IL PARADISO PUO’ ATTENDERE

A quasi due anni e mezzo dalla scomparsa del bravissimo scrittore partenopeo, Marcello D’Orta (19 novembre 2013), e in occasione della Santa Pasqua ho pensato di fare cosa gradita a chi lo ha tanto amato e apprezzato pubblicando uno dei temi più accattivanti della sua opera più famosa “Io speriamo che me la cavo”.

Il tema s’intitola “Spiega il significato di questa frase di Gesù: << E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli>>”. L’elaborato, genuino e sgrammaticato, racconta con (inconsapevole) acume narrativo il punto di vista di un alunno della scuola elementare di Arzano sul significato religioso della giustizia sociale.

Si scoprirà che una certa filosofia del vivere, a tratti rassegnata, a tratti incisivamente profonda, va ben oltre la parabola evangelica, sconfinando in quella magistrale arte d’arrangiarsi, tutta napoletana, che rifugge da qualsiasi attesa per una remissione futura.  

Come dire: il Paradiso può attendere

E la sapiente regia di D’Orta è ancora oggi un esempio di quanto certe felici intuizioni possano degnamente rappresentare il pragmatismo di strada della migliore cultura partenopea.

Ma ecco il tema:

A Arzano meno male che siamo tutti poveri.
A Arzano non c’è nessuno che chiede la limosina perché sa che nessuno gliela può dare.

Però un ricco c’è: è il sindaco di Arzano, che ha la Mercedes, la Testarossa e una bicicletta. A lui il cammello entra!!

Questa frase di Gesù significa che i ricchi sono egoisti e i poveri no. Io conosco (ma no a Arzano, a Napoli) una famiglia che un fratello stà senza casa, e un altro fratello ci ha tre case, e questo fratello che ci ha tre case bestemmia perché ci ha solo tre case e non quattro, mentre l’altro fratello prega alla Madonna che ci dà almeno una piccola casa.

Questo fratello che ci ha tre case, tutte le domeniche si fa la comunione, però a quell'altro fratello che non ci ha la casa, non gliene dà neppure una di queste case. Per questo fratello di tre case, anche per lui il cammello entra!!

I zingari sono ricchissimi, hanno pure la rulott e il cane, ma loro fanno finta di essere poveri, per andare in Paradiso! Loro, al battesimo di Rosetta, sentite che hanno fatto, senti pure tu, Mimmo, che non ci stavi.

Loro chiedevano i soldi a zio, che lo avevano visto vestito bene, zio non glieli dava, i zingari zitti zitti gli buttavano le bestemmie. Ma zio aveva sentito e disse: <<E muort e chi tè mmuort!>>.(1)

Una volta a Arzano è passata una Ross-Ross (2)con un ricco dentro: se quello muore, và subbito all’inferno!

(1)    Letteralmente “I morti di chi ti è morto”. Equivale all'incirca al romanesco “Li mortacci tua”.
(2)    Rolls-Royce.


(TRATTO DAIO SPERIAMO CHE ME LA CAVO” di Marcello D’Orta)


A TUTTI I LETTORI I MIEI CARI AUGURI DI BUONA PASQUA 2016

LE MANI SU DI ME

Faccio la vita da quando … è passato così tanto tempo che non ricordo più da quando ho iniziato a battere il marciapiede. Necessità? Senso di colpa? Piacere di farmi del male? Forse saranno state tutte queste cose messe insieme o forse nessuna perché certe scelte sono così forti e innaturali che non c’è mai una ragione per giustificarle.

Mi chiamo Generosa, nome che mia madre mi donò come simbolo della sua battaglia sociale a favore dei poveri e dei derelitti. Faceva parte di un’associazione di volontariato dedita agli emarginati, ai disadattati e sventurati del pianeta, sempre presa a organizzare campagne e iniziative in difesa dei diritti civili. L’ho delusa, come ho deluso tante altre persone che hanno scommesso improvvidamente su di me.

Se non ricordo gli anni che avevo quando tutto è iniziato, ho invece ben presente le circostanze che mi hanno indotto ad imboccare quella che per i benpensanti è la strada della perdizione e della maledizione eterna. Non parlo della ragione principale, la si capirà dal mio racconto, ma di un aspetto particolare che fa da cornice a questo “lavoro”: il fuoco.

