisti migliori. La forza dell’amore vince sempre?

FLAVIO STANDOLI: I fatti avvengono e sono ignari delle emozioni che li scatenano. L’amore vince ininterrottamente, è un processo continuo, ognuno ha i suoi motivi per vivere e morire, tradire, abbandonare o restare. Posso essere più esplicito con un esempio: tra “ama e fa’ ciò che vuoi” di S. Agostino e i dieci comandamenti, preferisco i dieci comandamenti. L’amore vince sempre, quindi meglio essere chiari e spiegare chi e come s’intende amare.

IO: La struttura del romanzo è ricca di capitoli che paiono assimilarsi alle pagine di un diario scritto per “mano” degli stessi protagonisti. Perché questa scelta?

FLAVIO STANDOLI: Autonomia e innovazione, due aspetti che ho voluto condensare in un’opera in cui il protagonismo dell’autore è finalmente annientato. La scena è lasciata ai personaggi: sono loro a vivere all'interno del romanzo, e non nascono per recitare un semplice copione: gli eventi scorrono raccontati con i loro occhi e il compito di giudicare scelte e conseguenze spetta esclusivamente al lettore.

IO: Hai dichiarato che i tuoi eroi preferiti sono “le persone comuni che sanno mettersi alla prova”. In effetti, in una società sempre più contrassegnata dal protagonismo, le buone azioni comuni sono delle vere e proprie imprese eroiche. Cosa bisogna fare affinché queste importanti risorse siano più valorizzate?

FLAVIO STANDOLI: Imparare a riconoscere le occasioni che ci fanno sentire bene. Un aspetto della lotta interiore che s’innesca in alcuni “eroi” di Esperance è proprio il fatto di scoprire di essere ciechi, alla continua ricerca di qualcosa di meglio, senza tendere per qualcosa che abbia la semplice facoltà di farli stare bene. Mettersi alla prova significa esporsi al ridicolo, alla reazione violenta degli altri, è un rischio destinato ad aprirci gli occhi, ma solo se saremo bravi a gestire vergogna e fallimenti, un bagaglio con cui tutti dovremmo imparare a viaggiare verso orizzonti più ampi.

IO: E’ più difficile scrivere un romanzo o promuoverlo? Qual è secondo te l’impegno di uno scrittore dopo la pubblicazione di un suo libro?

FLAVIO STANDOLI: Promuovere un’opera è un dovere a cui uno scrittore non può sottrarsi: è una questione di rispetto! Il romanzo è qualcosa di vivo, un essere che nasce per essere apprezzato e interagire con il lettore. Personalmente è questo che mi spinge a sostenere le fatiche della promozione, che non è né semplice, né difficile, ma solo piuttosto noiosa. Per la scrittura invece, aggettivi come “semplice” o “difficile” li trovo fuori luogo, scrivere è una maratona sotto il sole rovente, sei lì a correre e non ti chiedi quanto sia difficile, ma solo quanto sarai cambiato quando taglierai il traguardo. Entrambe le azioni richiedono sacrificio, e la scrittura può ripagarti di tutto l’impegno perché dipende esclusivamente da te. La stessa cosa non vale per la promozione: impegno e successo non sono direttamente correlati, allora il segreto sta proprio tra le mani di quella manciata di lettori: l’email di congratulazioni che ti arriva, il commento positivo di uno sconosciuto, la recensione entusiastica di una blogger. In fondo è pur sempre vero che si vive di piccole cose.

IO: Secondo te c’è bisogno di un’educazione alla lettura o pensi che le nuove opportunità multimediali, come il self-publishing, ne abbiano facilitato il compito?

FLAVIO STANDOLI: Assolutamente sì, internet ha facilitato l’accesso all'informazione e alla cultura, oggi si legge molto di più rispetto al passato, anche se testate giornalistiche e case editrici in fallimento raccontano spudoratamente il contrario. Il punto è che lettori e scrittori si stanno frammentando in una miriade di micro universi dove i poteri forti stentano a imporsi. Il problema è che le persone, al contrario di chi sosteneva che con la globalizzazione si sarebbero omologate, hanno diversificato i propri gusti, e nel contempo i grandi brand hanno perso credibilità con scelte editoriali scellerate. Il futuro della lettura, grazie al WEB, è salvo.

