UN UOMO DA LETTO

E’ uno dei testi delle mie canzoni più dirompenti e reazionari di un’epoca, quella degli anni ’80, in cui l’inquietudine giovanile post-sessantottina si misurava col disincanto e con le prime avvisaglie di un futuro senza più valori di riferimento.

Un uomo da letto”, fotografa l’incapacità di uscire da un target precostituito per affrontare (e superare) il malessere interiore al cospetto di una società consumistica che non “vede” e non “ascolta”.


Ecco il testo:


E mi ritrovo così con la solita definizione
senza nessuna speranza di salvarmi da questa finzione
che dura da tempo e come gli anni non si ferma mai
Che strano il mio nome il mio mito che sai!

E sono un uomo da letto getto orgasmo e più non smetto
un uomo da letto con tanti difetti e poco rispetto
un uomo da letto senz'anima e senza ribellione
ed amo e respiro così senza parole

Ma che stupida sera respirata male!
Non ho più il coraggio di guardarmi allo specchio
Chissà mai perché mi sento stanco e più vecchio?
Stupida canzone nascosta in fondo al cuore!

Il peccato lascia tracce nere nel mare
ma l'innocenza si fa santa quando vuole Dio
Intanto mi spingo dentro grido al vento "Sono mio!"
Io quell'uomo l'ho lasciato per le vie del passato

Ma il mio corpo non va giudicato così solo per questo
Ho un'anima nascosta che vale e che mi rende diverso
Prova amico a volare inventa due ali e un istinto
lascia la tua fantasia non darti per vinto

Dove sei uomo? Non mollare! Perdono!
Dove sei uomo? Non voglio piangere lo giuro!
Resta un po’ con me amica non andar via vita!
Io una speranza vera non l'ho mai avuta

L'innocenza si fa santa quando vuole Dio
qui c'è orgoglio e penitenza sono io sono mio
e il peccato lascia tracce nere nel mare
Ma che stupida sera respirata male!

(Dall'album “Malinconico digiuno”, 1981)

                                    (TRATTO DA “LE PAROLE DEL MIO TEMPO”)

LE VIE DELLA LETTURA SONO INFINITE

L’anno appena trascorso si è concluso con una buona notizia per gli amanti della lettura.

Secondo l’ultimo rapporto CENSIS (“Centro Studi Investimenti Sociali”) del dicembre 2013, gli italiani stanno imparando a leggere un pò di più, grazie soprattutto al digitale.

Infatti, se da un lato la flessione della carta stampata non accenna a diminuire (-2% i lettori dei quotidiani a pagamento, -4,6% la free press, -1,3% i settimanali), dall'altro si registra un significativo aumento dei portali web di informazione (diversi dai più noti quotidiani online) che contano l’1,3% di lettori in più rispetto all'anno precedente.

Nel campo letterario, il CENSIS segnala una ripresa della lettura dei libri (+ 2,4%) dopo la grave flessione dell’ultimo anno, “benché gli italiani che hanno letto almeno un libro nell'ultimo anno sono solo il 52,1% del totale.” Ottima l’ascesa degli e-book che raggiungono un’utenza del 5,2% (+ 2,5%).

Sono dati che indubbiamente confortano, ma una riflessione comunque s’impone. Oggi procurarsi “qualcosa da leggere” è molto più facile di una volta. Basta collegarsi ad internet ed ecco che le vie della lettura si aprono … infinite: notizie di ogni genere, curiosità, gossip, libri e quant'altro giungono alla portata del lettore in maniera semplice e immediata, immune da qualsiasi filtro o controllo.

Il problema sta proprio nell'espressione “qualcosa da leggere” che per la sua genericità paventa il rischio, tutt'altro che remoto, che le notizie acquisite siano false, tendenziose e fuorvianti, in una parola  ben lontane dalla qualità dell’informazione

Un tempo ci pensavano gli editori dei libri o della carta stampata ad operare una selezione di quanto veniva proposto per la lettura, anche se il risultato non sempre obbediva a criteri di correttezza e di obiettività. Oggi la figura dell’editor è divenuta quasi anacronistica essendo stata letteralmente surclassata dal “bricolage” della notizia o dal “fai da te”.

Pubblicare un libro, ad esempio, è molto più facile di quanto avveniva fino a qualche anno fa. C’è il “Self-publishing”  attraverso il quale l’autore diffonde la propria opera controllando e gestendo tutte le fasi della “filiera”: dalla produzione al consumatore, ovvero al lettore.  I vantaggi sono indubbi, soprattutto in termini di costo, ma il risultato finale non sempre assicura la qualità dello scritto.

