DECAMERON


L’opera più famosa di Giovanni Boccaccio è contrassegnata da un evento funesto molto simile a quello che stiamo vivendo: la peste che colpì la città di Firenze nel 1348 e il virus da Covid-19 che dall'inizio di questo infausto 2020 sta mietendo vittime e cambiando il mondo. In comune, anche se con ampi distinguo, la reazione ad entrambi i contagi: il lockdown, di massa e indifferenziato dei nostri tempi, circoscritto e volontario nel capolavoro del Boccaccio per mano di dieci ragazzi che decidono di isolarsi per due settimane.

Ragazzi novellieri che nel tempo trascorso lontano dalla peste si danno l’obiettivo di raccontare dieci storie a tema per altrettanti giorni. Di qui le cento novelle del Decameron, un concentrato di pensieri, considerazioni ed osservazioni critiche sul sistema politico-sociale del Trecento retto dal potere temporale, corrotto ed ipocrita. La religione è presa di mira da questi narratori imberbi attraverso una prosa laica e dissacrante dove lo sfogo a tutto ciò che è materiale ed edonico fa da contraltare all’ermetismo farisaico della società di quel tempo.

Il Decameron è forse la dimostrazione più lampante di quanto i mutamenti sociali e di costume passino attraverso una rivoluzione culturale capace di muovere e cambiare certe direttive di vita mettendo a nudo la debolezza o l’inconsistenza delle sue regole. La dissacrazione è la parola d’ordine per cercare di sovvertire un sistema di relazioni basato dal più bieco (e cieco) formalismo che imbavaglia la libera espressione dell’essere.

I narratori, tre ragazzi e sette ragazze, dai nomi inventati (Pampinea, Filomena, Neifile, Filostrato, Fiammetta, Elissa, Dioneo, Lauretta, Emilia, e Panfilocome) per rispetto di una privacy già allora vigente, si cimentano in storie più o meno variegate, tra le quali l’Eros, visto come una necessità naturale,  che assume forse la parte predominante per esaltare la manifestazione dei sensi senza freni ed inibizioni. Sarà l’Eros il termine di paragone usato dal Boccaccio per smascherare l’ipocrisia del celibato ecclesiastico o per rendere lecito ed accettabile l’adulterio soprattutto femminile.

Ma l’Eros boccacciano sarà anche il metro di giudizio severo e censorio della Chiesa che nel cinquecento lo bollerà come dissacratorio e immorale, tanto che l’opera venne riadattata con molte parti delle novelle stralciate o rivedute.

La critica alla prima vera opera di letteratura narrativa italiana offrì tuttavia spunti anche emulativi da parte di commediografi come il Machiavelli che nella sua opera la Mandragola si ispirerà al personaggio del Calandrino, pittore sciocco fiorentino,  che in una novella del Boccaccio è preso di mira con burla e scherzi dagli amici.

Nel 1971 il Decameron approda nelle sale cinematografiche grazie al genio di Pier Paolo Pasolini che porterà sul grande schermo attori sconosciuti che impersoneranno i personaggi del Boccaccio con la verve, l’ironia e la critica sovvertiva che hanno contraddistinto lo stile dello scrittore bolognese.

L’opera del Boccaccio segna lo spartiacque di una mentalità sociale retrograda e dogmatica, un punto di non ritorno a favore della libera individualità che scardina retaggi culturali e comportamentali precostituiti, tale da risultare ancora oggi la più moderna nel panorama letterario mondiale.


UN ALTRO UOMO, UN’ALTRA DONNA


Sarò un altro uomo in questi tempi maledetti e forse già lo sono ma non me ne sono accorto. Ma poi che cos'è il cambiamento? La trasformazione del corpo che cambia? Le rughe che prima non c’erano e che adesso appaiono incipienti sul mio viso stanco e provato da chissà quale dolore? O forse è qualcosa che arriva dall'anima e che mi fa sentire più forte o più debole di un tempo?

Fase 1, fase 2, fase 3, fase 4 ... quante altre fasi dovremo percorrere per vederci veramente cambiati in bene o in peggio? E intanto si continua a commettere delitti, a delinquere nei soliti modi, a non rispettare il prossimo con sputi in faccia per propagare il contagio, come un’arma da fuoco nelle mani di uno scellerato che già lo era ieri e lo sarà domani, e poi domani ancora.

