LA VITA DI CARTA


Il foglio bianco aspetta di essere riempito di nuove parole, di nuove emozioni che possano giungere a chi saprà comprenderle e sentirle, come un messaggio in bottiglia che naviga nei mari sconfinati della nostra immaginazione. Prendono forma e sostanza le parole, quelle sottaciute e accantonate in un angolo della nostra memoria che tutto ad un tratto si sprigionano dall'inchiostro per andare dove vogliono.

Ci sono parole che sono uguali a se stesse  e si susseguono in una monotona clonazione dei sensi, altre, disordinate e sgrammaticate, emergono a tutto tondo senza punteggiatura e sintassi come se avessero fretta di uscire dal loro guscio per far sapere al mondo intero che ci sono e che possono coesistere con le più pure e sofisticate.

Dalle parole nascono le storie e i personaggi più svariati, si moltiplicano le vicende in un intervallo di tempo che non è il tempo ma solo la percezione che ciascuno di noi ha dei brandelli di vita che spaziano in una cronologia asincrona e dissociativa del pensiero; libere ed anarchiche da chi le ha messe in scena che quando le rileggi non le riconosci più.

Le parole sono lo strumento più facile da usare per volare alto e distinguersi da tutti pur rimanendo uguali agli altri. Con le parole si fa l’amore o la guerra con se stessi, si è migliori o peggiori di quanto si voglia veramente. Sono l’abito perfetto o imperfetto che indossiamo quando ci relazioniamo con chi ci sta intorno; a volte ci va a pennello, altre ci va stretto ma ci manca il coraggio di togliercelo di dosso perché non troviamo nuove parole per cambiare il linguaggio dell’anima.

Scorrono le parole per scovare nuove vite disperse che la realtà sommerge e soppianta in luogo di scenari asettici e precostituiti. Si trasformano in emozioni che nessun altro può comprendere all’infuori di te perché per farlo c’è bisogno di sentirle ed interiorizzarle, come quando si guarda il mare in silenzio e dal silenzio gridare, muti, il proprio bisogno d’amore.

Per innamorarsi, stringersi ed abbracciarsi senza avere più paura.

Piangono le parole in un dolore che fa più male di quello fisico perché qualcuno non le ha volute ascoltare e sono volate via come fa un gabbiano dopo che ha abbandonato il proprio nido o un’aquila che si rigenera senza essere più uguale a se stessa.

Finiscono le parole quando arrivi all’ultima pagina di un libro che non smetti mai di scrivere e che vorresti rifarlo daccapo per comprendere e comprenderti. E quando pensi di aver scritto l’ultima parola succede che ti domandi senza trovar risposta: che cosa resterà di te?

ZUCCHERO AMARO

Giro e rigiro il cucchiaino nel cappuccino quasi a voler prolungare un istante che non so bene se sia di sollazzo o di ostinata agonia. La schiuma trasborda intorno alla tazza come le onde del mare sulla scogliera; in questa distesa di liquido colorato sento di immergermi con il capo chino e pensieroso.

La barista giocherella con il suo smartphone aspettando che arrivi un altro avventore da servire. E’ magra da far paura ma dotata di una forza mascolina che non disdegna di mostrare quando impugna il portafiltro e lo sistema in un colpo solo sotto la coppa della macchina da caffè. Dove troverà tutta questa energia alle sette e trenta del mattino? Che sia forse un monito a noi poveracci che ci muoviamo come zombi alle prime luci dell’alba?

Accanto a me una coppia di anziani commenta le notizie di un quotidiano piegato a metà sul bancone e più in là, in disparte, un giovane studente con lo zaino sulle spalle beve tutto d’un fiato il succo d’arancia prima di scappare fuori a prendere l’autobus.

Intanto continuo a girare il cucchiaino nella tazza con le pupille che seguono questo movimento circolare che quasi mi procura un effetto ipnotico. Se non la smetto finirò sul serio con la faccia nella schiuma del latte e mi addormenterò come un ubriaco dopo l’ennesimo quartino.

Penso e non vorrei pensare, mi agito e vorrei stare fermo, tutte azioni e negazioni  che si annullano a vicenda facendomi rimanere al punto di partenza: ritto nella mia postazione, anonimo e indifferente come un manichino insieme ad altri intento ad osservare il solito scenario.

