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In
questi giorni lo scandalo di “Mafia Capitale” tiene banco nelle cronache
dei mass media suscitando l’ennesima indignazione e avversione verso la
politica del malaffare che proprio non riesce a cambiare rotta e a
spogliarsi di quelle infime nudità di cui è portatrice.
Il
premier Renzi ha annunciato l’inasprimento delle pene per i corrotti
attraverso l’innalzamento del minimo edittale e dei termini prescrizionali, introducendo
nuove modalità per la confisca e il patteggiamento della pena fino ad
ottenere la restituzione integrale del mal tolto. Basterà?
A
due anni esatti di distanza dall'entrata in vigore della legge 190/2012,
meglio nota come “legge Severino” o “dell’anti-corruzione”,
si parla già di revisione di quelle misure di prevenzione che avrebbero dovuto
segnare il cambiamento radicale di un sistema di mala gestione che da tangentopoli
in poi si è propagato a macchia d’olio, non arrestandosi nemmeno davanti alle
sbandierate svolte epocali della seconda (e terza) Repubblica.
La Corte
dei conti ha definito la corruzione come sistemica, ovvero
stratificata e ramificata in ogni ambito della Pubblica Amministrazione come le
metastasi di un tumore il cui focolaio risiede proprio nell’anti-politica.
Se c’è la mafia è perché ci sono politici e pubblici funzionari corrotti
e viceversa. Un’equazione che si autoalimenta fino ad ingrossarsi e ad
ingrossare le maglie dei centri di poteri inquinandoli e sviandoli dall'unico
fine che dovrebbero perseguire, ovvero l’interesse pubblico.
Se
tale è il quadro (deprimente) dello scenario politico attuale, non bastano
certamente misure repressive più efficaci ma occorre un’azione preventiva incisiva
che agisca soprattutto sotto il profilo culturale, aspetto che nemmeno
la legge 190/2012, pur nata con tutte le buone intenzioni, sembra garantire.
Le
misure della “Severino” incentrate soprattutto sul piano anti-corruzione che ciascuna amministrazione pubblica è tenuta a dotarsi, se
da un lato appaiono lodevoli sotto il profilo della trasparenza e della
tracciabilità dell’attività amministrativa, dall'altro denotano molti punti
deboli fra i quali, l’assenza di controlli preventivi di legittimità, l’eccessiva
procedimentalizzazione degli adempimenti e l’obbligo di redigere un piano di
formazione rivolto esclusivamente ai pubblici dipendenti senza allargare la
platea ai centri di poteri della politica.
E
qui s’inserisce il problema della selezione della classe politica dirigente
basata su regole ferree in grado di reclutare il meglio delle professionalità
esistenti. Ma per fare questo è necessario che la società civile si rinnovi ed
offra modelli comportamentali di assoluto spessore morale.
Perché
la corruzione è nell'anima: di genitori che non sanno essere
tali, di educatori che non sanno più educare, della scuola che non sa più
insegnare, delle istituzioni che non sanno elevare a dignità morale e civile il
mandato cui sono chiamati a svolgere.
Nel
piano anti-corruzione che ho redatto nei comuni dove lavoro ho voluto inserire
di proposito la bellissima frase dello scrittore statunitense H. Jackson Brown junior che da sola
basterebbe a rappresentare la misura di prevenzione più alta e sublime:
“Vivi
in modo che quando i tuoi figli penseranno alla correttezza e all'integrità
penseranno a te.”
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