STEFANO MANCINI, INVIATO MOLTO SPECIALE …

Giornalista con licenza di … scrivere libri, Stefano Mancini è un autore molto promettente che ha sviluppato nel corso della sua giovane carriera di scrittore una particolare propensione per la letteratura fantastica.

E’ un genere, -come lui stesso commenta-, che gli permette di spaziare nei mondi infiniti della fantasia, che poi non sono mai così contrapposti alla realtà. Tra l’immaginazione e la concretezza del vivere quotidiano vi è sempre un anello che li ricongiunge e li accomuna in quello che è semplicemente un modo di essere e di “raccontare” la vita.

Classe 1980, Stefano Mancini è nato a Roma, dove vive tuttora. Nel 2004 si laurea in giornalismo iscrivendosi all'Ordine l’anno dopo. Ma la sua passione per la scrittura esplode, dirompente, subito dopo gli studi pubblicando nel 2005 “Il labirinto degli inganni” e nel 2010 “La spada dell’elfo”.

Le paludi d’Athakah” è il suo terzo romanzo che ha ottenuto già molti consensi tra i lettori.

Lo incontro sulla via “internauticaComo - Roma e subito si racconta con una cronaca di se stesso senza mezzi termini, come un inviato molto speciale


IO: Sei un giornalista con la passione per la scrittura. Entrambe queste attività hanno in comune la narrazione dei fatti. Quali sono, secondo te, le differenze?

STEFANO MANCINI: Ciao Vittoriano, intanto grazie per lo spazio e la disponibilità. Ti rispondo subito dicendoti che le differenze ci sono, ma non ampie come qualcuno può pensare. Di sicuro la mia attività di giornalista ha molto più a che fare con la narrazione dei fatti “nudi e crudi”, il più possibile asettici. Il mio “hobby” di scrittore, invece, mi permette di spaziare e di parlare di quello che piace davvero a me, e non di quello che succede nel mondo quotidianamente, oltre a poter dare la mia interpretazione di quello che succede. Per il resto, però, si tratta di scrivere, che è anche la cosa che amo di più.

IO:Le paludi d’Athakah” è il tuo terzo romanzo del genere “fantasy”. Com’è nata questa passione?

STEFANO MANCINI: Molto spontaneamente. Ricordo che mi è sempre piaciuto scrivere e inventare storie, fin da piccolo. E quando ho cominciato a fare sul serio, se così vogliamo dire, ho trovato che l’ambientazione fantasy, con i suoi mondi infiniti e con i limiti imposti solo dalla fantasia (e dal buonsenso dettato comunque dalla credibilità di fatti, situazioni e interpreti), era il terreno fertile in cui avrei potuto coltivare questa passione.

IO: Il protagonista del romanzo, “Re Aurelien Lathlanduryl,” è tormentato dalla responsabilità che gli deriva dal potere. Ingaggia una lotta sanguinosa per difendere i propri sogni di gloria. E’ l’eroe buono della storia?

STEFANO MANCINI: Di sicuro è l’eroe. Come lo sono tanti altri. Mi piace pensare al mio libro come a un affresco in cui si muovono diversi protagonisti, non per niente il romanzo copre un arco di oltre 500 anni, con personaggi che, date le loro caratteristiche, possono attraversare un lasso di tempo così ampio. Lui è tra quelli cui mi sono affezionato di più, perché incarna sia l’eroe indomito e coraggioso, che fa di tutto per coronare i suoi sogni, sia l’eroe tormentato che deve fare i conti con le difficoltà dovute dal potere e dal peso della corona di quello che, per sua stessa definizione è: “Il più potente impero mai esistito”. Il suo “essere eroe” non è né bianco, né nero, è fatto di tante sfumature di grigio. Mi piace rendere i miei personaggi il più complessi possibile, dargli varie sfaccettature e renderli credibili come lo sono le persone reali.

