Non aprire quella finestra!





Avevo deciso di accoglierla in casa prima ancora che me lo chiedesse. Così piccola e indifesa, era riuscita a conquistarmi come si fa quando si apre un diario segreto in cui i pensieri, ben saldi e impressi sulle pagine, prendono a sprigionarsi nell'aria liberandosi di ogni remora.

Da quel giorno la mia vita ebbe finalmente uno scopo. Mi presi cura di lei come mai nessuno aveva fatto con me. Bella e delicata, la sentivo vicino anche quando dovevo allontanarmi da casa per andare al lavoro, sbrigare le solite faccende quotidiane, affrontare le ire del mio odioso capoufficio, percorrere chilometri e chilometri di asfalto mettendo a dura prova la mia pazienza per l’ennesimo semaforo rosso o per l’imbecille di turno che mi tagliava la strada.

Ma tutto questo era niente perché sapevo che c’era qualcuno che mi aspettava e che avrebbe raccolto i miei sfoghi con umana comprensione e affetto filiale. Lei mi sorrideva e mi accarezzava tutte le volte che aprivo la porta di casa e mi accasciavo esausto sul divano.

Mi allentavo la cravatta e iniziavo a parlare come un fiume in piena; lei mi ascoltava in silenzio e mi alitava con il suo respiro fino ad inondarmi di calore e di pura energia.

Finiva sempre allo stesso modo: mi faceva l’amore con quella dolcezza che soltanto lei sapeva trovare e infondermi su tutto il mio corpo come la più consumata delle amanti. Poi mi sfiorava le palpebre ed io mi addormentavo sereno senza sentire più alcun dolore.

Ero felice come non lo ero mai stato prima di incontrarla.

La mattina mi svegliavo di buon grado e qualche volta mi permettevo persino di sorridere. Sotto la doccia mi capitava di intonare la mia canzone preferita e lei faceva altrettanto dalla cucina improvvisando un concerto a due voci che aleggiava nell’aria come un giorno di festa.

Poi avvenne quello che avrei dovuto temere e che invece avevo trascurato per la mia ubriacante allegria.

Premetto che sono sempre stato attento ad aprire e chiudere le finestre per il tempo strettamente necessario al ricambio d’aria della casa. Soprattutto mi premunivo di farlo ad una certa ora lontano da occhi indiscreti e al riparo da cattive sorprese.

Quella sera avevo avuto la brillante idea di cucinare una bistecca ai ferri. Io, vegetariano da qualche mese, ero stato sopraffatto dai sapori della carne, una debolezza che mi è costata cara.

Lei mi girava intorno lasciandomi fare in quelle semplici operazioni culinarie senza proferire parola. Un silenzio che avrebbe dovuto insospettirmi se solo fossi stato più attento e prudente.

D’improvviso la bistecca ha preso fuoco e una nuvola di fumo si è propagata davanti a me annebbiandomi la vista. Ho aperto d’istinto la finestra e in un secondo si è consumato il dramma: l’ho vista passare sotto i miei occhi come un aereo che sfreccia nel cielo perdendosi nell'oscurità della notte.

La mia dolce capinera era volata via e non sarebbe più ritornata.


NON APRIRE QUELLA FINESTRA!

Racconto breve
di
Vittoriano Borrelli
BlogRetro

Non ti conosco più amore

 


Capita di svegliarsi e non riconoscere più la persona che ci sta accanto. Con Emilia, mia moglie, è stato proprio così. Una mattina l’ho vista entrare in camera da letto con la colazione sul vassoio e un sorriso cordiale che l’ho scambiata per la donna di servizio.

“Grazie, l’appoggi pure lì”, ho esordito indicando con gli occhi il comodino alla mia destra.
“Che hai Luciano? Mi dai del lei adesso?”
“Sa bene che con le cameriere preferisco mantenere le distanze.”
“Ed io sarei una cameriera? Ma sei impazzito?”
“Perché? Chi sarebbe lei?”
“Come chi sarei? Sono Emilia, tua moglie.”

Così facendo ha appoggiato il vassoio sul comodino, ha preso un cuscino e me l’ha tirato in faccia. Non ho avuto alcuna reazione e ho mantenuto lo stesso sguardo serio e glaciale con cui l’avevo vista piombare nella stanza. A quel punto Emilia ha cominciato a preoccuparsi.

“Luciano, stai bene? Se questo è uno scherzo ti avverto che è di cattivo gusto.”
“Sto bene e non sto scherzando. Non conosco nessuna Emilia e lei, Rosina, non dovrebbe prendersi certe confidenze.”

 Si è avvicinata a me e mi ha messo una mano sulla fronte per controllare se avessi la febbre o se stessi delirando. Anche questa volta sono stato freddo e impassibile. L’ho vista fare un passo indietro con la bocca semiaperta come a voler lanciare un urlo che non è partito.

