PICCOLI BLOG

Io bloggo, tu blogghi, egli blogga. E’ una delle parole maggiormente usate nel linguaggio moderno tanto da essere coniugata alla stregua delle voci verbali più comuni. Definito dai principali dizionari della lingua italiana come diario elettronico allocato in un sito web, il blog è divenuto un fatto di costume, una sorta di rivoluzione culturale del terzo millennio.

Un tempo si usavano i diari cartacei per raccontare i propri stati d’animo, quelli colorati e ben custoditi con il lucchetto per evitare che chiunque potesse prenderne conoscenza. Si trattava di costruire un mondo interiore parallelo a quello esteriore, messo al riparo dalle intemperie  della vita, dalle possibili intercettazioni che avrebbero potuto rompere l’incantesimo dei pensieri più reconditi.  

Oggi, nell'era della trasparenza (altro termine particolarmente usato e abusato) sembra quasi un dovere aprirsi al mondo, mostrare l’anima che si vuole, farla volare sotto mentite spoglie per entrare nelle case di chicchessia senza bussare e senza nemmeno sapere chi c’è.

Ci sono blog efficacissimi nel diffondere messaggi promozionali mirati e strategici, in grado di orientare e condizionare i comportamenti di una certa sfera di destinatari, i c.d. lettori di nicchia. E’ accaduto di recente per l’elezione dei sindaci di Torino e Roma dove la massiccia e peculiare campagna multimediale, al di là dei meriti dei candidati eletti, ha condizionato non poco il responso delle urne.

Si cerca il consenso non più ( e non solo) incontrando la gente nelle piazze o in altri luoghi di riunione tradizionali, ma attuando una capillare e martellante operazione acchiappa consensi facendola veicolare sulla rete web alla velocità della luce. In questo l’uso studiato della parola (ma accadeva anche prima) prevale spesso sulla sostanza e non si discosta di molto dalle terapie di certi strizzacervelli messe in atto su pazienti fragili e indifesi. La differenza, insomma, è data proprio dalla modalità, oggi infinitamente più incisiva e ramificante.

L’importante è esagerare, cantava il compianto Jannacci.

Ma non è oro tutto ciò che luccica. Ci sono tanti siti web che non hanno lo stesso spessore. Sono piccoli blog che fioriscono come funghi in mezzo a campi incolti, indistinti e indistinguibili, che fanno fatica a far sentire la loro voce, spesso ululanti come cani randagi in fila all'orizzonte.

Piccoli blog selvaggi e indisciplinati, trattati come  messaggi spazzatura ( i cosiddetti “spam”) che sono colpi di fucile sparati a caso in mezzo al disordine delle idee. Patiscono la promiscuità, una certa approssimazione nell'impostazione e un’agguerrita concorrenza degli argomenti proposti.

Ciononostante crescono e si moltiplicano fino a divenire invisibili e irriconoscibili.

Fiumi di parole che si disperdono e si dimenticano in fretta. Con un semplice clic.

LA NOIA

Si dice che siamo fatti per vivere insieme, per relazionarci. Ma cosa succede quando si perde qualsiasi contatto con la realtà e con le cose? Subentra la noia, come ce la racconta magistralmente Alberto Moravia nel suo capolavoro del 1960 da cui venne tratto un film di successo con Horst Bucholoz, nei panni del protagonista Dino e Catherine Spaak, in quelli della lolita Cecilia.

E’ proprio l’incontro tra un pittore danaroso ma ribelle verso la madre asettica e borghese, -dalla quale si separa per andare a vivere da solo-, e la bella ma insignificante Cecilia che gli fa da modella per i suoi dipinti, che fa scattare nel primo quella particolare condizione d’animo che ora lo unisce e ora lo allontana dalla realtà. Perché la noia è l’assenza di ogni relazione con il mondo, l’accettazione passiva, mista ad atarassia, verso quei valori convenzionali e inautentici che inibiscono le migliori espressioni del proprio essere.

Dino inizia così una relazione fisica con la modella che era stata amante del suo vicino di casa Balestrieri, convinto che la sistematicità e la monotonia degli amplessi lo porterà ad annoiarsi e a distaccarsi nuovamente dalla sua esistenza. Invece accade un fatto apparentemente normale e scontato, come il tradimento di Cecilia, che renderà Dino geloso, ovvero gli farà provare un sentimento autentico e reale rispetto alla noia che è invece inautentica e irreale.