IO: L’ultimo libro che hai letto.

FLAVIO STANDOLI: Anche se non amo i classici, per tenere allenato il mio stentato inglese, sto finendo di leggere in lingua originale la versione epub gratuita di una raccolta di brevi storie fatta da un americano agli inizi del novecento. Dentro ho trovato persino un racconto di Edgar Allan Poe e se sapessi meglio l’inglese forse avrei potuto imparare anche qualcosa di più.

IO: Oltre alla scrittura hai altre passioni?

FLAVIO STANDOLI: Ne ho troppe, mi appassiono a tutto e il tempo non è clemente. Tra le attività che preferisco c’è sicuramente il giardinaggio. L’astronomia per il momento l’ho dovuta abbandonare, già dal pomeriggio mi ritrovo con gli occhi troppo stanchi per ammirare le stelle.

IO: Un sogno che vorresti tirare dal cassetto?

FLAVIO STANDOLI: Tutti i miei sogni li ho tirati fuori e ci sto lavorando, è una sensazione davvero unica. Se potessi dare un consiglio a tutti gli amici disposti a lasciare ancora i sogni nei cassetti direi che la vita è breve: cancellate paura e pigrizia dal vostro vocabolario.

IO: Dove si possono trovare le tue opere?

FLAVIO STANDOLI: Sono in vendita sul sito Amazon, in formato ebook e brossura. Per “Esperance: una missione per due” ho creato anche un blog dove scaricare in pdf i primi capitoli in lettura gratuita:
(http://esperanceunamissioneperdue.wordpress.com/).
Grazie a tutti coloro che vorranno gettare temporaneamente l’ancora su questa sperduta isola.

IO: Grazie per l’intervista. E tanti in bocca al lupo per il futuro.

QUEL MOTIVETTO CHE MI PIACE TANTO

Canto quel motivetto che mi piace tanto, e che fa ….”.  I meno giovani ricorderanno questa simpatica canzoncina degli anni ’40 dell’orchestra di Pippo Barzizza, che fu anche lo slogan (parafrasato) di un famoso spot del mitico carosello.

Sotto la doccia, in bicicletta o viaggiando in auto ci capita di canticchiare o fischiettare la nostra canzone preferita, magari quella che ci spinge al buon umore o ci fa ricordare un momento piacevole della nostra vita.

E’ un esercizio “canterino” che facciamo volentieri soprattutto durante le vacanze, quando le tensioni o lo stress da lavoro si allentano per far posto ad occupazioni o pensieri più distensivi.

Purtroppo questo particolare vezzo è messo a dura prova dalle proposte musicali degli ultimi anni, in gran parte scadenti o poco orecchiabili, tanto da essere dimenticate in fretta.

Nemmeno la kermesse di Canale 5, “Coca Cola Summer Festival 2014”, giunta alla seconda edizione, pare smentire il trend delle ultime estati contrassegnate da canzoni non eccelse, in molti casi anonime e fuggevoli prima ancora che si aprano le porte dell’autunno.

I miei adorati figlioli mi dicono scherzosamente (ma non troppo) che sto diventando vecchio e nostalgico  quando il motivetto che mi piace tanto è

… una canzone di Gianni Bella, "Non si può morire dentro", che mi fa ritornare agli anni della mia adolescenza e delle prime festicciole a casa di amici;

… una canzone di Claudio Baglioni, "E tu," che mi fa ripercorrere con la mente le lunghe passeggiate in riva al mare alle prese con le prime cotte e filarini;

… una canzone di Eros Ramazzotti,Adesso tu”, che mi ricorda il primo bacio con la ragazza che sarebbe diventata mia moglie …

Ogni estate ingaggio una discussione con la mia prole sui brani da inserire nel nostro CD “familiare”. Non trovandoci mai d’accordo sulla canzoni preferite, arriviamo al solito compromesso: ogni componente della famiglia (siamo in quattro) sceglie i suoi dieci brani preferiti disposti in ordine rigorosamente cronologico (dal più vecchio al più giovane): papà, mamma, figlia, figlio.