Giro e rigiro il cucchiaino ma questa volta la barista mi lancia un’occhiata interrogativa che mi induce ad accelerare l’atto di sorbirmi il mio cappuccino.

Ecco che mi decido ad impugnare il manico della tazza e a portarla a poca distanza dalle mie labbra. Sento gli occhi dei presenti su di me come se stessero assistendo ad un’operazione delicata e difficile. Finalmente mando giù i primi flutti di latte caldo che scendono in gola e infine nello stomaco dopo un lieve rigurgito. Provo un gusto amaro come se avessi ingerito uno strano intruglio, di quelli che si prendono come medicina quando si sta male.

Chiedo alla barista una brioche alla crema per addolcire il palato ma il primo boccone mi va di traverso, comincio a tossire, divento rosso e poi paonazzo, sento che sto per soffocare. Improvvisamente ricordo che non ho fatto  testamento né ho dato disposizioni per la donazione degli organi e questa assenza di pianificazione delle azioni postume alla mia vita mi fa agitare sempre di più.

Penso a Confucio, il mio cane che da lì a poco avrei lasciato da solo nel mio giardino di casa senza che nessuno si sarebbe occupato di lui. Ed è un pensiero miracoloso che segna la mia salvezza da quella difficile situazione. Di colpo il boccone della brioche che si era trattenuto tra la trachea e l’esofago si sposta verso quest’ultimo ed io riprendo finalmente a respirare.

Cerco di darmi un contegno, fingo indifferenza ma in cuor mio mi sento sollevato per lo scampato pericolo. Vado alla cassa, rifiuto con un sorriso l’offerta della barista di non pagare l’infausta consumazione ed esco dal bar.

Mi prendo in faccia l’aria fredda del mattino e scopro che è così bello ricominciare.


ZUCCHERO AMARO

Racconto breve 
di
Vittoriano Borrelli

DOPOFESTIVAL


Sarò controcorrente rispetto ai giudizi positivi della critica e ai dati di ascolto stellari che si sono registrati in questi giorni, ma il Festival 2018 non mi è piaciuto. Lo dico e lo scrivo sotto il profilo della qualità delle canzoni, mediamente scadente e di non facile presa popolare. A parte lo Stato Sociale che hanno presentato un brano apparentemente banale ma molto orecchiabile, e qualche chicca  di poesia qua e là (vedi “Almeno pensami” di Ron o “Imparare ad amarsi” della rediviva Vanoni), il resto è carta straccia che sarà ben presto smaltita nelle discariche della memoria collettiva.

Eppure la scelta delle canzoni affidata ad un poeta della musica leggera italiana come Claudio Baglioni, avrebbe dovuto portare a quel salto di qualità canora da molti auspicato ma che a conti fatti ha lasciato molto a desiderare. Delle due l’una: o le canzoni scartate sono state di gran lunga peggiori o il livello attuale della musica nostrana paga un deficit di estro poetico che è figlio del nostro tempo.

Nulla da dire sulla conduzione affidata ad una bravissima Michelle Hunziker (finalmente si è capito che le donne sanno anche parlare), ad un superlativo Pierfrancesco Favino (a dispetto di tanti attori figuranti del passato) e allo stesso Baglioni  che ha saputo essere discreto ed elegante valorizzando la performance dei suoi colleghi di “viaggio”. Altrettanto positivi gli ospiti che sono saliti sul palco, fra tutti, il mattatore Fiorello, una garanzia per gli ascolti,  l’esilarante Virginia Raffaele, sempre efficace e pungente, e una magistrale Giorgia che ha dato il meglio di sé nell'esibizione con James Taylor.

Ma le canzoni no, non ci siamo. Anonime, scontate, puntellate da una sequenza impressionante di stonature non giustificata nemmeno dall'attenuante di essersi emozionati sul palco più importante della musica leggera. Per molte di loro ci sarà poca gloria a partire già dal prossimo lunedì.

