LA COSCIENZA DI BATTIATO


C’era una volta la “coscienza di Zeno”, opera straordinaria di Italo Svevo in cui il protagonista vive il proprio malessere e senso di inadeguatezza nei confronti di una società che, nel prosieguo del racconto, scoprirà essere la vera responsabile dei “disordini” della sua coscienza.

Con “Apriti Sesamo”, l’ultimo album di Franco Battiato balzato in pochissimo tempo ai primi posti delle classifiche dei più venduti, scopriamo lo stesso malessere raccontato dal grande musicista siciliano con una raffinatezza poetica che lo ha ben contraddistinto nella sua lunga e brillante carriera professionale.

E’ forse l’album più bello dell’artista catanese per l’armonia delle musiche e le appropriate atmosfere sonore combinate con i testi che sembrano ritmi danzanti, osmosi di sensazioni  mirate a risvegliare le più sorde coscienze.

Rinfrancato dalla recente nomina ad assessore al Turismo e Spettacolo della Regione Sicilia, conferitagli dal neo presidente Rosario Crocetta, Battiato sembra rivivere con questo ultimo lavoro una seconda giovinezza, riproponendo quella floridezza di idee e di rinnovato impegno sociale già messi a costrutto fin dai tempi de “L’era del cinghiale bianco”.

L’album si compone di 10 inediti, tutti di ottima fattura: dal coinvolgente Un irresistibile richiamo, brano di apertura che evoca una sorta di nostalgia verso il nulla prenatale (“le tue ossa non sentono dolore, i minerali  di cui siamo composti … ritornano all'acqua.”) Quand'ero giovane brano quasi leopardiano in cui il rimpianto è vissuto come reazione ad un mondo che involve nell'evolversi (Viva la gioventù che fortunatamente passa senza troppi problemi …”)

E ancora da Passacaglia, primo singolo dell’album, che esorta il risveglio delle coscienze (Vorrei tornare indietro per rivedere il passato, per comprendere meglio quello che abbiamo perduto. Viviamo in un mondo orribile”) alla mistica Testamento (di cui è riportato qui sotto il video) (“Cristo nei vangeli parla di reincarnazioneFatti non foste per vivere come bruti ma per seguire virtude e conoscenza…”)

L’album si conclude con il brano che ne dà il titolo, “Apriti Sesamo”, dalla fiaba “Alì Babà e i quaranta ladroni” che Battiato racconta magistralmente per bocca della principessa Sherazade .
Sintomatica la parte finale in cui la fiaba termina al chiarore del giorno, quasi a voler sottolineare la magia dell’incanto che svanisce per le contaminazioni della realtà:  “A quel punto, sorto il giorno, Sherazade si interruppe e la fiaba finì.”
                                           
                                           BATTIATO: TESTAMENTO (Apriti Sesamo)


Ecco alcune date dei concerti programmati nel TOUR APRITI SESAMO LIVE 2013”:

21 Gennaio – TORINO Teatro Regio
28 e 29 Gennaio – BOLOGNA Europa Auditorium
31 Gennaio e 1 Febbraio – MILANO Conservatorio “G. Verdi
9 Febbraio – GENOVA Teatro Carlo Felice
20 e 21 Febbraio – ROMA Auditorium della Conciliazione
25 Febbraio – NAPOLI Teatro Augusteo
6 Marzo – COMO Teatro Sociale




VINCENZO MARINO: RACCONTI NAPOLETANI


Questo libro, ben scritto dall'esordiente Vincenzo Marino, racconta in chiave moderna e originale quattro storie diverse tra loro, ma tutte accomunate da quella sottile ironia e capacità di adattamento che da sempre contraddistingue il popolo partenopeo.

Sullo sfondo di una Napoli attanagliata dai problemi della criminalità, singola od organizzata, e dal disagio giovanile imperanti in un tessuto sociale storicamente stratificato, l’autore riesce, con prosa scorrevole ed efficace, a raccontare le vicende di quattro personaggi ben descritti e “caratterizzati” con l’oculatezza e la saggezza del più incisivo degli osservatori.

LA TRAMA: Nel primo episodio, “La particella di Dio”, un tredicenne racconta da una dimensione ultraterrena la sua breve esperienza di vita con lo sguardo rivolto ad un mondo in continua trasformazione che gli fa comprendere, come un Dèjà vu, il senso logico ed ineluttabile del suo percorso.
Nel secondo episodio, “Un patito dei programmi televisivi” è la volta di un pensionato, attento conoscitore della televisione, che regalerà a suo nipote un’eredità preziosa per la sua carriera professionale.
Nel terzo, “Ragazzi difficili”, il mondo delle arti marziali è descritto non solo come sfogo giovanile e di evasione alla vita anonima di provincia, ma anche come polo attrattivo della criminalità organizzata in cui la perdizione e la sopraffazione sembrano sferrare un duro colpo alla voglia di emergere e di distinguersi dal “branco”.
Nell'ultimo episodio, “ Storia di un matematico”, la soluzione geniale di una tesi matematica è raccontata dal protagonista come la “chiave di volta” della sua  emblematica esistenza.