“Ma allora davvero non ti ricordi di me?”
“Cosa dovrei ricordare?”
“Te l’ho già detto. Sono tua moglie, siamo sposati da tre anni e ci amiamo molto.”
“Io invece conosco solo una Rosina che fa la cameriera, che poi sarebbe lei.”
“Ancora con questa storia della cameriera! Non ne abbiamo mai avuta. E poi non ce lo possiamo nemmeno permettere.”

Emilia si è seduta accanto a me e ha preso ad accarezzarmi, prima il viso tastando la barba ruvida e incolta e poi più giù lambendo la camicia del pigiama fino all'apertura dei pantaloni. Sono rimasto immobile e silente mentre osservavo l’ispezione che la mia compagna stava eseguendo con fare chirurgico, quasi a voler stimolare uno strano esemplare che non dava più segni di vita. L’ho vista piangere e mi è sembrato di sentire le sue lacrime inondarmi il corpo inerme come fa una sorgente su specchi d’acqua lacustri che non si spostano dalle proprie sponde.

Amnesia anterograda, questa la diagnosi che lo strizzacervelli incaricato da mia moglie ha sentenziato qualche giorno dopo nel suo studio. Una sorta di black-out per cui da un certo punto in avanti avrei smesso di ricordare, di immagazzinare luoghi e conoscenze un tempo a me familiari. Per me si è trattato della morte più atroce pur rimanendo in vita con le mie funzioni organiche le quali, tuttavia, hanno cessato di interagire con tutto ciò che nello scorrere di attimi e di secondi costituisce fatto, emozione, ricordo.

Così la donna che ha dichiarato essere mia moglie è divenuta ai miei occhi una perfetta sconosciuta, la mia casa un luogo spoglio e disabitato, il mondo intorno a me fotogrammi anonimi e senza alcuna relazione con la mia persona, come se tutto avvenisse separatamente da me.

“Così è la morte”, ho pensato tra me ben sapendo che nel giro di qualche secondo avrei dimenticato anche questo e mi sarei allontanato dallo spazio come succede con le cose che non servono più e si disperdono nell’aria, in qualche punto dell’atmosfera per divenire invisibili all’occhio umano.

“Così è la morte”, penso adesso mentre sono nella vasca da bagno con Emilia che mi aiuta a lavarmi passando la saponetta sulla mia pelle con fare delicato e materno. Sento di tanto in tanto il rumore dell’acqua dovuto allo strizzare della spugna ed è come il ritmo scandito di un orologio che segna lo scorrere del tempo. Guardo mia moglie mentre già so che sto per dimenticarla e d’istinto stringo la sua mano per aggrapparmi all’ultimo sussulto di vita.

NON TI CONOSCO PIU’ AMORE 

Racconto breve

di

Vittoriano Borrelli

(I personaggi e i fatti narrati sono puramente immaginari)

 

BlogRetro

 

 

Niente sesso, siamo obesi!

 




Ho cominciato ad ingrassare da un giorno all’altro come un recipiente che si riempie in un colpo solo fino all’orlo. Quando me ne sono accorto è stato troppo tardi. Una mattina, uscendo dalla doccia, mi sono guardato allo specchio e ho notato tutte quelle cose che, fino ad un attimo prima, non avevo voluto vedere: la pancia cresciuta a dismisura, gli occhi infossati e ridotti a due minuscole fessure, il doppio mento, le spalle molli come una ricotta e i capezzoli che sembravano due mammelle cascanti.

Non c’era niente di me o di quello che ero stato un tempo, un uomo sui cinquant’anni ancora piacente, dal fisico atletico e muscoloso da fare invidia anche ai più irriducibili palestrati. Fatto sta che questo fisico così scultoreo, simile ad un Dio, ha cominciato a trasformarsi in una massa epidermica senza forma e sostanza, un’oloturia senza capo né coda che si spingeva negli abissi del mare, ora a destra, ora a sinistra, per ritornare sempre allo stesso punto.

Il motivo di questa metamorfosi l’avevo deliberatamente rimosso dalla mente, un episodio, un’immagine che aveva segnato dentro di me lo spartiacque tra la vita dissoluta, piena di donne e di sesso sfrenato e l’altra, di segno opposto, di morigeratezza, chiusura totale ai piaceri materiali, di castità assoluta e suprema.

Una conversione che all’esterno si era manifestata con la trasformazione del mio corpo da modello esemplare a qualcosa di antiestetico e patologico che nemmeno i dietologi più affermati avrebbero saputo risolvere. In realtà ero io che avevo voluto ingrassare rimpinzandomi a tutte le ore del giorno di ogni cosa che fosse commestibile, allo stesso di quando, un tempo, mi ero catapultato in una vita senza freni, di facili conquiste, fino a divenire un erotomane per eccellenza.

