BACIAMO LE MANI

Il funerale-show di Vittorio Casamonica, boss della più potente criminalità organizzata di Roma, ha messo in luce ancora una volta una vecchia piaga del nostro “Bel-paese”: la fragilità (e connivenza) della politica incapace di produrre azioni efficaci e risolutive contro il malaffare e la corruzione.

In questa occasione, come in altre simili, si sono proliferati i vari “J’accuse” perché fa sempre comodo dare la colpa agli altri, trincerarsi dietro ad uno scaricabarile miseramente intessuto da una ragnatela metastatica che per molti versi si affilia alle strategie speculative tipiche delle organizzazioni criminose.

La mafia c’è perché c’è lo Stato che la rifornisce dell’insipienza e dell’opportunismo dei governanti, oratori di bassa lega che come i peggiori preti indossano indegnamente l’abito talare istituzionale, forgiandosi di moniti e di tendenziose ideologie sul corretto agire per poi comportarsi dietro le quinte esattamente all'opposto.

Nel caso dei Casamonica ha fatto scalpore non tanto la “festante messa in scena dell’ultimo saluto all'idolo di una combriccola più o meno numerosa, quanto piuttosto la reazione di sdegno degli ignoranti, ovvero di coloro che dovevano sapere e non hanno sentito o che, pur sapendo, hanno dolosamente omesso di agire.

E del resto la pioggia di petali di rosa fatta venire giù dai cieli di Roma è la dimostrazione grottesca di come si possa essere liberi agendo nel malaffare e, per converso, prigionieri accettando e subendo regole artefatte e precostituite.

Ancora una volta è la cultura che viene fatta retrocedere, o meglio la parte migliore del sapere a favore di una controcultura dominante che influisce negativamente sulle coscienze fino a privarle del loro fulcro di vita, ovvero la consapevolezza dell’umano sentire. Come un lavaggio al cervello tambureggiante che ti fa escludere tutte le opzioni migliori.

Negli anni di gioventù trascorsi a Napoli sentivo spesso discorsi del tipo “Devi essere fij e’ndrocchia”, cioè figlio di “buona donna” pronto a fregare gli altri. Parole crude e veraci che danno il senso  di ciò che è sbagliato e reietto e che invece viene fatto passare come l’unico modus operandi per (l’incivile) convivenza.

Oggi le cose non sono diverse da ieri.

Baciamo le mani, dunque, ai falsi eroi, a quelli che c’insegnano ad essere figli di puttana, furbi, scaltri, opportunisti. Perché così fan tutti, perché così va il mondo.

La logica della corruzione è tutta qui. Non servono leggi e leggine perché l’unica contromisura siamo noi.

GIULIANO

Giuliano si trucca per sentirsi più donna
Giuliano se ama lo fa per una notte sola
Giuliano e i falò: un rapporto di vita
Giuliano e lo specchio: una vanità proibita

Inizia così “Giuliano”, canzone scritta nel 1980, dall’album “Mini-artista”. Tema scottante ma vecchio quanto il mondo perché l’omosessualità ha radici tanto profonde quanto i pregiudizi, gli insegnamenti abnormi perpretati nel tempo e tesi a correggere un difetto, o peggio, una malattia che è semplicemente orientamento sessuale, tanto naturale quanto consapevole.

Pensate che gli antichi ritenevano che fosse proprio l’amore con le persone dello stesso sesso il più sublime e spirituale. Lo scrive Platone in diversi passaggi dei suoi dialoghi del Simposio in cui il rapporto omosessuale tra maestro e allievo, che è volto alla procreazione spirituale e non al mero piacere fisico, è ritenuto, a differenza di quello eterosessuale, di livello più alto.

Di acqua sotto i ponti ne è passata, le teorie e le concezioni filosofiche si sono trasformate (in bene o in peggio), ma quello che conta è il principio di fondo secondo il quale l’amore, in qualunque prospettiva lo si voglia considerare, deve essere immune da pregiudizi, discriminazioni, dogmi o impedimenti di qualunque tipo tesi a tarpargli le ali.

Sono le contaminazioni del pensiero che aggrovigliano l’amore fino a farlo rappresentare per qualcosa che non è ( o non dovrebbe essere). La libera manifestazione dei sentimenti prescinde dall’identità sessuale di chi ne è portatore, non si può essere buoni o cattivi, accettabili o denegabili a seconda della “provenienza” di certe preferenze perché la qualità dell’essere è qualcosa che trascende certe etichette o marchi imposti da ragionamenti precostituiti.

