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TU NON DEVI MORIRE




Ho provato tante volte a togliermi la vita ma non ci sono mai riuscito. Sembra che il destino si sia accanito contro di me e non voglia proprio vedermi all’altro mondo.

A dire il vero tutti i miei tentativi di suicidio sono così miserevolmente falliti che mi è sorto il dubbio di avere davvero desiderato di morire. Come se all’ultimo istante, all’ultimo tratto del mio gesto estremo una vocina dentro di me m’implorasse di non farlo facendomi provare tanta compassione.

Già, la compassione! Forse la compassione è l’antitesi della morte desiderata, un respiro, debole o forte che sia, che ti tiene ancora legato alla vita, alla speranza che tutto possa ancora cambiare e che i sentimenti, quelli buoni e genuini, possano finalmente germogliare in un campo arido di colori e di vegetazione.

Ma sarà vero che io abbia voluto farla finita? A giudicare da certi tentativi goffi e un po’ maldestri, pare proprio di no. Come quella volta in cui avevo deciso di impiccarmi con una corda ben spessa, di quelle che si usano per ormeggiare le barche. L’avevo agganciata al soffitto del solaio, annodata di quel tanto affinché potessi infilarci la testa e portarmela al collo.

Sono così salito sulla sedia e mentre stavo per piegare le gambe ho guardato un vecchio specchio rotto che era appoggiato alla parete di fronte a me. Vi ho visto la mia immagine dimessa e per un’istante mi sono commosso. Ho chiuso gli occhi, ho piegato le gambe ma a quel punto sono caduto a terra come una pera con la corda che mi si è rovesciata addosso.

Sarà stato che il gancio che teneva la corda non fosse ben saldo al muro del soffitto o sarà stata la mia incertezza nel piegare completamente le gambe a causa di quella compassione che avevo provato guardandomi allo specchio, fatto sta che quella volta avevo decisamente toppato.

Nei giorni a seguire ci ho rimuginato sopra per un bel po’ e ho deciso di riprovarci ricorrendo alla boccetta delle pillole che mia madre prendeva per combattere l’insonnia.

Era un pomeriggio di luglio, afoso e senza un filo di vento. Sono andato in bagno, ho preso la boccetta e in un colpo solo ho mandato giù con due bicchieri d’acqua tutte le pillole che erano rimaste. Mi sono disteso sul letto della mia camera e ho atteso che le compresse facessero effetto. La porta era socchiusa e già questo doveva bastare per destare più di un sospetto sulle mie reali intenzioni.

Ho cominciato a lamentarmi e quando ho sentito dei passi dal corridoio ho aumentato i gemiti come un gattino che chiede aiuto sotto una pioggia battente. Non so se è stata la mia voglia di farmi notare o di nuovo quella compassione che ho provato per me stesso, ma la cosa ha funzionato. Qualcuno ha spalancato la porta, mi ha preso come un sacco di patate e mi ha portato all’ospedale dove mi hanno praticato una lavanda gastrica per espellere tutto quanto avevo ingurgitato.

Ancora vivo e vegeto, sono andato al mare sedendomi sulla battigia con le gambe inondate dalle acque calde e schiumose di quel pomeriggio di fine estate. Ho guardato fisso l’orizzonte e mi sono chiesto se oltre quella linea dorata dalle prime luci del tramonto avrei potuto trovare finalmente la mia pace.

Mi sono alzato e ho preso a trascinarmi tra quelle onde che via via si facevano sempre più grandi e imponenti. L’acqua mi è arrivata fino alla bocca e ho pensato che sarebbero bastati ancora pochi passi per lasciarmi travolgere dalle acque.

Ad un tratto ho sentito una voce che gridava aiuto. Ho pensato che fosse ancora un richiamo della mia coscienza, misto di pentimento e di atavica compassione. Invece era una voce ben distinta che proveniva dall’esterno.

Mi sono girato e ho visto un bambino che si dimenava tra le onde in evidente stato di difficoltà. Non ci ho pensato un secondo. Mi sono diretto verso di lui nuotando a più non posso. L’ho raggiunto e l’ho preso tra le braccia portandolo alla riva. Il bambino mi ha stretto forte ma appena giunti sulla spiaggia è scivolato via come un’anguilla correndo verso gli ombrelloni.

Ho sentito un vento fresco sulla mia faccia e ho sorriso dentro di me contento di non essere morto.


TU NON DEVI MORIRE

Racconto breve
di
Vittoriano Borrelli

(Ogni riferimento alla realtà è puramente casuale)

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