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Mi
guardo allo specchio. Ho la barba di due giorni e mi chiedo se sia il caso di tagliarla.
Accarezzo una guancia e poi l’altra tastando tutta la ruvidezza di quella
peluria ostinata e rigogliosa. Penso che dovrei tirare fuori il pennello, la
schiuma da barba e la lametta per mettermi all'opera ma oggi non ho proprio voglia.
Desisto.
Subito
mi assale un altro interrogativo: mi faccio la doccia o mi lavo a pezzi? ben
sapendo che in quest’ultimo caso dovrei compiere più azioni: sciacquarmi il
viso, insaponarmi le ascelle, accovacciarmi sul bidet per rinfrescare le parti
intime e infine lavarmi i piedi. Guardo l’accappatoio che ieri ho tirato fuori
dalla biancheria pulita e penso che sarebbe un peccato usarlo.
Anche
il pavimento del bagno è lindo e gli asciugamani sono ben sistemati al loro
posto. Perché dovrei sconvolgere questo scenario così asettico e perfetto?
Decido quindi di non fare né l’una né l’altra cosa.
Desisto.
Vado
in soggiorno e sento lo squillo del mio cellulare che mi annuncia un messaggio.
Mi avvicino controvoglia all'aggeggio che sta sul tavolo e leggo quello che c’è
scritto. È Adalgisa, la mia ultima fiamma: “Ciao torello, quando vieni a
trovarmi? L’altra sera sei stato fantastico. Tvb.”
Adalgisa
mi ricorda quello che sono per lei da due mesi a questa parte: un concentrato
di sfrenata lussuria che adesso rivendica a pieno titolo con un altro invito a
luci rosse. Dovrei sentirmi lusingato e rispondere al messaggio con la fierezza
del maschio latino ma anche stavolta desisto.
Quando
faccio l’amore sono più lucido di un computer. Devo registrare ogni cosa della
mia partner, avere il pieno controllo della situazione. Così che il piacere lo
traggo non già dai miei movimenti attivi e scrupolosi, ma dalla reazione che riesco
a suscitare nella mia amante. Accettando l’invito di Adalgisa dovrei rifare
tutte queste cose che adesso mi appaiono troppo impegnative e laboriose.
Desisto.
Suona
il citofono e sorrido pensando alle persone che in un modo o nell'altro cercano
un contatto con me quando invece preferisco isolarmi completamente da loro. Dal
video dell’apparecchio vedo due uomini in giacca e cravatta, l’uno con una
valigetta, l’altro con un libricino in mano che mi fa pensare ad un breviario.
Saranno i Testimoni di Geova.
Nel
quartiere sono l’unico che li fa entrare in casa anche se non credo ad una sola
parola di quello che predicano. Ma mi piace assecondarli, far finta di seguire
il loro insegnamento pur sapendo che non lo metterò mai in pratica. Ho imparato
non so da quanto tempo a sentire senza ascoltare, a fare le cose nell’ordine
inverso in cui si presentano per il semplice gusto di ribellarmi ai prototipi
della vita. Penso che la menzogna sia più reale di qualsiasi verità ma adesso
non ho voglia di recitare la parte del fedele discepolo, ci vuole impegno e
disinvoltura anche per fingere.
Desisto.
Mi
sdraio sul divano e decido di liberare la mente di tutti questi pensieri e
incombenze. Penso al niente e il niente in questo momento ha molto più senso
della pienezza delle cose, ma forse sarebbe meglio dire di ciò che solo in
apparenza equivale a compiutezza, completezza e logicità.
Il
niente mi riporta bambino quando mi piaceva perdermi nella mia spensieratezza,
inseguire il sogno di una giovinezza acerba che da lì a poco mi avrebbe fatto
conoscere un mondo diverso, come poi è stato. Sento le palpebre che si fanno
pesanti come se un grosso macigno si fosse posato sopra i miei occhi. Ma forse
è il mio corpo che sta diventando leggero che se una formica dovesse passarci
sopra avrebbe il peso di un elefante.
Con
la coda dell’occhio osservo la pentola sul fornello della cucina dalla quale
trabocca l’acqua in ebollizione che fa spegnere la fiamma. L’odore del gas si
propaga nell'aria prima delicatamente e poi sempre più intensamente. Dovrei
alzarmi e chiudere la chiavetta ma sono rapito dal mio niente che mi fa sentire
sempre più leggero. Mi addormento e so che sarà per sempre.
LA VOGLIA DI
NIENTE
Racconto breve
di
Vittoriano Borrelli
(I fatti e i
personaggi narrati sono puramente inventati)
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