Ci sarà una fase X in cui si potrà dire che siamo davvero cambiati e migliori di quanto non lo siamo adesso?  Domanda che consegneremo ai posteri perché forse noi non ci saremo o non faremo in tempo a trovare la risposta.

Come si cambia per non morire...”, cantava la Mannoia in questa splendida hit di qualche Sanremo fa. Forse il cambiamento è sopravvivenza più che la risultante di un percorso di maturazione consapevole e sentito. Forse non si cambia mai, al di là del naturale invecchiamento che nemmeno le moderne tecniche della chirurgia estetica riescono ad oscurare o a rallentare.

Ci vuole ben altro per muovere la coscienza sociale, e questo accade tanto per gli uomini quanto per le donne. Se ancora adesso, a distanza di anni, si festeggia la festa della donna dell’8 marzo in segno di riconoscimento della pari dignità di genere, mentre in parallelo imperversa il femminicidio, prima latente, ed ora più evidente e costante. Anche una donna sarà la stessa di prima o un’altra donna per non morire?

L’8 marzo 2020, l’inizio del lockdown dovuto all'emergenza Covid-19. Che strana e terribile coincidenza! Il prossimo anno festeggeremo l’uno e commemoreremo l’altro evento come la vera liberazione da tutti i mali? La speranza è che si possa farlo senza che accada altro che ci faccia riempire il viso dell'antico rossore.

Nel giaciglio di pensieri confusi e scoordinati tra loro, sarò un altro uomo che guarda al futuro che è già passato. E ci sarà un’altra donna che si muoverà tra la folla anonima e mascherata.

Ma forse basterà solo uno sguardo, un sorriso per riconoscerci.

IL SUICIDIO



Questo post è senza commenti. Sono le parole, forti, crude e dolorose che parlano da sé. Iconografia dell’etimo che trascende l’esperienza vissuta durante l’arco di un’esistenza, breve o lunga che sia. Forse la canzone più terribile che abbia mai composto negli anni di turbolenza giovanile, un ciclo che, purtroppo, si ripete di generazione in generazione. Ma il finale apre le porte a nuovi orizzonti di vita e di speranza  …

Lui si guarda allo specchio e pensa già al suicidio 
con le mani sul viso e con lo sguardo indeciso 
Cammina adagio per la stanza 
della sua vita ne ha abbastanza 
Ha compiuto gli anni proprio ieri 
ma già sono stanchi i suoi pensieri 

Si spoglia completamente ed ha un vuoto nella mente 
Si tocca il sesso e si muove piano piano dolcemente 
Ha lasciato sulla tavola 
le sigarette e la pistola 
mentre l'orgasmo è alle porte 
lui stringe l'arma sempre più forte 
Che cos'è?... Che cos'è?... Che cos'è?... 

Che cos'è questa voglia di partire? 
Che cos'è questo vivere o morire? 
Che cos'è questo lucido scoprire? 
Che cos'è?... Che cos'è?... 

Che cos'è questa voglia di salvarsi? 
Che cos'è questa voglia di adularsi? 
Che cos'è questa voglia di ferirsi? 
Che cos'è?... Che cos'è?... 

Ora getta la cicca e guarda l'arma da fuoco 
ha un corpo bello da difendere ma gli pare poco 
Che cosa fare?
Perché non provare più a sperare? 
Che cosa dire?
Perché non provare un po’ a dormire? 

Lui ripensa al suo primo grande e tenero amore 
e quell'esperienza speciale ma poi fallimentare 
La sua anima allo specchio 
è chiusa dentro a un grande cerchio 
e quegli anni di bambino 
li ha lasciati dietro il suo cammino 
Che cos'è?... Che cos'è?... Che cos'è?... 

Che cos'è quest'evanescenza? 
Che cos'è questa inconcludenza? 
Che cos'è questa fragile influenza? 
Che cos'è?... Che cos'è?... 

Che cos'è questo profumo così ruffiano? 
Che cos'è questo lamento così lontano? 
Che cos'è questo tormento così arcano? 
Che cos'è?... Che cos'è?... 

