DORIAN GRAY: IL RITRATTO DEL NOSTRO TEMPO


                                                     


Quest’opera di Oscar Wilde, pubblicata nel 1890, è di una straordinaria bellezza narrativa ed è molto più attuale di quanto non lo fosse ai tempi in cui venne divulgata.

Gli aforismi del grande scrittore inglese, riportati nelle premesse dell’opera, sono vere e proprie perle di saggezza, espressioni di verità profonde che lo scorrere del tempo non ha minimamente scalfito.

Tra le tante citazioni meritano una particolare sottolineatura le seguenti:

Coloro che scorgono bei significati nelle cose belle sono le persone colte. Per loro c'è speranza. Essi sono gli eletti: per loro le cose belle significano solo bellezza.”

“La vita morale dell'uomo è parte della materia dell'artista, ma la moralità dell'arte consiste nell'uso perfetto di un mezzo imperfetto.”

Il romanzo è incentrato sulla contrapposizione latente tra ciò che può essere agli occhi dell’artista bello e incontaminato, e ciò che ne costituisce il suo risvolto, ovvero la contraffazione e la corruzione ad opera della coscienza ottusa ed edonistica dell’uomo.

Dorian Gray è un giovane bellissimo che nel fiore della sua innocenza si fa ritrarre dal pittore Basil Hallward in un dipinto che esalterà ancora di più il suo fascino. Cede alla tentazione di Lord Henry Wotton che lo condurrà alla perdizione e alla corruzione. Stringe una sorta di patto con il diavolo: l’eterna giovinezza in cambio dell’invecchiamento del suo ritratto, che imbruttirà registrando tutte le sue nefandezze  e cattive azioni. Preso dal rimorso, colpirà il ritratto con un coltello nell’intento di distruggerlo. In realtà sarà lui a morire, mentre il dipinto sopravviverà riacquisendo tutta la sua bellezza e perfezione.

Da sottolineare gli innumerevoli dialoghi di cui si compone l’opera. E’ una tecnica che Wilde utilizza a più riprese rendendo i suoi personaggi reali e veritieri, testimonianze evocative di una Inghilterra corrotta e decadente.

E’ un romanzo sicuramente da leggere e da conservare nella propria libreria. Una lettura che esalta l’analisi introspettiva e che ha in sé un dono preziosissimo: quello di far riflettere.

ANTONACCI: UN TORMENTONE CHE FA BENE AL CUORE


Non vivo più senza te, anche se  …anche se …”. Questo tormentone di Biagio Antonacci ha fatto razzia di ascolti in tutte le spiagge e le balere italiane guadagnandosi, con merito, la palma della canzone dell’estate 2012 più gettonata.

L’artista milanese, da anni sulla cresta dell’onda, ha debuttato a Sanremo nel 1988, tra le Nuove Proposte, con la canzone Voglio vivere in un attimo, senza accedere alla finale. Ci riprova più tardi nel 1993 con la canzone “Non so più a chi credere”, brano che pur classificatosi all’ottavo posto segnò per Biagio, come per tanti suoi illustri predecessori, il viatico per una carriera piena di successi e di soddisfazioni.

La canzone hit di questa estate è tratta dall’album “Sapessi dire no”, uscito in tarda primavera raggiungendo, alla velocità della luce, la vetta delle classifiche dei dischi più venduti.

Un pezzo ben costruito che racconta la classica "cotta" estiva con una signora avvenente e matura. Il tutto coronato da atmosfere sonore che evocano paesi esotici e incontaminati.
Buona l’esibizione vocale con i tipici “falsetti” utilizzati ad hoc per raggiungere le note più acute.

Al di là degli intenti chiaramente commerciali e di immediata presa sul pubblico, “Non vivo più senza te” ha il merito di  trasmettere spensieratezza e allegria, il che non è poco visti i tempi di austerity e di sacrifici imposti.

In previsione di un autunno “caldo”, al pari di questa estate rovente dei “Caronte” e dei “Lucifero”, distrarsi per qualche minuto sulle note di questa canzone orecchiabile non può che far bene al cuore.

Per i fans di Antonacci ecco  le prossime date del suo Tour 2012:

5 ottobre al Palatrento (TN);
il 9 e il 10 ottobre al Forum di Milano;
il 13 ottobre al Palalottomatica di Roma;
il 16 ottobre al Palasele di Eboli;
il 18 ottobre al Palasport Giovanni Paolo II di Pescara;
il 20 ottobre al Palaflorio di Bari;
il 2 novembre al Palasport di Verona;
il 10 novembre al Nelson Mandela Forum di Firenze;
il 27 novembre al Palaolimpico di Torino.


