LA LUCE OLTRE

“Ninuccia cara, quest’anno il giro al cimitero sarà più lungo.” Ascoltavo le parole di zia Rosa rivolte a mia madre, mentre disegnavo sui vetri appannati della finestra della cucina un sole grande e sorridente; in cuor mio speravo che spuntasse davvero dal cielo nuvoloso di quella mattina di fine ottobre.

“Cosa voleva dire la zia?”, chiesi più tardi alla mamma.
“Per il 1 novembre dovremo far visita a un altro parente che ci ha lasciati.”
Ecco il giro lungo, pensai tra me. La cosa però non mi turbò. Come ogni anno ero impaziente di curiosare tra le bancarelle che sarebbero state allestite lungo il viale di casa mia. Già pregustavo tutte quelle bontà che mi facevano luccicare gli occhi, come il pan dei morti, dolci tipici del periodo ricoperti di tanto zucchero. Mia madre me ne comprava sempre un sacchetto insieme a una buona scorta di caramelle e di torrone alle mandorle.

Quella mattina mi recai al cimitero con la famiglia al completo: papà, mamma e sorella maggiore. All'ingresso c’erano altri parenti, zii e cugini, che ci aspettavano con fiori, lumini e qualche fazzoletto pronto per l’uso. Nel cielo nuvole scure si addensavano massicce preparando l’inizio della prima pioggia novembrina.

Cominciammo il giro. La tomba della nonna non era in buono stato: la foto spostata all'angolo della lapide, rimasugli di foglie ingiallite sparse qua e là e il vasetto delle orchidee con poca acqua. Ma le donne della “truppa” non si persero d’animo e passarono subito all'azione. C’era chi puliva con uno straccetto ogni parte del sepolcro, chi si recava al lavatoio per il ricambio dell’acqua, chi si occupava dei nuovi fiori da sistemare e chi invece accomodava gli oggetti nella giusta posizione.

“Dovrò parlare con il personale del cimitero”, si lamentò papà. “Avevo raccomandato di dare ogni tanto un’occhiata alla tomba. Vedo che non mi hanno ascoltato.”
“Tu prova ad aumentare la mancia”, propose mia madre. “Forse non sono contenti di quello che gli diamo”.

Andammo da Cesira.

Era una bambina morta vent’anni prima per un male incurabile. Si diceva che facesse miracoli e che le sue spoglie fossero, anche dopo l’ultima esumazione, ancora intatte. Aveva al suo seguito un gran numero di visitatori, a lei devoti per le guarigioni più difficili e insperate.

La tomba era quasi tutta ricoperta di fiori che a malapena si notava la foto, piuttosto sbiadita, di una fanciulla dal volto sorridente con tanti riccioli biondi. I miei si allontanarono per far visita a zio Luciano, l’ultimo della lista dei “più”, ed io rimasi solo con mia sorella. Tirai dalla tasca il sacchetto dei pan dei morti e depositai un biscotto sulla tomba di Cesira. Mia sorella annuì con un sorriso accarezzandomi il capo.

Ci avviammo all'uscita del cimitero dove trovammo i miei e gli altri parenti che si scambiavano gli ultimi saluti. Ad un tratto sbucò da quella piccola folla una bambina bellissima, simile a Cesira, che si avvicinò a me schioccandomi un bacio sulla guancia e sussurrandomi all'orecchio: “Grazie del dolcetto”. Chiusi istintivamente gli occhi ma quando li riaprii la bambina non c’era più. Mi girai verso l’ingresso del cimitero e una luce oltre il viale dei cipressi apparve come un arcobaleno dopo la tempesta.

“Riccardo, sbrigati a salire!”, gridò mio padre mentre apriva lo sportello della macchina. Mi accomodai sul sedile posteriore con mia sorella che mi aiutava a sistemare il berretto e la sciarpa. Sui vetri appannati del finestrino disegnai di nuovo il mio sole sorridente, illuminato di quella “luce oltre” che mi accompagnò fino al ritorno a casa.


(“LA LUCE OLTRE”. Racconto breve di V. Borrelli)

IL PAESE DEI VECCHI

I vecchi e la musica: un binomio spesso vincente grazie anche alla tenerezza che questa categoria di persone, oggi comunemente definita “diversamente giovani”, riesce a suscitare negli uditori più sensibili.