Bambina passavo ore intere seduta sulle ginocchia di mio padre a guardare il camino di casa mia. Ero affascinata dalle fiamme che si sprigionavano dai ceppi rosolati, ampie e folgoranti che m’inondavano di calore e di vitalità. Quasi mi commuovevo nell'assistere a quello spettacolo luminoso fatto di scintille intermittenti che si perdevano e si rigeneravano nell'aria, e dallo scoppiettio della legna bruciata che scandiva lo scorrere del tempo dei miei inverni di città.

Il fuoco, si sa, viene utilizzato dalle prostitute non solo per segnalare la loro presenza ai clienti, ma anche per tenere ben caldo le loro parti intime per proporle nelle migliori condizioni possibili. Per me ha rappresentato per un certo numero di anni la verginità. Come le Vestali, vergini per antonomasia, che utilizzavano il fuoco a simbolo della loro purezza eterna.

Dopo aver perso la mia innocenza mi è rimasto il fuoco quale unico appiglio che mi ha tenuta legata, sia pure solo idealmente, al ricordo della bambina che ero stata un tempo e che il tempo stesso aveva voluto seppellire in qualche parte di me. Per sempre.

Da un giorno all'altro ho abbandonato la mia infanzia diventando la donna che sono adesso. Ho cambiato il mio nome in “Genè”,  un francesismo che ho utilizzato per dare un tocco di esotico al mio personaggio e ho acceso tanti di quei falò per sentirmi ancora viva tra le fiamme mentre tutto si spegneva dentro di me.

Con gli uomini ho voluto però fare un patto: niente mani su di me, sarei stata io a condurre il gioco, a procurar loro quel piacere tanto effimero quanto evanescente facendo uso esclusivamente del linguaggio antico del mio corpo. 

Ci sono riuscita con la gran parte dei miei clienti, ubbidienti e qualcuno anche masochista. Per gli altri un po’ focosi ci pensava Gaetano, il mio compagno, a ristabilire le regole. Era soprannominato “Lo spostato” per i suoi modi bruschi e frequenti scatti d’ira, da troglodita incivilizzato ma a me ha fatto comodo almeno fino a quando è durata la mia esperienza sulla strada.

Ora mi sono messa in proprio. Ricevo i clienti nel mio attico al quartiere Parioli di Roma. Sono diventata una prostituta di lusso …

(continua)


(La seconda e ultima parte de “Le mani su di me” sarà pubblicata sabato 2 aprile 2016. Per intanto pensaci: perché Generosa non vuole essere toccata da nessuno?).

NON MI VENDO

Agli inizi della mia carriera di segretario comunale litigai con un sindaco perché pretendeva di interferire nell'esercizio di funzioni di mia esclusiva competenza. Ero in posizione di fuori ruolo e sapevo che dopo quell'episodio avrei potuto perdere l’incarico
Ma di fronte a quella che ritenevo un’indebita intromissione in questioni di particolare rilievo per la legalità dell’attività amministrativa, preferii non abbassare la testa difendendo quei valori di correttezza e di professionalità che hanno poi contrassegnato tutto il mio percorso lavorativo.

In seguito i rapporti con quel sindaco si rasserenarono al punto che un giorno, presentandosi nel mio ufficio, mi riferì di aver parlato con il Prefetto chiedendogli di confermarmi nell’incarico. “Non me lo tocchi” furono le sue testuali parole, cosa che mi inorgoglì dandomi la spinta giusta per affrontare sempre con maggior piglio e convinzione ogni altro genere di difficoltà.

Ho raccontato questo episodio perché penso che nella vita si debba sempre agire con dei valori saldi e indefettibili che valgono molto più di qualsiasi gratificazione materiale od economica. A costo anche di rinunciare a qualche facile “scalata” come mi è capitato nel corso della mia esperienza professionale.