Il rifiuto di tutto ciò che è diverso da noi impedisce qualsivoglia crescita culturale e civile, non favorisce l’integrazione e ci fa salire su un comodo piedistallo puntando l’indice sugli altri senza mai rivoltarlo contro noi stessi.

Eppure la comparazione del senso di abbandono e di emarginazione, tipico della negazione sociale verso una determinata categoria di persone potrebbe essere il salvagente per una rinnovata coscienza collettiva, l’anello di congiunzione tra noi e tutto ciò che è diverso da noi. Quante volte ci sarà capitato di sentirci esclusi: nel lavoro, nella famiglia o nelle relazioni sociali in genere. E quante volte in situazioni simili abbiamo provato lo stesso senso di abbandono e di solitudine di chi è costretto a vivere, per il suo orientamento sessuale, ai margini della propria (e altrui) esistenza.

Ecco quindi la comparazione che dovrebbe farci ricordare l’omogeneità di certi stati d’animo e virare la mente a ciò che è accaduto nella Storia, recente o remota, in cui tanti sono stati gli episodi spietati e crudeli a danno dei deboli e dei diversi. Cito a mo’ d’esempio l’Olocausto, la più grave forma di sterminio e di ghettizzazione etnica e razziale.

Sono passati trentacinque anni da quando ho scritto “Giuliano”, allora il pregiudizio era fortissimo e predominante nel pensiero sociale. Ora qualcosa sta cambiando come testimonia il recente dibattito in Parlamento sulle unioni civili che dovrebbe portare all’emanazione della prima legge (in Italia) a tutela delle relazioni extra-tradizionali.

Persino la Chiesa, dove peraltro l’omosessualità è dilagante, sembra ora orientata su posizioni più morbide e concilianti. L’apertura di Papa Francesco verso il riconoscimento dei diritti e della dignità dei “diversi” è di per sé significativa del cambiamento che sta avvenendo anche sul piano religioso.

E noi, noi chi siamo noi?
E noi non possiamo noi condannarlo.
Giuliano è per tutti un corpo e non un’amica
Giuliano e se stesso: una tristezza antica.


(Tratto da Le parole del mio tempo”)

SPUNTI DAL MIO LAVORO

Dopo aver pubblicato un romanzo e due libri sui testi delle mie canzoni, ecco un saggio sulla mia attività di segretario comunale che ho voluto dedicare  a quanti s’imbattono quotidianamente con gli uffici della pubblica amministrazione ricevendo non sempre risposte adeguate e corrette.

Il mestiere del Segretario Comunale ha una caratteristica non comune ad altre professioni: la conoscenza di tutte le branche della pubblica amministrazione. E’ un’attività che richiede adeguata cognizione tecnico-giuridica nelle materie del Bilancio, della Fiscalità locale, del Pubblico impiego, dell’Edilizia, dell’Urbanistica, dei Lavori Pubblici, delle Attività produttive, della Polizia locale, dei servizi sociali e demografici, dell’Ordinamento comunale, dei Sistemi di management pubblico, in una parola, di tutti i servizi offerti dall'ente municipale.

Sono stati quindi numerosi i casi e le questioni che ho dovuto affrontare nella mia quasi trentennale esperienza lavorativa, come altrettanti sono stati gli spunti sulle problematiche emerse che hanno arricchito il mio bagaglio professionale al punto da raccoglierli, sia pure con doverosa sintesi, in un libro. E’ nato così “Spunti dal mio lavoro.

Il libro, dal taglio operativo e pratico, ha lo scopo di fornire un contributo agli operatori del settore, dirigenti e amministratori, chiamati a districarsi in un groviglio di norme di non facile lettura, fonte di decisioni non sempre agevoli e per molti versi difficili e delicate. Ma è altresì destinato al cittadino-utente che proprio con la pubblica amministrazione ha un rapporto controverso, difficile, minato nella fiducia anche a causa degli episodi di corruzione e di malaffare che stanno tristemente contrassegnando la politica e la vita amministrativa degli ultimi anni.