Certo, attraverso l’auto-pubblicazione è possibile affidarsi all'editing, ovvero alla correzione delle bozze, che le stesse società pseudo – editrice propongono agli autori, ma l’autorizzazione alla stampa o alla divulgazione del formato digitale dell’opera viene quasi sempre concessa pur senza osservare questo passaggio.

Ed ecco che fiumi di libri s’immettono nei canali del web senza alcun argine di resistenza. Poco importa degli svarioni grammaticali, degli errori di punteggiatura, delle “o” scritte con l’acca e via dicendo. Il contenuto prevale sulla forma (ma spesso non risulta mai vincente) e il linguaggio si evolve (o si involve)  aderendo alle nuove espressioni del linguaggio digitale anarchiche e … “a stile libero”.

Vero è che in questo marasma è colpevolmente assente il coraggio di investire nella cultura, soprattutto da parte di quegli editori poco avvezzi a farlo e molto più propensi a far ricadere sugli autori esordienti i rischi e i costi della produzione, promettendo loro un futuro radioso ma destinato a dissolversi e a rabbuiarsi con … il calar della sera.   

Meglio allora l’auto-gestione con tutti i rischi, le incertezze e le variabili impazzite del mondo digitale che accoglie, apparentemente senza riserve, l’infinta produzione di libri e di scritti.

Per molti, moltissimi, caleranno presto le tenebre dell’oblio.

Solo per pochi sarà vera gloria.

SE QUESTO E’ UN UOMO

Questa bellissima poesia di Primo Levi, tratta dall'omonimo romanzo pubblicato per la prima volta nel 1947, racchiude in sé l’essenza dell’opera, un mosaico di sensazioni e di stati d’animo che accompagnano l’esperienza  vissuta dall'autore nel campo di concentramento di  Auschwitz.

E’ un manifesto-denuncia di come la cattiveria, la crudeltà e la sopraffazione possano trasformare un uomo in una cosa, nullità del proprio essere che indigna e che fa vergognare.

La sopravvivenza del ricordo, messaggio sublime e catartico di questi meravigliosi versi, è un monito perenne per allertare le coscienze affinché non si dimentichi ciò che è stato raccontato, ciò che è stato vissuto in prima persona e trasferito ai posteri come eredità storica e contemplativa.

Come si sa, il 27 gennaio è la data in cui si celebra la Giornata della Memoria istituita oltre un decennio fa con la legge 20 luglio 2000 n. 211 per “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.”

Al di là delle celebrazioni che sono sempre ben gradite e apprezzate, credo che il ricordo di questi scempi debba essere non solo istituzionalizzato ma anche e soprattutto interiorizzato nelle nostre coscienze affinché vi siano infiniti giorni della memoria a cominciare dal nostro agire quotidiano per finire alle decisioni dei potenti, molto spesso “smemorati” e pronti a scalciare … la polvere del ricordo.

 I vostri nati torcano il viso da voi …”

SE QUESTO E' UN UOMO
(PRIMO LEVI)
“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.”

VECOLI, IL GIOCO SERIO DELLA SCRITTURA

Il potere logora chi non ce l’ha …”, soleva dire Giulio Andreotti in tanti passaggi della sua lunga vita di politico e di comunicatore. Leggendo le opere di Stefano Carlo Vecoli, autore toscano con la passione per la pittura, si direbbe proprio il contrario.

Sia ne “Il pranzo dei Burlanti” che ne “Il pezzente di Denari”, Vecoli non usa mezzi termini per denunciare le malefatte del potere, dimostrando come il suo (cattivo) esercizio faccia impoverire le idee e rendere inique e destabilizzanti le politiche di governo.

Allora soggiunge in soccorso la scrittura, il vero e unico potere per affermare la forza delle idee (quelle buone), perché: “il piacere della scrittura è un gioco serio per raccontare storie ed emozioni.”

Nato a Viareggio, splendida cittadina toscana, Stefano Carlo Vecoli, -di professione architetto e docente di disegno e storia dell’arte-, ha un curriculum di tutto rispetto.
Nel 2007 si aggiudica il concorso “Firenze, Capitale d’Europa” con il romanzo Il pranzo dei Burlanti”, ed è primo al concorso “Le Agavi Panormus” con il racconto “Ogni mela al suo posto”. Nel 2010 vince l’“XI° Concorso Letterario San Mauro – Buscate”  con il racconto Cercando un decalogo.
Con “Il Pezzente di Denari” riceve una segnalazione di merito al Premio Letterario Città di Cattolica (2009), mentre i racconti “Starnazzatori” (2007) e “Dolci Sensazioni” (2008) sono pubblicati, rispettivamente, nei “Racconti della Rete 2007”, e nell'antologia del premio “Città di Empoli Domenico Rea”.
Nel 2013 pubblica “Crescevano Sogni, Fiorivano Eskimi”.

Vecoli (nella foto di Sebastian Korbel) inizia a raccontarsi in questa lunga intervista e lo fa a tutto tondo ...

