LA NOSTRA SOLITUDINE


E noi siamo in una canzone
così come tante persone
anche noi siamo facce che non hanno nome
Noi qui vagabondi da sempre
con chi vuol tornare nel ventre
perché più nessuno lo sente


Città impastata di sguardi
e di età calpestata per strada
noi qui siamo schiavi di un’ansia infinita
Per noi non rimane più niente
perché fuori completamente
da noi e dal nostro presente

Colpa della nostra solitudine
che ci fa viver di nascosto
l’inquietudine
che ci portiamo sempre addosso
solitudine
è un male che purtroppo è nostro

Che ha questa nostra follia?
Che ha? Non ragiona e va via
e no non si piega all'eterna poesia

Poesia che racconta la storia di noi
Poesia sotto i tetti di noi
che non siamo protetti

Colpa della nostra solitudine
che ci fa viver di nascosto
l’inquietudine
che ci portiamo sempre addosso
solitudine
è un male che purtroppo è nostro

Per noi non rimane più niente perché
fuori completamente da noi
e dal nostro presente

(TRATTO DA "L'AQUILA NON RITORNA"-V. Borrelli)

L’IDIOTA


La bontà non paga (quasi) mai. Spesso scambiata per ingenuità, antitesi della furbizia, della capacità di imporsi su tutto e su tutti, finanche per l’idiozia come il celebre romanzo di Dostoevskij diffuso tra il 1868 e il 1869. Oltre un secolo fa ma terribilmente attuale, l’opera del celebre autore russo sarebbe oggi una fiction di successo che farebbe un baffo alle più seguite del momento. 

Il romanzo, di matrice psicologica e per certi versi fiabesco ma con una morale capovolta (i buoni sono condannati all’inferno), ruota intorno alle vicende del protagonista, il giovane principe Myskin, che dopo essere stato in Svizzera per curarsi da una grave malattia nervosa, ritorna a Pietroburgo. Qui intreccia una tormentata relazione con la bella Natasja Filippovna, contesa dall’amico Rogozin, follemente innamorato della donna, e dal segretario Ganja le cui mire sono tutt’altro che disinteressate dopo aver appreso di un ingente lascito che la Filoppovna ha ricevuto da un benefattore. 

Myskin si offre di sposare Natasja per salvarla da questa sorta di corteggiamento trilaterale che la pone come merce di scambio, ma la donna non si sente all’altezza del nobile decaduto e decide di unirsi all’irruente Rogozin. Quest’ultimo tuttavia non accetta che Natasja provi dei sentimenti per Myskin e preso dalla gelosia la ucciderà condannando l’amico ad una follia senza appello. 

L’inadeguatezza sembra essere il filo conduttore del romanzo, più che la bontà del protagonista che pure il grande scrittore ritiene centrale per dimostrare quanto essa sia effimera, ideale e non cristallizzata nella realtà. 

Ciascuno dei personaggi si sente inadeguato quando si rapporta all’altro: Natasja verso il bel principe in termini di inferiorità sociale, Rogozin verso l’amico per incapacità di competere con la sua superiorità morale, e lo stesso Myskin che sente il fallimento dei propri principi nei confronti dell’uno e dell’altro che lo farà alfine sprofondare nel dolore più acuto ed irreparabile. 

“… il dolore essenziale, quello più forte, forse, non è quello delle ferite, è il sapere con certezza che fra un’ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi adesso, ecco, proprio ora, l’anima vola via dal corpo, e tu come persona non esisterai più, e questo ormai con certezza. 
La cosa più importante, ecco, è questa certezza.” 

Romanzo di rara architettura psicologica, L’Idiota si colloca a pieno a titolo tra i migliori della letteratura mondiale, risultando ancora oggi uno dei più pregevoli nel suo genere e uno dei più terribili sotto il profilo della contrapposizione tra ciò che assurge a valore ideale e ciò che nella realtà rappresenta esattamente il suo contrario. 

