E LA CHIAMANO ESTATE


Dopo un maggio “novembrino”, finalmente l’estate è arrivata in quel di giugno con tanto sole e caldo in ogni parte della penisola. Fuori dagli armadi gli abiti più leggeri e colorati, con qualche ricambio per stare al passo con la moda, e via a sfrecciare all’aria aperta, al mare o in montagna o a inzupparsi di sudore nelle ore vuote di città.

Con l’estate la spensieratezza è quasi d’obbligo, e con essa le canzoni che si ascoltano alla radio, nelle piazze, nelle sagre di paese, nelle balere, in ogni dove. Ci si chiede quale sarà la colonna sonora di quest’estate, quella che ci accompagnerà fino al prossimo autunno quando, con le foglie, cadranno anche le ultime illusioni rubate in riva al mare.

La produzione musicale del momento non ci aiuta molto nella scelta dei brani che saranno più ascoltati e ricordati. Un tempo c’erano manifestazioni canore come Il cantagiro, o Il disco per l’estate, o il Festivalbar del compianto Vittorio Salvetti che sfornavano canzoni che sono rimaste nella memoria e che hanno contrassegnato il ricordo di un amore o di un momento felice.

Ora si vive di quel che resta dell’ultimo Sanremo, o dei Talent Show che impazzano alla televisione. Poco per la verità, se si esclude l’esplosione di Mahmood con la sua “Soldi”, o la vincitrice morale dell’ultima edizione di Amici, Giordana Angi, che ci ha regalato una splendida e intensa “Casa”, aggiudicandosi il disco d’oro per le 25.000 copie vendute:

Con te con te con te
Che mi aiuti ad accettare quel che volevo scordare
Che mi sai dimostrare ogni giorno che passa che non c’è niente da temere
ma così tanto da tenere

Tutto il resto è noia o quasi. Forse qualche sussulto ce lo regalerà Achille Lauro, da molti indicato come il nuovo Ligabue o il Piero Pelù dei primi tempi. La sua “C’est la vie” non sarà forse orecchiabilissima ma è di sicuro un pezzo di qualità con versi di grande impatto emotivo:

Mi sto gettando dentro al fuoco, dimmi, "Amore no"
Finiranno anche le fiamme ma il dolore no
E non puoi uccidere l'amore, ma l'amore può….

Comunque vada sarà un’altra estate. La chiameremo così anche quando, dopo esserci voltati, la vedremo passare via come tutte le altre.



L’ANAFFETTIVO


Mi ami ma non sento alcun brivido sulla mia pelle. Anche se le funzioni organiche reagiscono perfettamente agli stimoli provocati dal movimento delle tue mani, niente si muove dentro di me. Potresti girarmi e rigirarmi come una trottola, stringermi fino a farmi mancare il respiro, provare a strapparmi il cuore come si fa con i lupi mannari. Sarebbe tutto inutile.

Non riusciresti a scombussolare quello che si nasconde sotto il manto epidermico perché ogni cosa al suo interno rimane intatta e refrattaria a qualsiasi impulso esterno. Come un bunker costruito apposta per difendersi dai bombardamenti o per parare i colpi lanciati da nemici che cercano di scardinare, senza riuscirci, la porta che conduce ai meandri della mia anima.

Da quando sono diventato così? Non ricordo esattamente il giorno, l’ora, il momento in cui ho smesso di emozionarmi. Probabilmente l’ho fatto da sempre che non ci faccio più caso. Sarò nato così, senza capo né coda, come un’oloturia che sguizza nel fondo marino avanzando o tornando indietro senza alcun orientamento.

O forse è stato per uno sguardo, quando i miei occhi hanno incrociato altri occhi che non avrei mai voluto incontrare. Un ricordo che avrò dimenticato o rimosso dalla mia mente che a volte dubito di averlo vissuto veramente. Come una violenza subita che si cerca di debellare pensando che sia capitata a qualcun altro.

Così mi vedi piangere o ridere ma dentro di me è come se non fosse successo niente. So che per te è un dramma, una sofferenza che patisci ogni giorno per farmi diventare una persona diversa, modellata secondo il tuo volere. Come la plastichina che i bambini usano per mettere su un bel pupazzo, buffo e sorridente ma inanimato. Così io, che non do segni di vita dentro di me. E il guaio è che non riesco a rammaricarmene.