L’AUTORE: Vincenzo Marino, napoletano, è laureato in Economia e Commercio ed è musicista e compositore, oltre che divoratore di libri.
Racconti napoletani” è la sua prima "fatica".  Per le sue ottime doti di scrittore non posso che augurargli di proseguire su questa strada.

UNA CHICCA DEL LIBRO: “Ma chi moriva veramente, e nessuno di noi se ne accorgeva, era mia madre. Dolce fiore di smeraldo come il colore dei suoi occhi, appassiva giorno dopo giorno. Solo che noi non ce ne accorgevamo, io troppo impegnato a vivere la mia adolescenza, mio padre troppo umiliato dalla sua vergogna.”

GIUDIZIO: Per essere agli esordi Vincenzo Marino dimostra un'ottima preparazione culturale e capacità narrativa. Le storie sono ben raccontate e coinvolgono il lettore nella riflessione e nel confronto con esperienze di vita molto forti e reali. La tecnica espositiva ricorda, per alcuni tratti, quella delle fiabe dei Fratelli Grimm in cui l’intreccio e la morale che ne scaturisce rappresentano il giusto connubio per fare di Racconti napoletani un libro da leggere fino all'ultima pagina. 

DOVE SCOPRIRE "RACCONTI NAPOLETANI":


DENTRO


Dentro” è una canzone che ho scritto nel 1984 alla soglia dei miei 23 anni.


Il brano racconta il duro prezzo da pagare per essere se stessi a dispetto dell’indifferenza, della disattenzione e, soprattutto, della non condivisione degli altri del proprio progetto di vita.

E’ un testo che, a distanza di quasi un trentennio, è ancora molto attuale perché descrive un disagio che si riscontra anche nelle nuove generazioni. Con una differenza: le inquietudini dei giovani dei miei tempi si risolvevano nella speranza di vedersi realizzare un diverso modello di riferimento che era quello dell’evoluzione del proprio contesto familiare e sociale.

I giovani di oggi non hanno un sogno da sognare mentre la speranza è messa a dura prova proprio dall’assenza di punti di riferimento cui identificarsi.

Resta il dato comune della dicotomia Dentro/Fuori come un’equazione difficile da risolvere se non attraverso l’ascolto del “vento della vita” inteso come momento di riflessione per accorciare la distanza tra ciò che siamo e ciò che desideriamo essere.


DENTRO


Quanta vita perduta c'è dentro
dentro gli occhi di chi sta piangendo
per il fumo che lo sta uccidendo
pochi anni gli sembrano cento
Questo gelo che arriva da dentro chi lo scioglierà mai?

Tu mi guardi negli occhi ma non parli
vuoi trasmettermi i tuoi anni
Che importanza avrebbe se
fossi proprio uguale me?
Tanto “fuori” tu non sei proprio come ti vorrei

E si sa che la vita di …dentro
ruota intorno allo stesso argomento
Noi chi siamo che cosa vendiamo?
Di noi stessi che cosa sappiamo?
Dentro è il mondo che stiamo vivendo
chi lo fermerà mai?

L'equilibrio dei sensi sta cedendo
ci violentano dall'esterno
Lo sappiamo solo noi
che qui dentro siamo eroi
ci lanciamo a testa dura
verso un'altra fregatura

…che ci distruggerà
e mille volte ancora speranza ci darà
E dentro siamo noi
assurdi e sempre noi
la testa all'infinito
e il vento intorno a noi
vicino come amico…



E L JAMES: CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO



Il romanzo della scrittrice inglese, primo nelle classifiche mondiali, è stato sostenuto da una capillare campagna promozionale che lo ha visto “troneggiare” nelle migliori librerie e persino nei reparti “a debita vista” dei supermercati. C’è da chiedersi se il successo ottenuto (3 milioni di copie vendute nella prima settimana) sia frutto della qualità dell’opera o, piuttosto, di una precisa strategia di marketing tesa a privilegiare il massimo delle tirature a colpi di scandalo.

Vero è che alla diffusione del libro ha contribuito non poco il “passaparola” delle lettrici su Facebook, particolarmente attratte dalle vicende erotiche dei due protagonisti della storia.

Il romanzo è il primo di una trilogia contraddistinta, accanto al titolo “Cinquanta sfumature” dai colori grigio, nero e rosso e c’è da giurarsi che le altre “consorelle” raggiungano lo stesso responso commerciale (come peraltro sta già avvenendo) per la felicità degli editori e dei librai di tutto il mondo.