In un mondo imperversato da rottamazioni e roba vecchia da buttare, la musica ci ricorda, per fortuna, l’importanza onorifica dei capelli bianchi, delle rughe che affiorano su volti animati dalla voglia di essere ancora utili e propositivi, a dispetto del tempo che passa e del futuro che, inesorabilmente, si accorcia sempre di più.

Vecchio, diranno che sei vecchio, con tutta quella forza che c’è in te …” Così cantava Renato Zero nella sua splendida e indimenticabile “Spalle al muro”, la hit sanremese che è diventata un cult della nostra musica leggera, ma anche il preludio all'avanzare di ideologie politico-sociali fondate sul rinnovamento generazionale.

I vecchi sempre tra i piedi, chiusi in cucina se viene qualcuno. I vecchi che non li vuole nessuno, i vecchi da buttare via.” Altri memorabili versi intonati da Claudio Baglioni in una delle canzoni più belle del suo repertorio, tratta dall'album “Strada facendo”, del 1981.

E andando indietro negli anni “Vecchio scarpone, fai rivivere tu la mia gioventù…”, intensa e commovente “amarcord” degli anni del dopoguerra portata al successo da Gino Latilla nel Sanremo del 1953 in coppia con Giorgio Consolini.

Avevo poco più di vent’anni quando con la mia famiglia visitai Pertosa, un grazioso paese del salernitano noto per le sue splendide grotte. L’atmosfera contadina, squisitamente genuina e rivelatrice di antiche tradizioni, come la cardatura della lana o la spremitura artigianale delle uve per il vino, m’ispirarono una canzone dedicata ai vecchi, alla loro sapienza e cupa rassegnazione in una terra paradisiaca ma dimenticata dal tempo.

Nacque così “Il paese dei vecchi”, brano dell’album “Personale” scritto nel 1982. Nel testo, la descrizione dei luoghi e delle abitudini di un piccolo paese, disegnano l’attesa della morte, intesa in senso metaforico come decadenza dei sogni e della genuinità dei sentimenti di fronte all'esodo massiccio verso le città industrializzate della società moderna.

E’ una delle canzoni cui sono particolarmente affezionato e che ancora oggi mi fa emozionare col suo ritmo incalzante ed evocativo degli antichi sapori di un tempo

IL PAESE DEI VECCHI
(V. Borrelli)


Nel paese dei vecchi non si pensa alla vita
solo qualche partita e un bicchiere di vino
Poi si aspetta il tramonto con la stessa apatia
e si intavolano discorsi uguali che volano via

Ogni tanto si vive
un amore per strada
Ogni tanto una macchina bussa o rallenta ma il tempo non passa
E si sta col silenzio
si ride sempre di meno
Poi magari qualcuno corre in bicicletta e strappa al cielo un inganno

Nel paese dei vecchi si lavora nei campi
si coltivano gli anni ancora umidi di pioggia
C'è qualcuno che canta in aperta campagna
altri che si ubriacano sopra letti di paglia

Si sta per delle ore
intorno ad un tavolino
e si aspetta la morte quasi fosse la notte della liberazione
Sotto il sole maturo
piange forte il futuro
Sull'asfalto tortuoso è tracciata di rosso la figura di uomo

Nel paese dei vecchi ci son pochi problemi
e per caso qualcuno se li inventa davvero
C'è chi parla da solo ed invoca il perdono
Tutto passa o resta ma per l'ultima festa

Questa pace è il preludio
ad un nuovo digiuno
Ma che poveri cristi così soli così tristi in questi tempi più pigri
Strade senza un'uscita
rimpianti in una valigia
e si fa anche l'amore con il sesso sul muro non se ne accorge nessuno


(Dall'album “Personale”-1982, stesso anno di registrazione  alla SIAE).

TRATTO DA "LE PAROLE DEL MIO TEMPO"

QUANDO NASCE UN ROMANZO

Le fonti d’ispirazione per scrivere un romanzo sono tante, molteplici, talvolta persino ingovernabili. Si parte da un’idea, uno spunto, un pensiero fuggente che si sviluppa strada facendo e che diventa molto spesso qualcosa di diverso rispetto a ciò che lo ha originato.