Ma nulla accade per caso e anche questo cambiamento radicale aveva una causa, o meglio, un nome: Germana, la donna per la quale avevo perso letteralmente la testa.

L’avevo conosciuta agli albori dei miei quarantanove anni e fu subito sesso a prima vista. Facevamo l’amore dappertutto: in ascensore, nei camerini dei grandi magazzini, in macchina, nei motel e in qualsiasi altro luogo che ci sembrava propizio per dare sfogo alla nostra comune inclinazione per l’erotomania.

Germana era instancabile e proprio questa parolina che all’inizio della nostra relazione doveva essere il motore per mettere alla prova le mie capacità amatorie, divenne in seguito una specie di fardello che mi portavo addosso con fatica a causa delle richieste sempre più esigenti della mia amante.

Si sa che le donne in questo campo sono più resistenti degli uomini. Sono dotate di una componente genetica che le spinge a reiterare il piacere in un intervallo di tempo molto più ravvicinato. Diciamo che ad un certo punto della storia ho fatto fatica a pareggiare le performance di Germana che invece sembrava non stancarsi mai ed era sempre pronta a ricominciare laddove io desideravo, almeno per un po’, deporre… le armi.

“Forse sto invecchiando. Forse Germana non mi ama più”, mi dicevo pensando a quella volta in cui ho avuto una defaillance durante un rapporto con la Germana che mi ha lanciato un sorrisetto ironico. Ho associato la sua espressione a quella di un corridore che arriva prima al traguardo e si prende beffa del suo avversario.

Il nostro stava diventando un gioco al massacro e temevo di perdere colpi in un momento in cui il mio trasporto per Germana era diventato particolarmente fluente. Insomma, sono stato preso dall’ansia di non essere più all’altezza e questa incertezza ha segnato la fine del nostro rapporto. Germana ha cominciato a diradare gli appuntamenti mostrandosi sfuggente e misteriosa.

Una sera, stanco dell’ennesima scusa di non poterci incontrare, l’ho seguita fin sotto casa. Era con un uomo ma nel buio non sono stato in grado di capire chi fosse. Ho atteso qualche minuto e sono entrato con la copia delle chiavi di cui disponevo.

All’interno non c’era nessuno e per un attimo ho pensato di essermi sbagliato, che la scena di poco prima fosse solo frutto della mia immaginazione. Poi ho visto una luce filtrare dal piano superiore. Sono salito senza fare rumore fermandomi davanti alla porta socchiusa della camera da letto. L’ho spinta lentamente e ho guardato il letto.

Germana era di spalle, completamente nuda, che contemplava l’uomo che le stava davanti. Poi si è abbassata ed è stato in quel momento che ho visto mio figlio.


NIENTE SESSO, SIAMO OBESI!

Racconto breve
di
Vittoriano Borrelli

(Ogni riferimento alla realtà è puramente casuale)
BlogRetro

Io parlo da solo

 


Io parlo da solo. Tutto è cominciato quando un bel giorno mia moglie mi ha lasciato sbattendo la porta. Ero seduto sul divano del soggiorno di casa con Lidia ritta in piedi, lo sguardo severo e austero, le braccia conserte e la bocca spalancata dalla quale si sprigionavano cumuli di parole e di epiteti.

 “Ti ho tradito. Ti ho messo le corna. E sai con chi? Con Piero, il tuo migliore amico, quello di cui vai fiero e che un giorno hai voluto per forza presentarmelo. Me lo hai servito su un piatto d’argento: bello, solare e muscoloso. Il contrario di te: tozzo, burbero e con la testa sempre tra le nuvole. Ti ho tradito, capisci? Non dici nulla? Non spiccichi parola? Ma che uomo sei? Maledetti i tuoi silenzi!”

Le parole di Lidia mi cascavano sulla testa facendomi sprofondare sempre di più nell'ampia imbottitura del sofà nuovo di zecca. Sono stato in silenzio tutto il tempo aspettando che quella tempesta finisse e che finalmente ripiombasse la quiete. Ero stranamente calmo e riflessivo. Ricordai ad un tratto la scenetta comica di Totò, quella di Pasquale che riceve pugni e insulti da un Tizio incontrato per strada: 

“Pasquale, era un pezzo che ti cercavo. Figlio di un cane, finalmente ti ho trovato!” 

E a seguire schiaffi e pugni in testa. Il povero malcapitato pensava tra sé:

Chissà ‘sto stupido dove vuole arrivare!” 

"Ma perché non hai reagito?", fa l’amico. 

"E che me frega a me, mica son Pasquale io!”