IO: Il racconto fantastico è spesso la trasposizione nell'immaginario di fatti o situazioni reali. La lotta al potere, la sopraffazione e la difesa di ideali che racconti nel tuo libro, si possono riscontrare, sia pure sotto forma diversa, nella nostra vita di tutti i giorni. C’è un messaggio in particolare che hai voluto dare con il romanzo?

STEFANO MANCINI: Diciamo che ci ho provato. Saranno poi i lettori a dire con quali esiti. Di certo ho provato a mettere nel mio romanzo non solo personaggi credibili, ma anche situazioni credibili. La lotta fratricida tra elfi e nani che si sviluppa nel romanzo da una posizione di partenza che invece è l’opposto, è lo specchio di quell’Io che spinge ogni essere umano, purtroppo, al conflitto e alla guerra. E le motivazioni dietro lo scontro tra elfi e nani sono ben più complesse di quello che potrebbe sembrare; complesse come lo sono quelle che generano i conflitti nel nostro mondo: è questa la spinta che ho provato a raccontare. Perché magari, in piccolissima parte, capire perché elfi e nani si uccidono in un mondo inesistente, può aiutare a capire perché succede altrettanto e così spesso nel nostro mondo.


IO:Il labirinto degli inganni” è stato il tuo romanzo d’esordio (2005) seguito da “La spada dell’elfo” (2010). Parlaci un po’ di queste opere.

STEFANO MANCINI: Sono entrambe opere alle quali sono molto legato, come è ovvio che sia. Mentre però “Il labirinto degli inganni” lo considero a tutti gli effetti un’opera prima, che risente di tanti difetti, “La spada dell’elfo” lo ritengo un romanzo molto più maturo. Purtroppo, per motivi diversi, sono anche due libri che hanno avuto parecchie sfortune editoriali, il che mi fa apprezzare ancora di più il successo che sta riscontrando “Le paludi d’Athakah”. Quello che posso dire è che sono comunque stati fondamentali per la mia crescita di scrittore, anche e soprattutto grazie ai commenti e alle indicazioni dei lettori.

IO: Perché, secondo te, si è più interessati al mondo dell’immaginario che a quello reale? C’è davvero bisogno di sognare per affrontare la realtà o è semplicemente un momento di evasione?

STEFANO MANCINI: Io credo che si sia legati al mondo dell’immaginario, come lo si è a qualunque forma d’arte. La riscoperta del fantasy di questi ultimi anni, a mio avviso, non è il sintomo che le persone vogliono fuggire alle “brutture” del nostro mondo, ma semplicemente, come sottolineavi anche tu, un modo per evadere, per prendersi qualche momento di distensione dalle difficoltà di tutti i giorni. Come dico spesso durante le mie presentazioni, “Le paludi d’Athakah” non è un capolavoro che cambierà la storia della letteratura; ma è comunque un buon romanzo, con un ritmo serrato, scorrevole e con personaggi interessanti. L’ideale proprio per chi vuole passare qualche “ora d’evasione” e poi tornare con i piedi nel nostro mondo. Che per inciso ritengo non sia né peggiore, né migliore di quello che ho inventato. Solo diverso.

IO: Ti sei ispirato a qualche autore o le tue opere sono frutto di una tua personale inclinazione e stile?

STEFANO MANCINI: Se dicessi che è tutta farina del mio sacco mentirei. Mi sono ispirato, come credo ogni altro autore, a chi mi ha preceduto. E in tanti hanno questo merito. Di sicuro nell'ambientazione molta importanza hanno avuto le opere del Maestro Tolkien, non lo nego. Gli elfi e i nani protagonisti del mio romanzo hanno tratti fisici, sociali e caratteriali simili a quelli di Tolkien. Ma le similitudini finiscono qui. Nello stile, infatti, credo di aver impresso il mio tratto distintivo. Ho cercato (e i commenti dei lettori me lo hanno confermato) di dare ampio spazio al dialogo, di ridurre al minimo le descrizioni, per puntare sull'azione. E dare così maggiore spessore ai personaggi, anche quelli che (sembrano) secondari. Ne esce fuori, mi sento di dire, un romanzo vibrante, scorrevole, che si legge piacevolmente, con personaggi che non lasceranno delusi i lettori.