Moravia, sulla scia della sua opera prima “Gli indifferenti”, o dell’esistenzialismo di Sartre in “La nausea”,  esalta gli aspetti psicologici della narrazione per dimostrare quanto le convenzioni sociali e le false ideologie siano dominanti e influenti sui comportamenti individuali. Pregevole è un passo del libro nel quale Dino, per convincere Cecilia a lasciare il suo amante e a sposarlo, cosparge il corpo di lei di banconote.

Sarà un fallimento. Cecilia non cadrà nel tranello teso da Dino per renderla inautentica come la noia e deciderà di partire ugualmente con il suo amante. A questo punto il distacco dalla realtà non si compie e Dino si troverà coinvolto in un incidente stradale che lo costringerà ad una lunga degenza in ospedale aspettando il ritorno di Cecilia.

Romanzo di rara bellezza linguistica e di approfondimento saggistico su un tema di forte impatto introspettivo, La noia si colloca a pieni voti tra le opere letterarie più suggestive e attrattive del novecento. Uno spaccato crudo e realistico della condizione umana che cambia a seconda del gradino della scala sociale in cui ci si posiziona. Ma i valori che accentuano le differenze annoiano e pongono l’individuo nell'isolamento più totale e deflattivo di ogni serena convivenza.

“Per molti la noia è il contrario del divertimento; e divertimento è distrazione, dimenticanza. Per me, invece, la noia non è il contrario del divertimento; potrei dire, anzi, addirittura, che per certi aspetti essa rassomiglia al divertimento in quanto, appunto, provoca distrazione e dimenticanza, sia pure di un genere molto particolare. La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà…”



LA LETTERA CHE NON SCRIVERO’

Scrivo queste parole che non leggerai. Fra i tanti o pochissimi visitatori mancherai proprio tu, la persona che più di tutte è riuscita a darmi sostegno e coraggio senza saperlo perché nulla c’era da sapere se non l’impronta del mio silenzio.

Comincerò col dirti che mi è bastato inseguirti con lo sguardo per immaginarti al mio fianco anche se non ci sei mai stato. Ti ho pensato e disegnato su fogli di carta racimolati qua e là per ricordarmi di te nei momenti in cui la mente si sarebbe annebbiata e avrei fatto fatica ad orientarmi, a riprendere quel cammino che proprio tu hai tracciato per me.

Le strade di ieri non le ricordo più. Splendida amnesia per proiettarmi nel futuro e abbracciarmi di nuovo in cerca di tenerezza, di coccole e poi ancora coccole, con te che mi seguirai da vicino o da lontano, ma in silenzio come sempre. Sentirò la tua presenza tutte le volte che dovrò affrontare altre prove della vita, con occhi benevoli quando cadrò, guardinghi e diffidenti quando mi vedrai volare oltre le mie aspettative.

Pensare al domani, a come potrebbe esserlo, raggiante e variopinto, è la migliore medicina per curare l’avanzare degli anni, le forze che non sono più come una volta ma che grazie a questo pensiero sembrano rigenerarsi, ricevere nuova linfa dall'eterna giovinezza delle idee. Me lo hai insegnato proprio tu, ricordi? Un uomo senza futuro è una scatola vuota, un animale vagante senza meta, un’oloturia senza capo né coda.

Ci sarai sempre tu nei miei pensieri. Mi accompagnerai per non farmi sentire solo, sentirò il tuo abbraccio tutte le volte che avrò paura. E m’innamorerò di te, cento, mille volte ancora. Ti farò l’amore spogliandomi di tutte le mie impurità, delle mie debolezze che sono tante anche se cerco di mascherarle con il mio essere burbero e scostante.

Domani sarà diverso. A volte l’attesa è più emozionante del presente che si vive e chissà che non t’incontrerò davvero nel mio cammino, che non t’innamorerai anche tu di me e mi trasporterai come il vento nelle direzioni che desidero e che vorrei condividere con te.

Chissà che non t’innamorerai delle parole di questa lettera che non scriverò. Perché l’ho già scritta sulla sabbia bagnata che il mare si sta portando via.