Ecco comunque le mie pagelle (in ordine di classifica  finale):

Ermal Meta e Fabrizio Moro: Non mi avete fatto niente. Dovevano essere esclusi per “auto-plagio”, invece sono stati riammessi per l’irrilevanza della clonazione con un brano già presentato in passato con il titolo di “Silenzio”. Mini scandalo che forse avrà giovato al duo vincitore di questo festival unitamente alla loro astuzia di aver fatto leva sugli eventi di cronaca del momento. Voto 6 

Lo Stato Sociale: Una vita in vacanza. Brano orecchiabile che farà la fortuna delle balere non solo romagnole. L’intuizione di portare sul palco la vecchietta arzilla e ballerina è stata più che geniale. Voto 7 

Annalisa: Il mondo prima di te. La migliore esibizione per qualità del canto senza alcuna sbavatura. Annalisa è brava, il brano un po’meno ma è comunque gradevole. Voto 6,5 

Ron: Almeno pensami. Ha presentato un brano inedito di Lucio Dalla che l’ex prodigio di “Pa’ diglielo a ma’ ” ha saputo interpretare con grazia e raffinatezza. Voto 7 

Vanoni-Bungaro-Pacifico: Imparare ad amarsi. La classe non è acqua anche se la Vanoni non ha più l’età e qualche stonatura si è sentita. Ma a lei si può perdonare tutto. Il testo è bello soprattutto nel refrain “Bisogna imparare a lasciarsi quando è finitaVoto 6,5 

Max Gazze: La leggenda di Cristalda e Pizzomunno. Testo di buona levatura e ballata stile Gazzè che non dispiace. Voto 6. 

Luca Barbarossa: Passame er sale. Lontani i tempi di “Portami a ballare” o “L’amore rubato”. A sentirlo cresce la nostalgia. Voto 5 

Diodato e Roy Paci: Adesso. Melodia accettabile ma niente di più. Voto 6 

The Kolors: Frida (mai mai mai). Piacerà ai giovani e alle discoteche del sabato sera. Voto 6. 

Giovanni Caccamo: Eterno. Stonato come una campana, ha presentato una canzone al di là delle sue possibilità canore. Forse una tonalità più bassa lo avrebbe aiutato, ma di poco. Voto 5. 

Le Vibrazioni: Così sbagliato. Brano rockeggiante che fa presa sui fan del genere anche se l’esibizione con Skin nella serata dei duetti è sembrata asincrona. Spopolerà nelle radio. Voto 6,5. 

Enzo Avitabile e Peppe Servillo: Il coraggio di ogni giorno. A stare a guardarli così dimessi c'è voluto proprio coraggio . Voto 5 

Renzo Rubino: Custodire. Non male né bene. Sufficienza risicata Voto 6-- 

Noemi: Non smettere mai di cercarmi. Sarebbe invece il caso di farlo, se non altro per le sue stonature imbarazzanti. Voto 5,5 

Red Canzian: Ognuno ha il suo racconto. E ognuno ha il suo giudizio. Su di lui pessimo. Voto 4. 

Decibel: Lettera dal Duca. Non si può resuscitare il passato. I tempi di “Contessa” restano lì. Voto 5 

Nina Zilli: Senza appartenere. Nina è brava ma le affidano sempre canzoni insipide. Come questa. Voto 5- 

Roby Facchinetti - Riccardo Fogli: Il segreto del tempo. Voci strozzate e stonate che mettono ansia e voglia di salire sul palco per dare loro una mano con l’intonazione. Decadenti. Voto 5 

Mario Biondi: Rivederti. A rivederlo (e soprattutto a risentirlo) mi ha consegnato dolcemente nelle braccia di Morfeo. Soporifero. Voto 4- 

Elio e le Storie Tese: Arrivedorci. Canzone ironica e scenica come il loro inconfondibile stile. Tanti sorrisi e niente più. Voto 5+

IPOTESI D’AMORE


Fammi un po’ pensare che ho bisogno di te
che l'amore è grande quando è pieno di te
Fammi concepire un rapporto per cui
tu potresti amarmi anche senza di lui

Fammi ricordare che ho bisogno di te
quando cerco un senso nel deserto che c'è
Nella mia disperazione sai che vorrei
fare pace con il mondo accanto a te

Stare sul tuo cuore
per ipotesi d'amore
fare confusione
col mio istinto che ti vuole

Dolce tentazione
è un'ipotesi d'amore
caldo ma violento
e che ti travolge dentro

Fammi immaginare una vita con te
affettuosa dignitosa identica a te
Dentro me nascondo tanta buona poesia
puoi tirarla fuori senza che voli via

Stare sul tuo cuore
per ipotesi d'amore
fare confusione
col mio istinto che ti vuole

Dolce tentazione
è un'ipotesi d'amore
caldo ma violento
e che ti travolge dentro

(Tratto da Le parole del mio tempo”)

ANIMA BESTIALE


Non vedo l’ora di mostrartelo. Sono certo che stavolta cederai alle mie lusinghe e finalmente ti abbandonerai a me.  Non sentirò più il tuo sguardo rigido e cattivo che tante volte mi hai rivolto dall'alto della tua superbia e imperturbabilità inibendo ogni mio gesto, ogni mia reazione timida o scomposta.