IO: Ammettiamo che sei in televisione e ti viene data la possibilità di pubblicizzare le tue opere. Cosa diresti ai lettori per convincerli ad acquistarle?

STEFANO MANCINI: Quello che ho detto finora. Gli direi che se vogliono acquistare e leggere il libro che cambierà loro la vita, allora “Le paludi d’Athakah” non è il libro giusto. Ma se invece vogliono un romanzo avvincente, fluido, con personaggi credibili, che gli permetta di passare qualche ora spensierata e piacevole su un altro mondo, allora mi sento di garantirgli che non resteranno delusi. Un paragone che faccio spesso è che leggere è come andare al cinema: puoi scegliere di vedere un capolavoro immortale, sapendo che avrà certi temi e contenuti, ma anche che ne esce uno ogni dieci-venti anni; oppure puoi scegliere di goderti un paio d’ore spensierate, al termine delle quali, anche se la tua vita non sarà cambiata, uscirai comunque dal cinema soddisfatto, con l’idea di aver investito bene il tuo tempo e di essere almeno un po’ più arricchito. Con le dovute proporzioni il mio libro rientra in questa seconda categoria.

IO: Hai pubblicato con la casa editrice “Linee infinite” che ha come obiettivo di fondo “la progettualità editoriale partecipativa”. E’ una sorta di cooperativa di editori/autori?

STEFANO MANCINI: Guarda, saranno le mie esperienze passate, ma io posso solo parlare bene della Linee Infinite, una casa editrice messa in piedi da appassionati che fanno tutto questo per hobby, coccolando e coltivando i loro autori, il tutto senza chiedere un soldo in cambio, elemento che chi “bazzica” almeno un po’ il mondo editoriale sa quanto sia raro. La cooperazione tra autori ed editore c’è, ma è una cooperazione costruttiva, che non riguarda l’aspetto economico, bensì quello dell’impegno. Del resto, se un editore punta su un autore e la sua opera, credo sia corretto che lo scrittore faccia la sua parte, impegnandosi a partecipare agli eventi, promuovendo laddove possibile il suo libro e comportandosi con correttezza verso chi ha deciso di puntare su di lui. Alla Linee Infinite non c’è un rapporto autore-editore di stampo rigido e classico, ma è qualcosa di molto più amichevole e informale e, ci tengo a precisarlo, gran parte del merito è di Simone Draghetti, il responsabile editoriale, un vulcano di idee e di energie, ma soprattutto un amico.

IO: Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

STEFANO MANCINI: Posso confessare che, pur essendo “Le paludi d’Athakah” un’opera conclusiva, ho da poco consegnato al mio editor il suo seguito. Non era nelle mie intenzioni iniziali scriverlo, ma è successo qualcosa che non mi aspettavo (e che uno scrittore si augura sempre): i commenti dei lettori sono stati così entusiasti che mi hanno spinto a scriverlo; chiunque l’ha letto mi ha detto che ne voleva sapere di più, voleva sapere come la vicenda si poteva sviluppare nel corso del tempo e soprattutto voleva sapere che cosa ne sarebbe stato dei vari protagonisti. Per questo mi sono messo al lavoro, perché credo che un autore debba rispondere prima che al mercato, ai suoi lettori. Ora aspettiamo e incrociamo le dita, sperando che questo seguito raccolga l’approvazione dapprima della casa editrice e in seguito dei lettori, proprio come avvenuto per “Le paludi d’Athakah”.

IO: Dove si possono trovare le tue opere?