L’IDIOTA- Fedor Mihailovic Dostoevskij

LE CANZONI CHE DIMENTICHEREMO


Quest’estate, come le altre che l’hanno preceduta, sta volando via portandosi via sprazzi di spensieratezza e qualche amore sbocciato troppo in fretta. Con la bella stagione anche le canzoni che hanno scritto la sua colonna sonora svaniranno con l’intiepidirsi del sole e le prime giornate piovose dell’autunno.

Ti scrivo tu mi scrivi, poi torna tutto come prima”, cantava Renato Zero nella bellissima Spiagge di qualche anno fa. Come non dargli ragione? L’estate ti dà e ti toglie tutto in una manciata di tempo che sembra non sia mai arrivato né passato, perché l’attimo è così, neutro e fuggente.

Tutto arriva e passa come un bel carrozzone sul quale sfilano le canzonette del momento che saranno ben presto dimenticate senza eccezione alcuna, nemmeno per quelle che abbiamo ascoltato durante questa stagione.

Come di consueto ho compilato le mie pagelle delle hit italiane più gettonate, giudizi complessivamente poco lusinghieri per un nostalgico come me delle belle canzoni di un tempo. Forse i giovani di oggi diranno la stessa cosa tra qualche anno perché il rimpianto affiora più facilmente quando i ricordi passano e si sbiadiscono.

Ma ecco i miei voti:

THEGIORNALISTI: Felicità puttana. Forse la più gradevole ed orecchiabile. Niente di trascendentale ma almeno si canticchia facilmente ed è perfettamente in linea con lo spirito avventuriero e un po’superficiale con cui si vivono le vacanze.  Voto 8.

LUCA CARBONI: Una grande festa. Non male anche se non ripete i fasti di un tempo. Carboni c’è in qualità e professionalità.  Voto 7.

J-AX&FEDEZ: Italiana. Per chi ha problemi di emicrania è bene stare alla larga da questa canzone sciocca e monotona. Il refrain è insopportabile e, per l’appunto, da mal di testa. I due rapper concludono male un sodalizio che in passato ha sfornato canzoni migliori.  Voto 3-.

BOOMDABASH-LOREDANA BERTÈ: Non ti dico no. Merito del successo è tutto della Bertè, tornata in gran forma. Il ritmo ricorda la più celebre “E la luna bussò” ma piace e trascina le vecchie e nuove generazioni.  Voto 7+.

ERMAL META: Dall’alba al tramonto. Meglio della più insipida e ruffiana “Non mi avete fatto niente” con la quale, in coppia con Moro, ha vinto l’ultimo Sanremo. Il ritmo c’è, le qualità canore pure. Voto 7.

ANNALISA: Bye Bye. Meglio un addio. Canzonetta che si dimenticherà facilmente. Voto 5,5.

LAURA PAUSINI: E.Sta.A.te. Il giochetto del titolo che è una sorta di spelling della parola estate non vale… la candela. Laura ci ha regalato momenti migliori. Voto 5-.

FABIO ROVAZZI (con EMMA, NEK e ALBANO): Faccio quello che voglio. L’unione fa la forza e la partecipazione di altri artisti ha garantito una maggiore visibilità a questo brano non proprio eccelso ma tutto sommato accettabile. Voto 6,5.

JOVANOTTI: Viva la Libertà. Canzone dal sapore sessantottino o che evoca i partigiani della seconda guerra mondiale. Melensa. Voto 4.

LE VIBRAZIONI (con JACK LA FURIA): Amore Zen. Il brano è proprio una furia (dalle buone intenzioni) ma non sfigura in mezzo a tanto niente. Voto 6.

CESARE CREMONINI: Kashmir-Kashmir. Ci vorrebbe qualcos’altro per riscaldare gli animi sensibili della buona musica. Voto 5.

TAKAGI & KETRA (CON GIUSY FERRERI & SEAN KINGSTON): Amore e Capoeira.  Interpreti dal nome impronunciabile o di difficile memoria, a parte la Ferreri che ha successo solo con queste canzoncine che mettono allegria e…niente più. Voto 6.