I temi affrontati sotto forma di pareri giuridici variano dall'applicazione degli istituti più comuni, quali l’astensione dei componenti degli organi di governo sui provvedimenti urbanistici o d’interesse personale, le regole per il corretto funzionamento delle sedute collegiali, le forme di autotutela dei provvedimenti amministrativi, il rapporto di pubblico impiego e le modalità per la sua corretta gestione, fino a toccare gli istituti più recenti come la trasparenza, le nuove forme del procedimento amministrativo e le misure per combattere la corruzione.

Benché il libro abbia un target di lettori determinato, la varietà delle questioni affrontate permette anche a chi non sia operatore del settore di riconoscersi nel rapporto con la pubblica amministrazione traendone gli spunti che direttamente lo interessano.

E chissà che gli “spunti dal mio lavoro non possano essere fatti propri da chiunque per poter raggiungere ogni beneficio possibile. Sarebbe per me la più bella gratificazione personale.

 (Vittoriano Borrelli: “SPUNTI DAL MIO LAVORO)


SE BASTASSE UNA PIUMA

Gli scrittori non muoiono mai. Lo scrissi in un post qualche tempo fa e ora ne sono più convinto dopo aver letto “La piuma”, l’ultimo libro di Giorgio Faletti. Una sorta di testamento solenne che l’autore lascia ai posteri in poche ma preziosissime pagine.

Tracciando il suo invisibile sanscrito nel cielo, la piuma sorvolò un villaggio popolato di uomini, che come tali prestavano attenzione solo a ciò che avveniva in terra, davanti ai loro occhi. Nessuno riuscì a vedere la piuma perché nessuno aveva tempo a sufficienza per alzare gli occhi al cielo e riuscire anche solo a guardarla.”

L’essenza del messaggio di Faletti sta tutta in queste bellissime parole che fanno da apripista all'opera. Un manifesto-denuncia nei confronti di una società “distratta” o troppo “concentrata” su se stessa, quasi solo ad occuparsi di cose materiali che impreziosiscono l’avere e indeboliscono l’essere, che fa specchiare senza riflettere o che induce a riflettersi nella bellezza, vera o presunta, della propria immagine.

Molto spesso non guardiamo al di là del nostro naso e se alziamo gli occhi al cielo è solo per vedere che tempo fa, per regolarci su quale vestito indossare o per tirare fuori dall'armadio l’ombrello. Sono azioni quotidiane che nemmeno ci facciamo più caso, così ripetitive e monotone nel loro andirivieni come il battito incessante di un orologio.

Basterebbe poco, un attimo per alzare la testa e guardare oltre. Spogliarci di quella pesantezza che ci portiamo addosso che non è cattiva digestione (anche se in senso lato potrebbe esserlo) ma figlia di pensieri, strategie o comportamenti che assumiamo come importanti e che invece mancano di spiritualità, bellezza interiore e di sana e purificante immaginazione. Basterebbe poco, un attimo per sentirsi leggeri, come una piuma …

Con un gesto infastidito, il Generale rimosse la piuma e la spinse a posarsi curiosa sul bordo del tavolo, mentre con esultanza spostava sulla carta dei soldatini neri alle spalle di quelli rossi.”

I destini del mondo nella stanza dei bottoni. Quante decisioni sono prese a danno del bene comune? E quante di queste hanno inciso negativamente sulla crescita e sul benessere di un Paese? La piuma che avrebbe potuto solleticare le sorde coscienze dei potenti, è qui miseramente ignorata. Sarebbe bastato poco, un attimo.

La Donna di Tutti chiuse la finestra su un mondo che non le sarebbe mai appartenuto e rientrò nel mondo a cui nessuno tranne lei apparteneva.”

La prostituzione femminile come una scelta, a volte necessaria, a volte voluta. Ma in ogni caso è sempre un fardello che si porta addosso per lasciarsi comprimere dall'unica alternativa che sembra possibile per la propria sopravvivenza, mentre basterebbe poco, un attimo per alzare lo sguardo e vedere oltre la solita visuale, aprire quella finestra e affacciarsi ad un altro mondo possibile.

Condita dalla toccante prefazione di Roberta Bellesini Faletti, compagna del compianto autore, “La piuma” rivela un mondo alternativo a cui si può accedere per dare forza e speranza ai sogni e alle passioni che alimentano la parte migliore del nostro essere. Per essere dentro la vita, senza subirla o accettarla da semplice spettatore.

Basterebbe poco, un attimo