Così quando siamo in macchina e arriva il mio turno, mi godo … quel motivetto che mi piace tanto, incurante dei “sogghigni” che sento arrivare dai miei compagni viaggiatori.

Mi rilasso con la mente. E sorrido divertito.

INNI SACRI

Tra i misuratori del senso di appartenenza di un popolo alla propria nazione, quello dell’inno nazionale celebrato in occasione di eventi istituzionali o più semplicemente di manifestazioni sportive, è di sicuro il più visibile ed immediato.

Si dice che l’indole di ciascuno di noi si percepisce dai piccoli particolari, da quelle sfaccettature apparentemente insignificanti ma che considerate nell'insieme o contestualizzate in un dato momento, danno l’idea di quello che si nasconde dietro le apparenze.

Siffatta analisi dei comportamenti può essere elaborata, sia pure in maniera spicciola, prendendo spunto da uno degli eventi sportivi più popolari: i mondiali di calcio che stanno per concludersi in Brasile.

La carrellata degli inni nazionali che precede l’esibizione delle varie squadre partecipanti, è una spia non solo del folklore tipico delle manifestazioni di giubilo dei tifosi, ma anche e soprattutto del senso di fierezza e di pathos rinvenibile negli sguardi e negli atteggiamenti dei protagonisti.

Compagini dell’America latina, notoriamente meno sviluppate, come l’Ecuador, il Cile, la Costa Rica e lo stesso Brasile, hanno intonato il proprio inno con una passione e una verve quasi commovente: mano sul cuore, capo verso l’alto e un’esibizione corale all'unisono con le migliaia di sostenitori che hanno sventolato festanti e con orgoglio la bandiera del proprio paese.

Altri paesi c.d. più evoluti, si sono divisi a metà lo scettro della migliore rappresentazione scenica: i tedeschi, forse intimoriti dagli occhi vigili della Merkel, se la sono cavata con sufficiente determinazione, memori del loro passato turbolento che li ha visti prima abbattuti e poi risollevati con nuova linfa.

I russi (che hanno l’inno tra i più belli), nonostante la perestrojka, hanno dimostrato un saldo attaccamento alla propria terra, quasi un “remake” nostalgico delle antiche repubbliche socialiste sovietiche. Per loro l’occidentalizzazione non ha soppiantato le tradizioni popolari che sono sopravvissute alla grande stagione dei cambiamenti iniziata con Gorbaciov.

Infine, l’Italia. E qui casca l’asino! Dopo l’opera di sensibilizzazione avviata dal compianto Presidente della Repubblica Sandro Pertini all'indomani della vittoria mundial di Spagna ’82, si sta ritornando agli anni bui del “religioso” silenzio e della dimenticanza del testo di Mameli. Dai nostri atleti connazionali si sono colti sguardi spenti, bocche cucite o labiali non in sintonia con le parole e le note dell’inno. A ciò si aggiunge la polemica di Balotelli che su Twitter ha preferito glissare sulla sua performance invocando (impropriamente) l’Africa quale modello per la difesa dei valori di uno Stato.

Credo invece che il colore della pelle c’entri poco, come pure le solite accuse sugli stipendi d’oro a motivo dello scarso impegno profuso. Gli onori del proprio Paese non si misurano con la professionalità ma si difendono, anche attraverso lo sport, con ben altro spirito e partecipazione.

E’ un fatto di cultura, di un comune sentire che purtroppo nel nostro Paese si sta disperdendo.

Siam pronti alla morte”, recita Mameli. Ma in questo periodo storico il finale dell’inno sarebbe:

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò: NO!”