LA CAREZZA DI ERMINIA

Aspettavo la carezza di Erminia tutte le sere alle nove in punto in quel letto d’ospedale dove ero ricoverato per un grave incidente stradale. Sono quel che si dice un miracolato che per grazia divina è rimasto aggrappato alla vita come un naufrago alla sua zattera nel bel mezzo di una tempesta.

Quando la mia auto si è scontrata con un Tir che di colpo mi ha tagliato la strada, ho creduto davvero che fosse arrivata per me la fine. E invece, al momento dell’impatto, ho sentito la mano di qualcuno che mi ha spinto fuori dalla portiera catapultandomi sull'ampia distesa erbosa che costeggiava l’ autostrada.

Non ricordo altro di quello che è avvenuto dopo. Quando ho aperto gli occhi mi sono ritrovato steso su un letto imbottito di flebo, con tanti uomini in camice bianco che mi scrutavano come se stessero esaminando uno strano esemplare. Ero immobilizzato dalla testa ai piedi, riuscivo a malapena a sentire le loro voci ma non capivo niente dei loro discorsi.

E’ stato allora che ho sentito una mano accarezzarmi il viso con delicatezza e discrezione. Ho girato lo sguardo e ho visto una donna matura che mi sorrideva con fare materno e tranquillo, avvolta da una luce fievole ma ben visibile da farmi pensare ad una santa.

Vi sarà capitato tante volte di stiracchiarvi e di sentirvi subito dopo rilassati. Ecco, quella carezza ha prodotto in me un effetto simile. Ho sentito il sangue sciogliersi per tutto il corpo procurandomi una vitalità che non avevo mai provato prima, quasi uno spaccato tra il nulla prenatale in cui credevo di essere precipitato, e i primi sussulti di una rinascita che iniziavo a percepire a piccole dosi.

Non avevo moglie, fidanzata, figli o uno straccio di amico che potessero farmi visita. Non aspettavo nessuno e nessuno aspettava me. Quella carezza è diventata così un rituale quotidiano, il solo che attendevo con suprema aspirazione e desiderio.

Tutto si concentrava in pochissimi minuti, di sera, allo scoccare delle nove, quando la porta della stanza si apriva e vedevo Erminia apparire col suo sorriso ampio e luminoso, avvicinarsi a me e accarezzarmi le guance facendomi sentire il palmo della sua mano soffice e delicato, le dita lunghe e affusolate  che s’insinuavano tra i capelli procurandomi tanto calore.

Di nuovo il sangue riprendeva a circolare nelle vene, come se fino a un attimo prima fosse stato ostruito dai detriti della mia riluttanza a vivere, ritrosia caparbia e insistente che solo quella figura così benevola e rassicurante riusciva ad emarginare.

Come va il mio sopravvissuto? Ti ho portato i tuoi dolci preferiti così stasera potrai festeggiare anche tu il nuovo millennio.”
Perché non resti fino alla mezzanotte?”
Mi farebbe tanto piacere ma lo sai che non posso.”

Erminia si accorge che ho il volto imbronciato e mi dà un bacio sulla guancia.

Mi hanno detto che in settimana ti toglieranno il gesso, presto ritornerai a camminare. Su, adesso fammi un sorriso.”

Ho stretto la sua mano più a lungo possibile come se temessi di non ritrovarla più da lì ad un attimo. Ecco infatti che la vedo allontanarsi, aprire la porta e voltarsi mostrandomi il pollice verso l’alto. Le sorrido alzando a mia volta il pollice per suggellare un’intesa che non ha bisogno di parole.

Non l’ho vista più, né il giorno dopo né in quelli seguenti ma ho continuato a sentire la sua carezza tutte le sere fino al momento in cui sono stato dimesso dall'ospedale.

Quella mattina ho parcheggiato la macchina e ho imboccato il viale dei cipressi fino a giungere nel posto che sapevo. Ho pulito la lapide rimuovendo le foglie secche dell’inverno che si erano depositate sparse su quella superficie dorata. La foto, un po’ sbiadita, proiettava un’immagine sorridente e ancora viva nel mio ricordo. Più in basso l’antico epitaffio:

Erminia Rovato – 1925-1986
      Angelo delle madri


LA CAREZZA DI ERMINIA

Racconto breve scritto da
Vittoriano Borrelli

(I riferimenti alla realtà sono casuali)