GIARDINO D'INFANZIA


Nel giardino d'infanzia nascondevo il peccato  
le bugie con mia madre 
e con mio padre invecchiato
Dopo un po’ mi stendevo sopra il suolo bagnato
e guardavo il mio cielo farsi sempre lontano

Qualche volta per sbaglio arrossivo nel buio
addormentandomi su un letto freddo e di nessuno

Nel giardino d'infanzia c'era la fata turchina
con il corpo sottile e con la faccia ruffiana
Mi diceva perché sognavo altri orizzonti
se la vita era quella alle spalle dei monti

Sotto alberi di ulivi i miei occhi erano vivi
ascoltavo il mio tempo e le voci del vento

Nel giardino d'infanzia la mia faccia era pulita
e facevo all'amore per cambiare un po’ vita
Io stringevo tra le mani due rami vecchi e spinosi
e baciavo il mio tronco con pensieri scabrosi

Vita mia dove sei? Perché fuggi da me?
Ho bisogno di te
sempre e solo di te

Quante volte ho rubato l'anima alla poesia
quante volte ho cercato di andarmene via
Dietro il niente restavo
e in silenzio morivo

Nel giardino d'infanzia nei discorsi del nonno
c'era la verità di leggende e di imbrogli
Io fumavo il mio vento mentre mi disprezzavo
perché avevo accettato il mio destino segnato

Vita mia dove sei? Perché fuggi da me?
Ho bisogno di te
sempre e solo di te

La mia vita moriva prima di incominciare
le mie idee erano ombre e volavano sole
Dietro il niente restavo 
e in silenzio morivo

Nel giardino d'infanzia quante cose ho lasciato!
La mia terra il mio sangue
il mio giorno rinunciato
Dietro il niente restavo
e in silenzio morivo ...

(Tratto da "LE PAROLE DEL MIO TEMPO" Meligrana Giuseppe Editore)

SCHWAZER: FUGA DALLA VITTORIA



La conferenza stampa del marciatore altoatesino Alex Schwazer, medaglia d’oro alle olimpiadi di Pechino nella 50 chilometri, è stata toccante e intensa ma non ha convinto i più destando più di un ragionevole dubbio.


La confessione con la quale l’atleta altoatesino ha spiegato i motivi dell’ infausta condotta all’indomani della sua partecipazione ai giochi olimpici di Londra 2012, ha sicuramente messo in luce le debolezze di un uomo letteralmente sovrastato dall’imperativo di vincere ad ogni costo, sicché l’uso delle sostanze dopanti è stato per lui una vera e propria liberazione da un sistema che evidentemente non era più in grado di gestire e di controllare.

Non convincono, tuttavia, le modalità con le quali l’atleta si è procurato l’EPO: un “fai da te” che suona strano per la facilità di esecuzione, attuata al bando di controlli (preventivi) che a questi livelli dovrebbero essere rigorosi e protocollari.

Forse la verità è racchiusa in un passaggio della conferenza nella quale il marciatore altoatesino spiega la sua concezione dello sport che è vincere senza sacrifici, a differenza della passione e dell’impegno quotidianamente profusi dalla sua compagna pattinatrice.

Così il gesto di Schwazer è sembrato quasi una "fuga dalla vittoria", un grido forte e solenne per dire:”Non ce la faccio più. Salvatemi dal baratro in cui sono caduto.”

Ma la compassione umana non deve far passare in secondo piano i valori dello Sport che devono essere preservati e difesi da qualsiasi mistificazione.

Che le luci della ribalta si spengano su Schwazer con la stessa facilità con cui l’atleta ha deciso di uscirne: vincere facile, come recita un noto slogan pubblicitario, non appartiene a chi vuole essere un vero sportivo.

FEDERICA PELLEGRINI: LO STILE NON E’ ACQUA.


Il quinto posto alla finale dei 200 stile libero conseguito da Federica Pellegrini ai giochi olimpici di Londra 2012, che bissa il modesto risultato della gara dei 400 s.l. , suona un po’ come una fine annunciata.

“Non ne avevo più”, ha dichiarato la “Fede” nazionale subito dopo l’ultimo responso, ammettendo i limiti di una condizione fisica non ottimale a dispetto di qualsiasi propositivo volitivo.  Come dire, non basta la forza della mente se questa non è accompagnata da una adeguata preparazione atletica e muscolare.

Le dichiarazioni della Pellegrini mi sono piaciute per stile e compostezza, cosa che non si può dire altrettanto del suo compagno e collega Filippo Magnini il quale, dopo l’ennesimo flop “olimpico”, ha lanciato accuse a tutto lo staff, e in primis ai preparatori atletici.

Uno sfogo che tradisce l’umiltà dell’autocritica, essenziale ed opportuna in tutti i settori di attività nei quali lo Sport dovrebbe primeggiare come insegnamento dei valori della correttezza, lealtà e riconoscimento della bravura dell’avversario.

Meno male che ci ha pensato la “sua” partner a ricordare a tutti che nella vita non sempre si vince e che i “veri campioni” si vedono soprattutto nelle sconfitte, dalle quali trarre la forza per andare avanti ed affrontare il prossimo appuntamento con nuova vigoria e abnegazione, facendo tesoro degli errori commessi.

In fondo sono queste le vittorie della vita che contano ( e che piacciono) di più.