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La morte
è probabilmente l’evento più temuto dagli esseri viventi (e pensanti). Un tema
sul quale molti filosofi hanno costruito le teorie più disparate, attrattive o
repulsive di un mistero antico quanto il mondo. “Aut finis aut transitus”,
scriveva Seneca per parlare della morte ora come estinzione totale della
coscienza individuale, ora come trasmigrazione dell’anima in un altro luogo.
La
morte è l’unico problema irrisolvibile: sappiamo che c’è ma non possiamo
confrontarci con l’esperienza di chi l’ha vissuta, calcolarne gli effetti per
correre ai ripari con una pozione che ci faccia vivere in eterno, possibilmente
giovani e belli.
Gli antidoti
restano le teorie, più o meno affascinanti, per generare un certo convincimento
che è quasi sempre empirico e razionale: la morte e la vita sono in fondo due facce della stessa medaglia. Se c’è
l’una, c’è l’altra perché entrambe non si escludono ma coesistono in un ciclo
naturale che termina, per gli epicurei, con la dissoluzione assoluta dell'Essere, e per la maggior parte delle dottrine religiose nell'esperienza
trascendentale dello Spirito.
La Fede
è forse la più razionale delle teorie. Non potendo conoscere in anticipo quello
che accadrà “oltre”, ecco che il dogma ecclesiale basato sulla fiducia di
passare “a miglior vita” diventa il più
ragionevole dei convincimenti. Non è vero che non esisto più,
perché dopo una fine c’è sempre un nuovo inizio. Non è forse questo precetto,
del tutto razionale, che utilizziamo spesso per andare avanti, per combattere
la propria o l’altrui sofferenza?
Parlo
della morte ne “Il volo dell’aquila”, testo di apertura de “L’aquila non ritorna”. Qui ho scelto di seguire l’altra opzione di
Seneca: “aut transitus”. Alla fine della mia vita terrena mi
trasformo in un’aquila che vola libera nel cielo fino a toccare il sole. Rivedo
i miei affetti più cari, le persone che ho lasciato, forse all'improvviso o
forse con un congruo preavviso, ma so che non posso più tornare indietro. Non
ho più paura perché, secondo le parole del grande filosofo romano, quel giorno
“che paventi come l’ultimo è il primo dell’eternità”.
Ecco
che il ricordo diventa l’anello di congiunzione tra le due opposte
esperienze: l’una vissuta con le passioni, l’amore e la sofferenza, e l’altra
del tutto ignota ma rigenerante e purificatrice anche del più piccolo dolore.
“Volo più che mai
e più in alto sai
non sento alcun dolore …
Niente resterà dei ricordi miei
Ma puoi farli vivere per me”
Commenti
Io non ho paura
RispondiEliminaCiao Benedetta. Il post ha proprio lo scopo di esorcizzare la paura. Grazie per il commento. Un caro saluto.
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