Io ce la farò a cambiarti.”

Quando mi hai detto queste parole ho creduto per un momento che ci saresti riuscita veramente. Mi sei venuta sopra e hai iniziato ad operare con la perizia di un chirurgo. Le mani sono scivolate su tutto il corpo come una piuma leggera che si posa delicatamente sulle ferite. Poi hai stretto forte la mia testa e mi hai detto:

Vorrei tanto entrare nella tua testolina per vedere cosa c’è.”

Ho ricordato Zeus dalla cui testa nacque Atena, la sua figlia prediletta, e ho pensato che sarebbe stato bello rinascere ed essere una persona nuova. Ti sei spogliata e mi hai mostrato la tua sottana rossa. Ho avuto un sussulto e ho gridato respingendoti come se avessi visto un fantasma.

Mi sono alzato a sedere e ho visto quello che per lunghi anni avevo seppellito nella mia memoria: gli occhi di mio padre che sono apparsi dopo che mia madre, di spalle e avvolta nel suo scialle rosso, cascava  a terra senza vita.

Sono andato di corsa alla finestra, l’ho aperta e mi sono proteso in avanti. Ho sentito la pioggia battere sulla mia testa incessante e impetuosa.

Ho levato gli occhi al cielo e sono stato rapito dalla luce di un bellissimo arcobaleno.

L’ANAFFETTIVO
Racconto breve
di
Vittoriano Borrelli

(Ogni riferimento alla realtà è puramente casuale)


LA SOLITUDINE DELLO STARE INSIEME


Ci sono proverbi o aforismi che c’insegnano il senso della misura e della moderazione. Per Aristotele, ad esempio, “è bene, nella vita come ad un banchetto, non alzarsi né assetati né ubriachi.” Concetto ripreso qualche secolo dopo da Epitteto, secondo il quale “se si oltrepassano i limiti della moderazione, i più grandi piaceri cessano di esserlo.”

Sono massime o consigli del buon padre di famiglia che dovrebbero essere sempre seguiti, soprattutto quando si tratta di scardinare cattive abitudini o comportamenti di mal costume.  Come ad esempio l’uso dei social che ormai sta dilagando a dismisura fino ad impadronirsi, in casi estremi, del nostro stesso stile di vita. Persino Papa Francesco è intervenuto recentemente ammonendo l’utilizzo distorto di questi strumenti che ci rendono “più social e meno sociali”.

La virtualizzazione  delle relazioni, sempre più spinta ai massimi sistemi,  pare essere la risposta ad un disagio e senso di inadeguatezza che si avverte nella realtà e nella fisicità dei rapporti. Le ultime storie di ordinaria follia cui abbiamo assistito negli ultimi tempi ne sono una spiacevole riprova: la Pamela Prati dello spettacolo e la sua manager Eliana Michelazzo ci hanno regalato uno spaccato di immaginario collettivo da far venire i brividi anche al più collaudato autore del genere horror, Stephen King.

La Prati s’è inventata un matrimonio da favola con un tale, Marco Caltagirone, che poi si è scoperto inesistente. La Michelazzo invece, con la complicità dell’altra Pamela, tale Perriciolo, ha creduto di essere sposata da ben dieci anni con Simone Coppi, altro bello e impossibile, salvo rendersi conto all'improvviso di averlo fatto solo virtualmente.

Sono storie grottesche che devono tuttavia farci riflettere perché sono foriere di una pericolosa tendenza di costume che è quella di staccarsi dalla realtà e di proiettare nell'immaginario i desideri e le aspettative deluse. Un problema serio di incomunicabilità nel mondo reale che è l’anticamera della solitudine dello stare insieme.

Costa fatica ed impegno conoscersi, così che quando non si ha voglia di farlo si preferisce percorrere strade più comode e facili che l’era “internettiana" dei nostri tempi offre a tutti a titolo gratuito.

Dalla paura di restare delusi al desiderio di trovare un palliativo per non ricaderci il passo è breve: non ci s’innamora più guardandosi negli occhi e cogliere il battere delle ciglia come segno della vitalità di uno sguardo.