STEFANO MANCINI: Le paludi d’Athakah” può essere ordinato in ogni libreria semplicemente con il mio nome e il titolo, oppure tramite la stessa casa editrice (all'indirizzo lineeinfinite.net). Si trova poi nei vari circuiti online (come ibs.it e in Mondadori). Ma ultimamente la Linee Infinite sta facendo degli sforzi ben ricompensati: diverse librerie lo hanno tra i loro scaffali. Ai lettori dico solo: cercatelo oppure ordinatelo, ne vale la pena.

IO: Grazie per l’intervista. In bocca al lupo per entrambe le tue attività.


STEFANO MANCINI: Grazie a te per lo spazio e la disponibilità. E crepi il lupo.

TI PORTO AL MARE

Ti porto al mare”. Guardai la piccola Giada che di rimando prese a fissarmi con gli occhi lucidi e tranquilli. Era la sua maniera di sorridermi e di approvare questa proposta senza aggiungere altro, perché nulla avrebbe potuto dire con la sua vocina sottile e delicata, ridotta, da un anno a questa parte, a poco più di un lamento.

Proprio un anno fa, io e mia moglie Vera scoprimmo che la nostra unica figliola era stata colpita dalla sindrome di Phelan Mcdermid, malattia genetica che provoca l’arresto dello sviluppo motorio e intellettivo.

Com'è possibile? Giada ha solo tre anni. Come faremo? Ci sarà una cura?” Domande che rivolgemmo al nostro medico senza ricevere alcuna risposta che ci rassicurasse.
Ci cascò il mondo addosso in un secondo. E da lì iniziò il nostro calvario …

Giada ama molto il mare. Fin dai primi mesi di vita se ne stava accoccolata tra le mie braccia a guardare le onde infrangersi sugli scogli. Ogni tanto batteva i piedini sulle mie gambe come se avesse voluto partecipare con tutte le proprie forze a quel movimento rituale e naturale delle acque. Quasi sembrava rapita dalle atmosfere di quel paesaggio marino tumultuoso e coinvolgente. Sentivo che era felice ed io lo ero insieme a lei.

Anche quest’anno la TV ha mandato in onda Telethon, la lunga maratona dedicata alla raccolta fondi per la lotta contro le malattie genetiche. I vari conduttori si sono succeduti tra un programma e l’altro in una sorta di staffetta della solidarietà, come nelle migliori competizioni olimpioniche in cui l’unico traguardo che conta è ... vincere per gli altri.

Si sono udite storie tristi e toccanti, ma tutte accomunate dalla dignità del dolore e dalla speranza che la ricerca scientifica possa definitivamente sconfiggere queste terribili patologie.

La dignità del dolore! Come è accaduto per la mia storia...

Oggi Giada ha fatto progressi enormi; usa le manine e comunica con lo sguardo, che è l’unico modo per farsi capire e per trasmetterci le sue emozioni.

Sono con lei sulla spiaggia. Non batte più i piedini sulle mie gambe, ma so che è serena come lo sono io. Perché guardando il mare si scoprono sempre nuovi orizzonti, nuovi modi di amare.
Oltre ogni cosa e umano divenire …

TI PORTO AL MARE

Racconto breve di Vittoriano Borrelli
(Liberamente tratto dalle storie di Telethon)


IL NATALE QUANDO ARRIVA ARRIVA

Anche questo Natale, ormai alle porte, si appresta ad essere celebrato con festoni e luci colorate. Come una donna procace, dal trucco acceso e accattivante, dispensa sorrisi e ubriaca allegria dando spazio alla forma, più che al contenuto, del nostro sereno sentire.

Al bando il significato religioso della festa, atavico messaggio che riemerge in superficie grazie alla proposizione o riedizione di films o documentari sul tema della natività, il Natale di oggi, che somiglia molto a quello di ieri, è il rito dello stordimento, in cui le angosce e i problemi di tutti i giorni vengono “miracolosamente” accantonati in un cassetto per essere tirati fuori ai primi bagliori del nuovo anno.