Umberto Eco, ad esempio, quando scrisse “Il nome della rosa” non aveva in mente di realizzare un romanzo storico: era partito semplicemente dall'idea di scrivere un giallo-poliziesco fondato su “I delitti dell’abbazia”, titolo originario dell’opera. L’impronta storico-filosofica nacque soltanto durante la narrazione, dopo un anno passato a cestinare centinaia di fogli bianchi.

Percorso simile venne compiuto due secoli prima da Alessandro Manzoni con “I Promessi Sposi”, l’opera più famosa della nostra letteratura, nata dal romanzo iniziale “Fermo e Lucia” per poi svilupparsi in una capillare rappresentazione (e sovrapposizione) delle vicende dei due protagonisti sotto la dominazione spagnola del seicento, che in verità erano speculari e riproduttive di quelle vissute dall'autore durante il dominio austriaco dell’ottocento.

Più travagliato è stato l’iter seguito da Alberto Moravia per scrivere “La vita interiore: ben sette anni e sette stesure (1971-1978), mentre l’Italia precipitava nel baratro del terrorismo sconfinando nell'esaltazione ideologica della rivoluzione studentesca post-sessantottina. Il deterioramento socio-culturale incarnato dalla giovane protagonista, Desideria, fu uno dei primi esempi del personaggio anti-eroe che si frappone come punto di rottura tra la decadente borghesia pariolina e il comunismo rivoluzionario.

E che dire di “Guerra e pace”? Il romanzo di Lev Tolstoj che in origine doveva raccontare la rivolta dei decabristi, membri di una società segreta che nella Russia imperiale organizzarono nel mese di dicembre del 1825 (da qui il termine “decabrista”) un moto rivoluzionario per sovvertire il regime zarista. Diventò tutt'altra cosa proiettando l’attenzione sulle vicende di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov,  durante la campagna napoleonica in Russia del 1812.

Non a caso ho citato questi quattro grandi capolavori della letteratura mondiale per dimostrare quanto la genialità sia qualcosa di primitivo, di irrazionale, non pianificabile ma fortemente vulnerabile rispetto al contesto storico in cui si manifesta.  Qui manca del tutto una progettualità narrativa predefinita: lo scrittore è indotto a scrivere secondo l’evolversi degli eventi, e si sa che le cose migliori nascono quando il genius germoglia in un tessuto sociale animato da una forte spinta ideologica.

Con le debite distanze rispetto agli illustri personaggi testé citati, anche la mia esperienza di cantautore e di scrittore è stata (ed è) fortemente condizionata dalle perturbazioni sociali del mio tempo. Le mie canzoni, ad esempio, nascono prima interiormente, sicché le parole e le musiche sono piuttosto il corollario di un percorso embrionale che arriva alla luce, alla stregua del viaggio di un bambino nel grembo materno.

Quando ho scritto “La prossima vita”, sono partito da un evento drammatico, la morte di mia madre, per raccontare una storia che in qualche modo elaborasse questo lutto. Mi sono così completamente identificato nel personaggio principale percorrendo con lui l’esperienza trascendentale della morte, per la quale il travagliato rapporto coniugale con la moglie Cinzia è stato semplicemente lo strumento per attestare la sopravvivenza dei buoni sentimenti.

E’ così per il nuovo romanzo che sto scrivendo, nato dalla lettura di un’opera celebre (che per il momento non svelo) e che si sta sviluppando con una trama del tutto inaspettata.

Insomma, gli spunti sono tanti, ma quando nasce un romanzo è sempre un evento. Grande o piccolo che sia, è come un figlio che tieni in braccio coccolandolo e riempendolo di cure prima di lasciarlo andare, libero di camminare nell'infinito mondo delle idee.

GRUPPO DI SCRITTORI IN UN INTERNO

Tizio ha pubblicato qualcosa nel gruppo “Parliamo dei libri”. Caio ha pubblicato qualcosa nel gruppo “Leggere allunga la vita”. Sempronio ha pubblicato qualcosa nel gruppo “Viva la lettura”. Sono i messaggi tipici che gli appassionati della scrittura ricevono tutti i giorni dai gruppi nei quali sono iscritti.