Ho reagito come il Pasquale della barzelletta e cioè nella totale indifferenza. Non ero io che dovevo vergognarmi ma Lidia e Piero che mi avevano tradito, l’una nell'amore e l’altro nell'amicizia. Da allora ho cominciato a parlare da solo, facilitato anche dal fatto che intorno a me non c’era più nessuno. Un soliloquio che è iniziato prima tra le mura domestiche con commenti del tipo ‘Oggi è stata una giornata faticosa!’ ‘Meglio una pizza o due uova al tegamino? ‘Una bella doccia calda è quella che ci vuole!’. Poi le parole sono “uscite” per strada, tra la gente, nei negozi e negli uffici. Erano quasi sempre delle imprecazioni rivolte ai miei odiati traditori:

Mia moglie non mi merita!

Piero non mi merita!

Nessuno mi merita!

 Un ritornello che ripetevo in ogni occasione: dal salumiere, ai giardini pubblici, finanche alle poste mentre stavo in coda ad aspettare il mio turno. Una volta, proprio all'ufficio postale, sentii qualcuno da dietro che mi apostrofava: “Nemmeno tu ci meriti se continui con questa lagna!”

Piero ed io lavoravamo nello stesso ente pubblico. Io mi occupavo della progettazione e lui degli appalti. Un giorno mi confidò tutto fiero e contento che una certa impresa in cui lavorava suo fratello si era aggiudicata un lavoro da quasi due milioni di euro. C’era qualcosa che non andava ma per la grande amicizia che nutrivo per Piero decisi di mettere da parte qualsiasi sospetto.

Ora quella vicenda mi era ritornata prepotentemente alla memoria al punto da riassumerla con queste parole: “Piero corrotto, in galera ti ci porto!”. Le ripetevo a voce alta in qualunque luogo mi trovassi, e un giorno persino davanti alla stazione dei carabinieri.

Oggi Piero è rinchiuso nel carcere di Rebibbia con l’accusa di corruzione. Lidia l’ha lasciato e si è messa con un altro.

Io continuo a parlare da solo.

 

IO PARLO DA SOLO

di 

Vittoriano Borrelli

BlogRetro

Tratto da:  Letture ai tempi del coronavirus

 

 

Il mio techetecheté 2022

 

Anche quest'estate ritorna il techetecheté de "Le parole del mio tempo", una sorta di rilettura dei mie post del passato più visualizzati e apprezzati dai lettori. 

Così ho pensato di rispolverare, dalla prossima settimana e fino ad agosto, alcuni post che hanno caratterizzato la mia lunga esperienza di blogger, che proprio quest'anno ha raggiunto il traguardo dei dieci anni. 


Spero che questa review possa essere gradita perché, come dico spesso, noi siamo quello che siamo stati e il passato merita sempre di essere preservato e ricordato. Soprattutto se questo passato è forbito di cose belle che ci hanno fatto commuovere di gioia o semplicemente sorridere, come quando si sfoglia l'album delle nostre fotografie più belle.

Per intanto vi auguro una buona estate, ovunque voi siate, dediti a leggere e a scrivere le parole del vostro tempo.

Vittoriano Borrelli

Come una volta




Quell’odio incontrastato
quel nostro rapporto deteriorato
ma un tempo noi siamo stati innamorati

E adesso che ci prende?
Forse non è accaduto niente
Torto o ragione che vuoi che sia?
Non c’è poesia

E la mia mano ruba il tuo sorriso
ma tu piangendo cerchi in me un amico

Le eccitazioni bloccate
dalle mestruazioni inventate
Quella montagna d’incomprensione
si è spaccata

Lo vuoi un buon caffè?
Te lo preparo in un attimo
Ma che cortesia
Forse hai trovato la giusta vita

Come una volta vestiti e usciamo
Davanti al nero non ci fermiamo
Senza capire non mi lasciare
Senza capire non farmi male

Siamo noi stessi e questo ci basta
La solitudine prima o poi passa
Come una volta fatti più bella
Come una volta restiamo a galla

E via quella lacrima
Coraggio dai voltiamo pagina
La vita non ci ha traditi
non ci ha smarriti

L’amore no non l’ho fatto più
da quando non mi hai voluto più
non mi hai cercato più

Come una volta vestiti e usciamo
Davanti al nero non ci fermiamo
Senza capire non mi lasciare
Senza capire non farmi male

Siamo noi stessi e questo ci basta
La solitudine prima o poi passa
Come una volta fatti più bella
Come una volta restiamo a galla

Senza capire non mi lasciare
Senza capire non farmi male

(Tratto da “Le parole del mio tempo”)

(Puoi ascoltare il brano anche cliccando qui: "Le mie canzoni sono differenti")