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UNA VITA DIVERSA

INNI SACRI

Tra i misuratori del senso di appartenenza di un popolo alla propria nazione, quello dell’inno nazionale celebrato in occasione di eventi istituzionali o più semplicemente di manifestazioni sportive, è di sicuro il più visibile ed immediato.

Si dice che l’indole di ciascuno di noi si percepisce dai piccoli particolari, da quelle sfaccettature apparentemente insignificanti ma che considerate nell'insieme o contestualizzate in un dato momento, danno l’idea di quello che si nasconde dietro le apparenze.

Siffatta analisi dei comportamenti può essere elaborata, sia pure in maniera spicciola, prendendo spunto da uno degli eventi sportivi più popolari: i mondiali di calcio che stanno per concludersi in Brasile.

La carrellata degli inni nazionali che precede l’esibizione delle varie squadre partecipanti, è una spia non solo del folklore tipico delle manifestazioni di giubilo dei tifosi, ma anche e soprattutto del senso di fierezza e di pathos rinvenibile negli sguardi e negli atteggiamenti dei protagonisti.

Compagini dell’America latina, notoriamente meno sviluppate, come l’Ecuador, il Cile, la Costa Rica e lo stesso Brasile, hanno intonato il proprio inno con una passione e una verve quasi commovente: mano sul cuore, capo verso l’alto e un’esibizione corale all'unisono con le migliaia di sostenitori che hanno sventolato festanti e con orgoglio la bandiera del proprio paese.

Altri paesi c.d. più evoluti, si sono divisi a metà lo scettro della migliore rappresentazione scenica: i tedeschi, forse intimoriti dagli occhi vigili della Merkel, se la sono cavata con sufficiente determinazione, memori del loro passato turbolento che li ha visti prima abbattuti e poi risollevati con nuova linfa.

I russi (che hanno l’inno tra i più belli), nonostante la perestrojka, hanno dimostrato un saldo attaccamento alla propria terra, quasi un “remake” nostalgico delle antiche repubbliche socialiste sovietiche. Per loro l’occidentalizzazione non ha soppiantato le tradizioni popolari che sono sopravvissute alla grande stagione dei cambiamenti iniziata con Gorbaciov.

Infine, l’Italia. E qui casca l’asino! Dopo l’opera di sensibilizzazione avviata dal compianto Presidente della Repubblica Sandro Pertini all'indomani della vittoria mundial di Spagna ’82, si sta ritornando agli anni bui del “religioso” silenzio e della dimenticanza del testo di Mameli. Dai nostri atleti connazionali si sono colti sguardi spenti, bocche cucite o labiali non in sintonia con le parole e le note dell’inno. A ciò si aggiunge la polemica di Balotelli che su Twitter ha preferito glissare sulla sua performance invocando (impropriamente) l’Africa quale modello per la difesa dei valori di uno Stato.

Credo invece che il colore della pelle c’entri poco, come pure le solite accuse sugli stipendi d’oro a motivo dello scarso impegno profuso. Gli onori del proprio Paese non si misurano con la professionalità ma si difendono, anche attraverso lo sport, con ben altro spirito e partecipazione.

E’ un fatto di cultura, di un comune sentire che purtroppo nel nostro Paese si sta disperdendo.

Siam pronti alla morte”, recita Mameli. Ma in questo periodo storico il finale dell’inno sarebbe:

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò: NO!”

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