Si abbasseranno le barriere che hai voluto innalzare tra di noi e che mi hanno impedito di sfiorarti, di accarezzarti, di esplorare il tuo corpo bellissimo e sinuoso che ho solo intravisto tra le ampie aperture della tua camicetta scollata. Sempre pronta a mostrarti a me con fare civettuolo e spregiudicato per poi chiuderti a riccio non appena provavo a spingermi oltre nel corteggiamento.

“Vorresti conquistarmi con quella faccia? Ma ti sei mai guardato allo specchio? Sei così brutto che un rospo a confronto è un animale splendido”.
“Ma il rospo si può sempre trasformare in un principe azzurro”.
“Davvero? Quando accadrà io sarò diventata la Regina d’Egitto”.
“Tu per me sei già una Regina”.
“Gualtiero Gualtiero, non scherzare. Che cosa potresti offrirmi?”

Eravamo davanti ad una gioielleria. Dalla vetrina troneggiava un collier di diamanti e istintivamente ho risposto: “Quello”, alludendo con la coda dell’occhio al magnifico gioiello. Sei scoppiata a ridere. Ridevi così tanto che non ho potuto fare altro che assecondarti ridendo a mia volta come si fa quando si ascolta una barzelletta incomprensibile che si finge di apprezzare.

“Oltre a non avere una bella faccia ti manca anche il portafogli a giudicare da come ti sei conciato”. Indossavo il vestito della domenica: un completo verde bottiglia con cravatta arancione sulla camicia a quadri gialla.

Non le sarà piaciuto, ho pensato tra me, ma non ho desistito.

“E invece posso permettermelo, scommettiamo?”
“Sono pronta ad uscire con te se adesso mi compri quel gioiello.”
“Ora non posso, ho dimenticato la carta di credito a casa.”
Altra risata, questa volta più fragorosa.
“Ma come? Mi vuoi conquistare e fai lo sbruffone senza avere il becco d’un quattrino?”
“Aspetta e vedrai.”

Non so quanto tempo è passato da quella volta. Un giorno? Un mese? Un anno? Forse quello che è successo non è mai successo o è stato solo un sogno, come adesso che ti vedo distesa sul mio letto senza dire una parola. Hai lo sguardo assente, senza luce, che quasi rimpiango quello vitreo e altezzoso che mi rivolgevi tutte le volte che mi avvicinavo a te.

Ho il collier tra le mani ma tu non lo degni nemmeno di uno sguardo. Eppure sapessi quanto mi è costato! Una rapina da quello stupido gioielliere che per fortuna non ha battuto ciglio quando gli ho puntato la pistola contro. E’ stato un gioco da ragazzi appropriarmi del gioiello e scappare via senza essere preso. Ho pensato: “Dio mi perdonerà, in fondo ho rubato solo per amore.”

Ti ho fatta entrare in casa promettendoti che ti avrei lasciata in pace dopo averti consegnato una certa cosa. Avevo già pregustato la scena: ti saresti gettata tra le mie braccia alla vista di questo splendido collier.

Non è andata così. Quando te l'ho mostrato hai subito pensato che l’avessi rubato ed eri decisa a chiamare la polizia. Poi la colluttazione: tu che volevi scappare ed io che t’imploravo a rimanere. Non so come ma è partito un colpo dalla stessa arma che avevo usato per minacciare il gioielliere. Sei caduta a terra e improvvisamente sono cadute tutte le mie speranze, le mie illusioni. Ti ho adagiata sul letto e mi sono guardato allo specchio.

E’ stato allora che ho visto riflettersi la bestia che c’è in me.

ANIMA BESTIALE

Racconto breve
di
Vittoriano Borrelli

(I fatti e i personaggi narrati sono puramente inventati)