Sembra un tam tam che si eleva dalle foreste vergini dell’Africa e che non smette mai di suonare, martellante e insistente come il vociare di una combriccola di scalmanati sotto casa che non ti fa dormire, e che si perde in lontananza alle prime luci dell’alba.

Certo, lo scopo è benevolo: attirare l’attenzione sull'uscita dell’ultimo romanzo, dell’ultima poesia o scritto coronati da immagini di copertina, link e quant'altro per invogliare il lettore a scoprire, curiosare o acquistare il prodotto reclamizzato. Non c’è nulla da meravigliarsi, né da scandalizzarsi. Lo faccio anch'io, sia pure con discrezione e parsimonia.

Ma se le buone intenzioni ci sono tutte, gli effetti che ne scaturiscono non corrispondono quasi mai ai risultati attesi. Il motivo sta proprio nella composizione di questi gruppi di letterati, formata nella maggior parte dei casi da scrittori che non leggono altro che le proprie opere, e che magari “storcono” il naso se un “concorrente” s’intrufola nel social di turno.

Sono singole voci di un gruppo di scrittori in un interno, che non riesce a spaziare, librarsi e liberarsi di un meccanismo che invece di unire i propri consociati, li divide e li attanaglia senza intessere alcuna relazione che sia condivisione, confronto, scambio di opinioni. Solitudini che si moltiplicano con sporadici “mi piace”, il più delle volte di “cortesia” o supplicati ma raramente recepiti da lettori, nella migliore delle ipotesi, semplicemente “distratti”.

Peraltro, molti di questi gruppi registrano al proprio seguito migliaia di iscritti, ed è statisticamente impossibile che si crei all'interno degli stessi una folta schiera di amici (virtuali o non) dedita alla conversazione o all'interscambio culturale, come se ci si trovasse in un salotto letterario pieno di amanti della lettura. Accade invece di frequente che si creino dei sottogruppi di poche decine di adepti, che rappresentano tuttavia una goccia infinitesimale rispetto al totale degli iscritti.

E poi c’è la questione degli “spam”, ovvero dei link che richiamano la pagina o l’articolo integrale della notizia, che in alcuni gruppi vengono rimossi come la peste, in quanto tendenziosamente “commerciali” o di “disturbo” a chissà quali altri post che meriterebbero maggiore spazio o visibilità. Personalmente non condivido questo metodo selettivo adottato da coloro che si ergono a “giudici” in un campo vasto e disomogeneo come la cultura, finendo con l’essere essi stessi parziali o poco credibili.

La cultura, oltre che essere uno splendido viaggio nella conoscenza, è libertà di scrivere, di diffondere il proprio pensiero in tutte le forme possibili, incontrando il solo limite del rispetto e della buona educazione verso l’altrui persona.

Nel mio piccolo ho creato una communityLa forza del sapere, e un gruppoL’occasione di scrivere”, nei quali viene data a tutti la possibilità di esprimersi e di comunicare qualsiasi cosa che sia attinente ai temi trattati, rispettando ovviamente le regole basilari del buon senso e della civile convivenza. Non pretendo che si creino chissà quali significative interrelazioni, al di là della libera discussione o spontanea condivisione. Penso e confido nell'intelligenza del lettore e nella sua capacità di valutare se leggere la notizia, approfondirla o semplicemente ignorarla … voltando pagina.

Basta semplicemente un clic e … la vita va avanti ugualmente. Anche se Tizio ha pubblicato qualcosa nel gruppo …

LA FAVOLA DI SHAKIRA

Di libri dedicati a personaggi illustri o popolari sono stati scritti a iosa nell'ampio e variegato palinsesto letterario, non sempre prodigo di proposte qualitative ed interessanti. Anzi, in casi del genere, il rischio di cadere nell'auto-referenzialità o di essere artefatti, è sempre in agguato.

Niente di tutto questo ho trovato in “Shakira, uno sguardo dal cuore”, l’ultimo libro di Bonifacio Vincenzi dedicato alla famosa pop star colombiana.