BABY K.: Da zero a cento.  Altra canzoncina dal sapore esotico, ben costruita per far breccia nel cuore di ragazzine sognanti. La coreografia del ballo che si vede nel video promozionale del disco ne è una chiara dimostrazione. Voto 5,5.

ELODIE-MICHELE BRAVI-GUÈ PEQUENO: Nero Bali. Vedi giudizio sopra, praticamente identico. Non è il caso di aggiungere altro. Voto 5,5.

RIKI (feat CNCO): Dolor De Cabeza. Il bel Riki piace tanto alle ragazzine e questo basta e avanza. Brano già sentito e scopiazzato qua e là. Ma è un dettaglio. Voto 5+.

IRAMA: Nera. Sull’onda della sua vittoria ad “Amici 2018”, Irama sfodera una ballata uguale a milioni di altre come il suo predecessore Riki. Commerciale, strategica e destinata a sparire non appena si chiuderanno gli ombrelloni. Voto 5.

"L'inverno passerà
tra la noia e le piogge
Ma una speranza c'è
che ci siano nuove spiagge ..."
(R. Zero)

IL VUOTO


Ci sono vuoti che pesano come macigni e non si riempiono mai. Pensate agli organi del corpo umano come il cervello, il cuore, lo stomaco. Se fossero vuoti come sarebbero? Una testa vuota, la negazione del ragionamento e dell’intelligenza; un cuore vuoto, l’anaffettività allo stato puro; uno stomaco vuoto, un deterrente per chi vuole dimagrire ma a lungo andare potrebbe rivelare malattie ben più serie.

C’è una funzione organica e una funzione emotiva del vuoto; ciascuna agisce in maniera apparentemente autonoma dall'altra ma spesso s’intersecano in uno stato di reciproca dipendenza. Succede, ad esempio, che si ha fame non per appetito ma per rabbia, delusione, frustrazione. Allora ci si rimpinza ben bene senza tuttavia provare alcuna sazietà sicché il vuoto resta come se nulla fosse entrato nello stomaco.

Ma può accadere che per le stesse ragioni di uno stato d’animo cupo e doloroso non si riesca a mandare giù nemmeno un briciolo di pane. Qui è la funzione emotiva del vuoto a prendere il sopravvento e a condizionare l’altra, quella organica, che non si alimenta di alcunché finendo con l’essere la stessa cosa, ovvero vuoto assoluto.

Quante sfaccettature ha il vuoto! Dallo stomaco al cervello, il passo è breve. Qui a farla da padrona sono i pensieri o meglio l’assenza dei pensieri. Un corto circuito che non fa ragionare e nemmeno intessere con se stessi il benché minimo dialogo. Ma lo stesso senso di vuoto si prova anche quando c’è un sovraffollamento di pensieri, disordinati e illogici, che sembrano riempire la mente e invece la svuotano di ogni facoltà di ragionamento chiaro e lineare.

Senza dimenticare che ci sono i vuoti a perdere, quelli che anche se provi a soffiarci dentro rimangono flosci come un otre riverso per terra che nemmeno il dio dei venti riuscirebbe a gonfiare. Vuoti a perdere che nessuno vorrebbe ricevere in cambio perché non si alimentano mai di nessuna sostanza, né organica, né emotiva.

E un cuore vuoto? Forse la forma di assenza più grave e preoccupante. La funziona organica opera perfettamente ma quella emotiva non dà alcun segno di vita. E’ la morte sostanziale, la fine di ogni ardire generoso e propositivo. Un cuore vuoto è peggio di una testa vuota, di uno stomaco senza cibo.

Un cuore vuoto è una giornata senza sole, una notte senza stelle, un mattino che è già tramonto, l’infinito che è già finito, un albero spoglio di foglie morte, il bianco e nero che prende il posto dei colori più belli e splendenti, un fiore che appassisce prima ancora di sbocciare.

La fine.

Come quando nel silenzio lanci un urlo ma è solo un sussurro. Nessuno ti ascolta e la tua voce si disperde nel vuoto.

Nel tuo vuoto.