IO UCCIDO

Questa recensione l’avevo programmata per la fine di luglio. La triste notizia della scomparsa dello scrittore mi ha fatto anticipare i tempi. Questo post lo dedico alla sua memoria. Un altro talentuoso artista che ci lascia …

Il romanzo d’esordio di Giorgio Faletti ha subito conquistato gli appassionati del thriller ottenendo in poco tempo un successo dalle proporzioni forse inaspettate (oltre quattro milioni di copie vendute) ma sicuramente meritato per la verve e l’acume narrativo  già sapientemente mostrati.

L’ex “Signor Tenente”, brano con il quale ottenne nel Sanremo’94 un clamoroso successo sbaragliando i più collaudati big della canzone, dopo aver smesso i panni del comico e del cantautore, ha intrapreso agli inizi del nuovo millennio la carriera dello scrittore inanellando una serie di gialli (ben sei) nell'arco di un decennio.

Ma “Io uccido”, uscito nel 2002, è sicuramente il suo romanzo migliore. Trama ricca di colpi di scena nella quale il colpevole non è il solito maggiordomo, bene “ordita” da Faletti soprattutto sotto la componente psicologica dei protagonisti.

Il tema del serial killer, purtroppo molto attuale e presente nelle pagine di cronaca nera, àvoca in sé la devianza sociale del disadattamento, tipico sbocco naturale dei soprusi e delle violenze subite, soprattutto, in ambito familiare. Un corto circuito che scatta nella mente di chi da vittima si trasforma in carnefice, complice una società assente o impreparata a captarne i segnali d’allarme.

Ci sono tanti “Io uccido” che si aggirano intorno a noi e che si manifestano nelle forme più svariate: con le parole (che a volte fanno più male dei …colpi di fucile), con le prepotenze infime e subdole, ovvero mascherate da apparenti benevolenze e, infine, con la violenza fisica e psicologica. Modi ed espressioni che hanno come comune denominatore l’incapacità di costruire e di costruirsi  in un mondo dalle facili inclinazioni distruttive.

E’ questo il messaggio che Faletti ha voluto dare raccontando una storia dal titolo inquietante ma molto vicina alle “ordinarie” follie dei nostri giorni …

LA TRAMA: Un misterioso serial killer sta seminando panico e scompiglio nel Principato di Monaco. Il pluriomicida usa una tecnica molto particolare: preannuncia l’uccisione delle sue vittime facendo ascoltare, nel corso di un programma radiofonico curato dal dee-jay Jean-Loup Verdier, un brano musicale che sarà la chiave di volta per la soluzione del giallo. La ferocia con la quale vengono commessi gli omicidi  nasconde un terribile segreto che ha le sue radici nell'infanzia turbolenta dell’assassino …

UN PASSO DEL LIBRO: “Anche in questo siamo uguali. L’unica cosa che ci fa differenti e che tu, quando hai finito di parlare con loro, hai la possibilità di sentirti stanco. Puoi andare a casa e spegnere la tua mente e ogni sua malattia. Io no. Io di notte non posso dormire, perché il mio male non riposa mai.”
“E allora tu cosa fai di notte, per curare il tuo male?”
“Io uccido …”

L’AUTORE: Giorgio Faletti è nato ad Asti nel 1950. La sua carriera di scrittore, sia pure tarda, è contrassegnata da tanti best seller come “Niente di vero tranne gli occhi (2004), “Fuori da un evidente destino” (2006), “Pochi inutili nascondigli” (2008), “Io sono Dio” (2009), “Appunti di un venditore di donne” (2010), e “Tre atti e due tempi” (2011). Muore all'ospedale Molinette di Torino il 4 luglio 2014 all'età di 63 anni.


GIUDIZIO: Giallo accattivante, ben scritto dall'autore che ha il dono di curare ogni aspetto dell’opera: dai personaggi, magistralmente tratteggiati, al tessuto narrativo che fila liscio fino all'esito finale che non delude le aspettative del lettore. La poliedricità dell’artista Faletti costituisce la rara eccezione che si può essere primi in tutte le varie espressioni creative solo se si ha vero talento …