Mi ha colpito in primis l’originalità dell’impostazione biografica, avulsa da quelle connotazioni tipiche del racconto tradizionale che è solito svilupparsi con una cronologia puntuale ma asettica e sistematicamente lineare, tale da non lasciare sorprese ed essere, per così dire, piuttosto protocollare e schematico.

Nell'opera di Vincenzi, invece, la vita di uno dei personaggi più popolari del momento è raccontata in chiave favoleggiante, finemente poetica e finanche spettacolare, come se ci si trovasse di fronte ad un bellissimo paesaggio naturale nel quale ogni cosa prende forma e sostanza, muovendosi in uno scenario ricco di emozioni e di sensazioni positive. E’ la rappresentazione visiva delle parole che l’autore riesce abilmente a tirare fuori dalla descrizione dei profili interiori di Shakira, personaggio che ha fatto dei propri limiti una risorsa fino ad ottenere “una miscela esplosiva di energia che l’ha resa, per la sua straordinaria particolarità, unica al mondo.” 

Vincenzi è come un menestrello dei tempi moderni, racconta Shakira esaltandone le precipue qualità, accomunate tutte dalla ferrea volontà di riuscire, di superare qualsiasi barriera frapposta nel suo cammino, di saper cogliere l’attimo (carpe diem) per spaziare negli infiniti meandri del suo sogno, fino a divenire una splendida farfalla che si muove libera nel mondo al ritmo incalzante di una danza senza fine, perché Shakira è una “danzatrice sciamana che sviluppa una forza di suggestione sulla propria e sull'altrui psiche …”

Un personaggio così unico e prorompente non poteva non attirare l’attenzione di un Maestro della letteratura come Gabriel Garcia Màrquez, suo connazionale, che dell’artista scrive: “La musica di Shakira è inimitabile perché è dotata di un ritmo che nessun altro può reggere come lei. Data la giovane età e la sua innocente sensualità, debbo convenire che la sua musica è una sua invenzione”.

Sarà proprio Marquez a stimolare la curiosità di Vincenzi che lo porterà a dedicare alla bravissima pop star un libro che suggella la sua meravigliosa esistenza con parole e versi di pura poesia.

E’ un libro ben scritto, molto scorrevole e pieno di spunti emozionali. Particolarmente consigliato ai lettori che amano riconoscersi nei buoni sentimenti e nella semplicità delle cose.

L’AUTORE: Bonifacio Vincenzi è nato a Cerchiara di Calabria ed ha un curriculum di tutto rispetto. Nel suo vasto repertorio di pubblicazioni, ricordiamo:

  • quattro raccolte di liriche (ultima delle quali La tempesta perfetta, Aljon Editrice, 2009);
  • il romanzo Arrivederci, Letizia! (Editrice Il Coscile, 2000);
  • per sole donne, Un amore di carta (Aljon Editrice, 2011);
  • il romanzo per ragazzi Kremena e la sfida del fuoco magico (Giovane Holden Editrice);
  • per la Letteratura erotica, l'e-book Il nipote della vedova (Damster, Modena).
 Ha diretto la rivista La colpa di scrivere e il quadrimestrale di letteratura Il Fiacre N. 9, edita da Aljon Editrice. Nel 1985 ha fondato Il Musagete–Istituto culturale della Calabria nell'ambito del quale ha ideato diverse rassegne letterarie e di arte contemporanea. Ricordiamo, per la Letteratura, il "Settembre culturale calabrese", alla dodicesima edizione, e ancora "Variazioni sul tema", "Aura – Prova d'emozione", "I fuochi di Tomtor", "La bella estate", e moltri altri eventi. Per l'Arte, invece, l'itinerario artistico "Giano – Incontri con l'Arte e la Kultazione".
 
Ha fondato, inoltre, il Premio Letterario Nazionale di Calabria e Basilicata, il Premio Donna dell'anno e il Premio di lettura Hansel e Gretel.

Dirige per Aljon Editrice la collana di poesia al femminile "Il roseto di Kisgas" e la collana di poesia "L'Agave.

LE  LIBRERIE ON LINE  DOVE ACQUISTARE: Shakira, uno sguardo dal cuore.