Che cos'è questa voglia di salvarsi? 
Che cos'è questa voglia di adularsi? 
Che cos'è questa voglia di ferirsi? 
Che cos'è?... Che cos'è?... 


(Tratto daLe parole del mio tempo”)


NON SOLO PAROLE

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Un caro saluto a voi tutti

Vittoriano Borrelli

NON VOGLIO SCRIVERE PIÙ


Saranno famosi, recitava il titolo di una serie televisiva andata in onda a cavallo fra gli anni ottanta e novanta. In questa fiction si raccontava del talento, dei sacrifici richiesti ad un gruppo di frequentatori di una scuola di ballo intorno al quale s’intessevano storie di delusioni, fallimenti, desistenze o resistenze per raggiungere il successo. La morale di fondo è che nulla è scontato perché ogni cosa ha un suo prezzo.

Per chi desidera diventare uno scrittore (e non solo per diletto), la cosa si complica un pochino. Non basta lavorare sul talento, affinarlo e valorizzarlo. Se l’obiettivo è quello di attirare una platea significativa di lettori bisogna decuplicare gli sforzi che a confronto, l’aver compiuto un’opera, che pure costa tanta fatica, è una bazzecola.

Il problema del farsi conoscere, promuovere il libro che hai scritto con tanta dedizione e sacrificio, è un percorso ad ostacoli, una strada in salita dove pochissimi riescono a raggiungere il punto da dove comincia la discesa. Questo succede tanto per gli autori indipendenti, quanto per quelli che si affidano a case editrici che non offrono grandi mezzi per attuare una strategia di vendita  efficace e vincente.

Succede che dopo aver convinto amici e parenti ad acquistare, spesso per compassione, il tuo piccolo grande capolavoro, si apre davanti a te un mondo pieno di insidie e complicazioni, percorsi fatti ad ostacoli che ti viene quasi spontaneo chiederti: “Ma chi me lo ha fatto fare?”

A parte i soloni del marketing a risultato “garantito” che sul web abbondano come funghi e che ti propongono le solite strategie astratte che di concreto non hanno nulla (se non quello di adescare ingenui sognatori per convincerli ad acquistare il loro libro promozionale), il percorso che si ha davanti è peggio della montagna di Maometto.

Prendete ad esempio i gruppi social dediti alla cultura, alla passione per i libri di vario genere ai quali, i manuali dei “consulenti” di cui sopra, consigliano fortemente di iscriversi. Ce ne sono una miriade e dai titoli più o meno accattivanti: “Lasciami leggere”, “Amo i libri”, “Letteratura, che passione!” e via dicendo. Per molti di questi gruppi il regolamento per l’iscrizione è così forbito di regole ferree che è molto più facile entrare in una... massoneria. “No spam”, “No promozione dei propri libri”, “no riferimenti a link che conducono al sito web dell’autore”. In alcuni casi c’è persino da prestare una sorta di giuramento solenne di essere fedeli e ligi a queste regole, pena l’espulsione dal gruppo senz’appello.

Insomma, bisogna armarsi di santa pazienza ed effettuare una cernita di questi gruppi per individuare quelli che ti accolgono senza condizioni. Ma anche in questo caso, quando sembra finalmente fatta, c’è sempre qualche altra insidia o sospetto che il tuo bel post cada nel niente.  Spesso questi gruppi sono formati dalla quasi totalità di scrittori che si guardano bene dal prestare attenzione al post di un altro collega. Risultato? Tanti proclami che si accavallano come un rullo compressore che finiscono inesorabilmente nell'oblio più totale.

Se scrivere richiede impegno e fatica, promuoversi lo è mille volte di più. Bisognerebbe avere la fortuna di trovare editori disposti ad investire e ad affrontare il rischio d’impresa puntando sulla qualità del prodotto e non sulla quantità. Ma di questi tempi è come cercare un ago nel pagliaio.

Certo non bisogna mai arrendersi ma guardare al futuro sempre con fiducia. Capita qualche volta che lo scoramento, ancorché umano e comprensibile,  ti prende al punto da avere voglia di dire: 
“Non voglio scrivere più”.