LA TRAMA: Anastasia è una giovane studentessa, prossima alla laurea, che s’innamora del bellissimo Christian, manager affermato e ultra miliardario. Tra i due inizia una tormentata relazione sentimentale suggellata da una proposta contrattuale (si direbbe “indecente”, parafrasando un famoso film) in cui entrambi, con regole precise e codificate, accettano di sottoporsi a giochi erotici “particolari” assumendo i ruoli, rispettivamente, di “Sottomessa” e di “Dominatore”. Anastasia, pur non firmando la proposta, asseconda l’insolito “patto” fino a quando l’intensità del suo amore verso il ragazzo glielo permetterà …

LO STILE: Come per la maggior parte dei romanzi della letteratura anglo-americana, anche l’opera della James non sfugge ad una impostazione parametrica fondata su una “miriade” di dialoghi, alcuni dei quali inutili e pedanti, quasi a voler allungare oltre misura i contenuti della storia o a creare, alla stregua degli spot pubblicitari, le opportune pause tra una scena erotica e l’altra. I personaggi, anche quelli secondari, appaiono scontati e privi di qualsiasi analisi introspettiva.

L’AUTRICE: E L James, londinese, è all’esordio con questo romanzo che ha triplicato con i seguiti “Cinquanta sfumature di Nero” e “Cinquanta sfumature di Rosso”. Nelle varie interviste ha dichiarato che il suo sogno è sempre stato quello di scrivere “storie di cui i lettori si sarebbero innamorati.” Se sia riuscita nell’intento è un bel punto di domanda.

UN PASSO DEL ROMANZO: “Perché non ti piace essere toccato?”, domando guardando i suoi dolci occhi grigi. “Perché dentro ho cinquanta sfumature di tenebra, Anastasia”.

GIUDIZIO: Il romanzo, pur primo nelle vendite, non convince. Tanto eros che somiglia piuttosto a pornografia di strada. Il passaparola delle lettrici su facebook è un segnale che fa riflettere sulla qualità delle relazioni intime. Forse bisognerebbe far leva sull’educazione sessuale, a cominciare dalle scuole, per fare in modo che una realtà di comportamenti feticisti e violenti, pur attuale e crescente, non prevalga sui buoni sentimenti. L’amore è, come la libertà, un dono prezioso: tutto è lecito fino a che non si comprima la dignità e il rispetto per le persone.

SE ANCHE LA VITA FOSSE UNA LIVELLA …



La ricorrenza del 2 novembre mi fa ritornare alla memoria la bellissima poesia di Antonio De Curtis, in arte “Totò”,  ‘A Livella.

Questa straordinaria opera del grande comico napoletano è di una saggezza filosofica che ha pochi eguali nel panorama letterario internazionale, ed è ancora oggi uno dei capolavori più apprezzati e amati. Ne è una testiomianza la traduzione del testo in molte lingue e dialetti.

La poesia, com’è noto, racconta il diverbio fra due defunti, un marchese e un netturbino, dovuto alla vicinanza delle rispettive tombe: irriguardosa per il nobile che rammenta il suo passato glorioso e blasonato, irrilevante per il netturbino che gli ricorda che la morte ...”è una livella”, perché le differenze sociali invocate sono “pagliacciate che le fanno solo i vivi”.

La struttura e la scorrevolezza dei versi sono così ben impostate da far accostare l’opera ad un vero e proprio romanzo in cui la concisione e l’immediatezza dei significati e degli spunti di riflessioni  appaiono in tutta la loro compiutezza ed efficacia: il lettore nelle poche pagine di cui si compone la poesia  è coinvolto in un pathos emotivo ficcante e atemporale.

Come direbbe un noto presentatore e giornalista televisivo, una riflessione sorge spontanea: se il mondo dei più è cosi livellato, perché da vivi non si riesce a raggiungere questo fine sublime e supremo?

E, soprattutto, perché rinunciare a godersi una vera e propria uguaglianza sociale procrastinando questo valore assoluto, tanto decantato nei proclami, nel momento del trapasso ultraterreno?

Forse dovremmo visitare più spesso i cimiteri per ricordarci di quanto l’accanimento, i litigi, l’indifferenza e le prevaricazioni siano così vuoti e inutili al cospetto delle cose che contano veramente nel nostro vivere civile.

Se anche la vita fosse una livella …



'A livella1
(Originale in dialetto napoletano, 1953/64)

Ogn'anno, il due novembre, c'è l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

 St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio
(Madonna!) si ce penzo, che paura!
ma po' facette un'anema e curaggio.
 '
O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.
  
"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del '31".

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.
  