Oggi è più facile affidarsi all'immutabile espressione di una fotografia che ci sorride per sempre, alle parole dosate e controllate che desideriamo sentirci dire e sulle quali coltiviamo i nostri sogni di carta prima che il vento della realtà ce li porti via.

Più comodo rifugiarsi nell'amore virtuale anziché restare avvinghiati nelle ganasce della solitudine dello stare insieme che procura solo dolore e lontananza.

E polvere.

PADRE



Padre quanto sfogo c'è nel tuo bicchiere
non ti basterà nemmeno per un mese
E ti dai la colpa per un'altra ruga
che ha imprigionato ancora la tua fuga



Stai rischiando non guardare gli occhi scuri
del passato che c'è in te
Tu non hai uno specchio
non fai neanche un gesto
per conciliarti almeno con te stesso

Padre non ammazzare i figli tuoi
Sono giovani ragazzi al mondo troppo soli

Padre quale donna hai desiderato?
Forse da ragazzo il sogno ti ha sfiorato
Padre non odiare quello che hai previsto
ci son tanti occhi che non hanno visto

luce nel tuo viso stanco e molto ambiguo
che non si è struccato mai
Non restar vicino all'ombra di nessuno
si riempie di tristezza il tuo digiuno

Padre non ammazzare i figli tuoi
Sono giovani ragazzi al mondo troppo soli

Sono ormai riflessi dei loro complessi
Aiutali a sognare un po’
Ma che amore è questo
se non fai quel gesto
di prenderli per mano almeno adesso

Padre non ammazzare i figli tuoi
Sono giovani ragazzi al mondo troppo soli

Padre non ammazzare i figli tuoi


(Tratto da Le parole del mio tempo”)

A LETTO SENZA CENA


67… 68… 69 … Non sono numeri da giocare al lotto.
72… 73… 74…  Non è la sequenza di un codice segreto.
81… 82… 83…  Non è la rievocazione degli anni ottanta.
Che cosa sarà mai?

Se siete arrivati a questo punto della lettura sarete forse delusi di scoprire che si tratta di qualcosa di molto banale: la conta delle pecore, rimedio per antonomasia che si pratica quando non si riesce a dormire.

L’insonnia, si sa, è una gran brutta bestia. Secondo il Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) oltre quattro milioni di italiani ne soffrono in maniera cronica ma è un dato destinato a crescere se si sommano i periodi più o meno lunghi di insonnia transitoria.

Le cause sono molteplici: stress, stile di vita disordinato, ansia o preoccupazioni mal gestite, un concentrato di fattori singoli o concomitanti che incidono non poco sulla qualità della nostra esistenza. Ma i rimedi a volte sono peggiori del male.

A parte le pecore, si va alla ricerca dei diversivi più svariati per provare a rilassarsi: pensare a quanto di buono è stato fatto nella giornata o nel recente passato, all'ultimo programma televisivo che ci ha fatto divertire e persino a raccogliersi in preghiera per stare in pace con Dio.

Niente da fare.

Distrazioni che sono un po’ come le ciliegine, l’una attira l’altra: il rubinetto del lavandino che scorre, il frigorifero “rumorifero”, il vicino di casa che si ritira a notte fonda con la sua moto roboante. S’ingaggia una lotta senza quartiere con il cuscino sprimacciandolo o infilandoci la testa per non sentire nulla. Ma in queste situazioni di forte agitazione è proprio il silenzio il peggiore dei rumori.

Sono i pensieri gli alleati dell’insonnia. Si accavallano nella mente in maniera confusa e disordinata, una ubriacatura che è un peso sullo stomaco, che ti procura un senso di sazietà insaziabile e ti fa andare… a letto senza cena.

Eccetto i casi più gravi per i quali è bene seguire le cure di un medico specialista, i rimedi contro l’insonnia partono da molto lontano, in primis dall'educazione a volersi bene. È un esercizio difficile, complicato, ma se ben fatto è la migliore cura per affrontare la vita con più leggerezza e spensieratezza.

È un po’ come fare l’inventario di se stessi: buttare via le cose inutili e trattenere solo quelle che ci fanno stare bene. Ci vuole pazienza ma è un buon viatico per abbandonarsi finalmente tra le braccia di Morfeo ed affrontare con la giusta carica il prossimo risveglio.