In “Natale in casa Cupiello”, capolavoro del grande Eduardo, c’è una scena in cui il protagonista, Lucariello, consiglia al fratello Pasquale, alle prese con l’ennesimo litigio con il nipote Tommasino,  di rimandare ogni cosa a dopo il Natale: “Pasca’, fammi la carità dopo Natale trovati una camera mobiliata ….. e te ne vai”

Dopo Natale. Non prima, né tanto meno durante, perché a piangere dei propri guai …c’è sempre tempo!

E allora perché non tuffarsi nell'intrattenimento più puro ed effimero, come l’ultimo cinepanettone di Neri ParentiColpi di fortuna”, in uscita il prossimo 19 dicembre?

Il titolo è tutto un programma e pare particolarmente azzeccato in questi tempi di assoluta incertezza per il futuro, in cui il richiamo alla dea bendata è quanto meno propiziatorio per risolvere l’irrisolvibile, ancorarsi per due ore davanti al maxi-schermo facendo finta che il domani sia migliore.

Il cinema, come tutte le altre espressioni dell’arte e della cultura, non è altro che lo specchio della nostra società. Ai tempi del neorealismo andavano di moda film come “Roma città aperta” dell’immensa Anna Magnani o come “La strada” di un “certoFederico Fellini. C’era un’Italia da ricostruire dalle macerie della guerra ed era molto più facile identificarsi nella “concretezza” dei sogni e degli ideali.

Oggi, che pure ci sarebbe tanto da ricostruire, mancano del tutto i sogni e l’immaginazione è piuttosto indotta da una realtà artefatta, contro la quale è molto meglio “distrarsi” e “non pensare”.

Allora ci pensano i cinepanettone a fare da cornice al vuoto che c’è intorno, a regalarci qualche risata, magari con Christian De Sica che nel citato “Colpi di fortuna”, interpreta un imprenditore superstizioso che si affida ad un porta iella (Francesco Mandelli) per risolvere un affare con i mongoli.

Gli ingredienti ci sono tutti per ridere quanto basta e per accogliere il Natale, che quando arriva … arriva.

Bisogna semplicemente essere pronti a non sfigurare, perché a togliersi il "trucco" si fa ...quando la festa è finita!


CARO FRATELLO

Caro fratello               
ti ho immaginato da sempre
e da sempre ti ho aspettato inutilmente
Chissà chi è stato colui
che ci ha legati nel suo regno
noi così diversi eppure uniti nello stesso segno

Caro fratello
perché mi rispondi col silenzio?
Lo sai che da tempo non riesco a dirti quello che sento?

Chissà chi è stato colui
che si è dimenticato di noi
noi così perversi eppure non siamo mai gli stessi

E mentre ti canto
sento sempre più vicino il tuo pianto
il tuo dolore che abbiamo provato con lo stesso tramonto

Caro fratello
non voglio più darti retta
troppo spesso ricordo la tua indifferenza
Chissà chi è stato colui
che ci ha voluti e posseduti
noi così indecenti eppure così belli e intelligenti

E mentre ti scrivo
giusto per sentirmi ancora vivo
giusto per provare a me stesso che sei un amico

la tua voce si confonde lentamente con le altre
ed io faccio fatica a riconoscere le tue tracce
Chissà chi è stato colui
che ha sepolto i nostri corpi
in  una terra fredda
con un cielo senza nemmeno una stella

E mentre ti cerco
scende silenziosamente la sera
ed io capisco che non basterà una vita intera

Caro fratello
anche tu sei stufo e non piangi più
anche tu ti sei arreso a questo inutile ritrovarsi
Chissà chi è stato colui
che ci ha lasciati qui nell'ombra
ormai è notte fonda e il mare
non ha più neanche un'onda

(V. Borrelli, dall'album: "Tristezza" 1982)