Proprio azzeccata 'a tomba 'e 'stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore;
pe' segno, sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo 'stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i 'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura... nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato... dormo, o è fantasia?

Ate che fantasia; era 'o Marchese:
c'o' tubbo, 'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'na scopa mmano.

 E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?

 Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo... calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!

Da Voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va, sì, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava, sì, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente".

"Signor Marchese, nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo, obbj'... 'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé... piglia 'sta violenza...
'A verità, Marché, mme so' scucciato
'e te senti; e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere... nu ddio?
 Ccà dinto, 'o vvuo capi, ca simmo eguale?...
...Muorto si' tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato è tale e qquale".

"Lurido porco!... Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale... Pasca e Ppifania!!!
T''o vvuo' mettere 'ncapo... 'int'a cervella
che staje malato ancora È fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?... è una livella.

'Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò,  stamme a ssenti... nun fa' 'o restivo,
suppuorteme vicino - che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie... appartenimmo â morte!". 

La livella
(Traduzione in italiano, 1953/64)

Ogni anno, il due novembre, c'è l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno deve fare questa gentilezza;
ognuno deve avere questo pensiero.

Ogni anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo di zia Vincenza.

 Quest'anno m'è capitata un'avventura ...
dopo aver compiuto il triste omaggio
(Madonna!) se ci penso, che paura!
ma poi mi diedi anima e coraggio.

Il fatto è questo, statemi a sentire:
si avvicinava l'ora di chiusura:
io, piano piano, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

 "Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del '31".

Lo stemma con la corona sopra a tutto ...
...sotto una croce fatta di lampadine;
tre mazzi di rose con una lista di lutto:
candele, candelotte e sei lumini.

 Proprio accanto alla tomba di questo signore
c’era un'altra tomba piccolina,
abbandonata, senza nemmeno un fiore;
per segno, solamente una piccola croce.

E sopra la croce appena si leggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardandola, che pena mi faceva
questo morto senza neanche un lumino!

Questa è la vita! tra me e me pensavo...
chi ha avuto tanto e chi non ha niente!
Questo pover'uomo s'aspettava
che anche all’altro mondo era pezzente?

Mentre rimuginavo questo pensiero,
s'era già fatta quasi mezzanotte,
e rimasi chiuso prigioniero,
morto di paura... davanti alle candele.

Tutto a un tratto, che vedo da lontano?
Due ombre avvicinarsi dalla mia parte...
Pensai: questo fatto a me mi pare strano...
Sono sveglio...dormo, o è fantasia?

Altro che fantasia! Era il Marchese:
con la tuba, la caramella e il pastrano;
quell’altro dietro a lui un brutto arnese;
tutto fetente e con una scopa in mano.

E quello certamente è don Gennaro...
il morto poverello... il netturbino.
In questo fatto non ci vedo chiaro:
sono morti e si ritirano a quest’ora?

Potevano starmi quasi a un palmo,
quando il Marchese si fermò di botto,
si gira e piano piano... calmo calmo,
disse a don Gennaro: "Giovanotto!

Da Voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

 La casta è casta e va, sì, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava, sì, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente".

"Signor Marchese, non è colpa mia,
io non vi avrei fatto questo torto;
mia moglie è stata a fare questa fesseria,
io che potevo fare se ero morto?

Se fossi vivo vi farei contento,
prenderei la cassa con dentro le quattr'ossa
e proprio adesso, in questo stesso istante
entrerei dentro a un'altra fossa".

"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Fammi vedere! prendi 'sta violenza...
La verità, Marchese, mi sono stufato
di ascoltarti; e se perdo la pazienza,
mi dimentico che son morto e son mazzate!

Ma chi ti credi d'essere...un dio?
 Qua dentro, vuoi capirlo che siamo uguali?...
...Morto sei tu , e morto son pure io;
ognuno come a un altro è tale e quale".

"Lurido porco!... Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

 "Ma quale Natale, Pasqua e Epifania!!!
Te lo vuoi ficcare in testa... nel cervello
che sei ancora malato di fantasia?...
La morte sai cos’è?... è una livella.

Un re, un magistrato, un grand’uomo,
passando questo cancello, ha fatto il punto
che ha perso tutto, la vita e pure il nome:
non ti sei fatto ancora questo conto?

 Perciò, stammi a sentire... non fare il restio,
sopportami vicino - che t'importa?
Queste pagliacciate le fanno solo i vivi:
noi siamo seri… apparteniamo alla morte!"
1 La livella è uno strumento usato generalmente da chi lavora nel campo dell'edilizia per "livellare" una superficie, cioè stabilirne l'orizzontalità. Totò, nella sua poesia 'A livella, la usa come metafora della morte, livellatrice di ogni tipo di disuguaglianza esistente tra i vivi.