Mi è costato fatica non tanto per il valore della rinuncia, di cui non ho alcun rimpianto, quanto piuttosto per una certa sofferenza che ho dovuto elaborare nel portare avanti le mie idee facendo leva esclusivamente sulle mie forze, giacché scelte di questo tipo sono a volte impopolari e possono apparire incomprensibili per chi ha un diverso metro di giudizio.

Nel mio ultimo libro, “Spunti dal mio lavoro”, ho parlato nelle premesse della solitudine professionale del segretario comunale,  figura “che sovrintende al funzionamento di tutte le attività comunali (nessuna esclusa), ma non ha colleghi d’ufficio.”

Proprio questa unicità ha in sé onori e oneri: non è semplice concentrare in capo ad una sola persona responsabilità rilevanti e variegate. E’ un peso che richiede forza e determinazione volitiva per affrontare nel miglior modo possibile le insidie che si possono presentare (e si presentano) quotidianamente.

Ancor di più se si considera uno degli aspetti di questa professione, ovvero quella difesa della legalità, oggi tanto discussa nel progetto di riforma della pubblica amministrazione all'esame del Parlamento.

E’ un tema che ricorre ciclicamente: è accaduto per tangentopoli e ora se ne riparla (non sempre con cognizione e obiettività di giudizio) dopo la dilagante corruzione che ha fatto abbassare di molto il livello di fiducia verso le istituzioni. Sicché difendere certi valori sa di antico e di anacronistico di fronte all'imperante “fai da te” o del “così fan tutti” dell’odierno malcostume. 

Insomma essere integerrimi (o provare ad esserlo), costa. E a volte il prezzo è salato rispetto a certe tendenze sociali che fanno della cultura della legalità un cimelio d’altri tempi.

Ma non mi vendo per questo, convinto che nulla ha più valore che guardare in faccia alla vita con l’orgoglio e la fierezza di un sorriso.


PENSIERI DI STRADA

Ascoltali 
a volte sembrano dei desideri
ma basta afferrare quelli che sono più veri
Sono certezze e incertezze 
che nascono dentro di te
puoi farli volare se vuoi tanto tornano poi
nei tuoi silenzi più intensi con mille argomenti
sono carezze e illusioni che appartengono a noi
Pensieri di strada 
che cambiano con gli uomini

I pensieri sono la principale compagnia di ogni essere vivente. Anche gli animali, si sa, sono esseri pensanti e più del genere umano fanno uso dei pensieri per comunicare ogni tipo di bisogno o di necessità. Per gli uomini invece tutto è un po’ più complicato.

Ci sono pensieri introspettivi che appartengono soltanto a noi, albergano le pareti della nostra solitudine fino a disegnare i desideri più reconditi e nascosti. Sono i più insidiosi e manipolativi del nostro stato d’animo perché condizionano le azioni che produciamo all’esterno senza che si comprendano le ragioni.

Un soldo per i tuoi pensieri”, oppure “ Chissà che cosa ti passa per la testa!”. Spesso ci sentiamo rivolgere frasi del genere da chi è incuriosito dal nostro atteggiamento e tenta di scardinare la nostra mente quasi a volerla ispezionare minuziosamente per coglierne i segreti. Non ci si riesce quasi mai perché i pensieri viaggiano fuori solo quando si è disposti a farlo.

Ti seguono sempre e poi non ti tradiscono mai
e quelli più timidi sono soltanto segreti

Pensieri che non hanno età e non seguono l’invecchiamento del corpo nel quale si alimentano e si sviluppano. Sempreverdi, vanno dall'infanzia alla senilità con la velocità della luce. Rimangono fedeli a se stessi mentre tutto passa o si trasforma.

Sono più grandi degli anni diventano eternità
puoi fare l'amore restando abbracciato con loro

Ma ci sono anche pensieri liberi, aperti, incontrollati che s’insinuano nelle relazioni fino a condizionarne gli effetti e a volte fanno più male di una lama tagliente, di un colpo d’arma da fuoco. I pensieri che diventano parole che non vorresti mai sentire ma quando succede non si cancellano più.

Sono espressioni evidenti e a volte inconcludenti
e sanno di odio e di amore perché così sono


Pensieri di strada che vivono con gli uomini.


(Tratto da Le parole del mio tempo”)