IO: La tua formazione di architetto quanto ha influito nel tuo percorso verso la letteratura?

STEFANO CARLO VECOLI: Direi che la formazione e la professione di architetto ha influenzato per l'attenzione ai particolari e all'insieme, in uno scambio prospettico reciproco.  Nella narrazione mi porta a porre un'attenzione particolare alle città, ai loro monumenti, agli angoli più caratteristici, più o meno conosciuti, del paesaggio urbano, descrivendone le sensazioni che provocano i loro colori e profumi. Non ultima la mia formazione di architetto credo si possa intravedere nella "impaginazione" delle parole, dove spesso amo costruire la descrizione con una "scrittura  in verticale" per lasciare spazi bianchi e far risaltare il pezzo scritto per catturare meglio l'attenzione del lettore.

IO: Hai dichiarato che “il piacere della scrittura è un gioco serio per raccontare storie ed emozioni.” In queste parole ravviso due termini significativi: il “gioco” che evoca la creatività e la spontaneità e l’aggettivo “serio”che sembra proiettarle sul piano dell’impegno sociale e della meditazione. E’stato così per te?

STEFANO CARLO VECOLI: Sì, direi che la tua domanda centra perfettamente cosa intendessi dire quando, fin dal primo romanzo, ho affermato che per me la scrittura è un "gioco serio": un modo creativo per parlarsi dentro e parlare a chi, e con chi, abbia voglia e interesse ad ascoltare e a confrontarsi con le problematiche che la vita presenta a tutti. Dall'impegno sociale, politico, all'amore e all'amicizia, all'etica e alla lealtà verso se stessi e i proprio sogni e ideali.

IO: Hai vissuto l’esperienza degli anni settanta contrassegnata dalla contestazione giovanile, dalla rivoluzione etico-culturale ma anche dai cc.dd. “anni di piombo”. Com'è cambiata, secondo te, l’Italia di adesso rispetto a quella di allora?

STEFANO CARLO VECOLI: L'Italia è cambiata tanto, ma insieme alle conquiste sociali e culturali degli anni settanta, penso allo statuto dei lavoratori, alle leggi sul divorzio, sull'aborto e sul diritto di famiglia, è riaffiorato dagli anni "80, e via via è divenuto preponderante, il mai dimenticato e opportunistico  "Francia o Spagna purché se magna", o quello ancora peggiore del "Me ne frego" di triste memoria, il tutto declinato nella salsa Berlusconiana decorata con lustrini e lamè, delle TV commerciali e degli ideali edonistici  incarnati da calciatori e veline. C'è però sempre, magari meno appariscente ma numerosa e presente, un'Italia dedita all'impegno sociale, al volontariato, all'attenzione verso gli altri, direi anche all'onestà e all'etica, che è sempre stata minoritaria ma forse chissà che questa crisi, che è sì economica ma anche morale, non sia capace a far ripensare e rivedere i modelli poc'anzi richiamati, e magari riuscire a ripartire per e con una Italia migliore.

IO: I personaggi narrati ne “Il pranzo dei Burlanti” e  ne “Il pezzente di Denari”, giunti all'età di mezzo, quanto si sono “arricchiti” della propria esperienza giovanile o quanto, piuttosto, hanno disimparato dalla spinta “idealistica” e del cambiamento degli anni della contestazione?

STEFANO CARLO VECOLI: Credo, volendo semplificare, che ci siano due tipi di personaggi in questi due romanzi e pure nella realtà: gli "ingenui", e sono la maggioranza, che credevano e hanno continuato a credere  in quegli ideali, magari pur nel disincanto della storia che avanzava, e poi i furbi, gli arrivisti. i "carrieristi" che già negli anni "70 sapevano che dal loro impegno politico potevano trarre vantaggi, arricchirsi e far carriera, politica e/o professionale, e sono tutti quelli che io ho chiamato "Burlanti", già ben prima del libro "La Casta" di S. Rizzo e G.A. Stella, e che rappresentano la casta di sinistra in quel pezzo d'Italia così bello che  è la Toscana, ma che naturalmente esistono in tutte le altre regioni e forse in tutte le epoche e in tutto il mondo.

IO: E’ la politica che corrompe o ad essere corrotta dalle persone?

STEFANO CARLO VECOLI: Direi che è la politica vista come luogo del "Potere" che corrode, la permanenza nei luoghi di potere, senza ricambio di classe dirigente porta al mantenimento e all'incancrenirsi dello status quo. Credo che per prima la sinistra, se vuole cercare non a parole di essere diversa e migliore, dovrebbe battersi perché dai luoghi del "Potere" si decada automaticamente, altrimenti la voglia di permanere sulle poltrone acquisite porta inesorabilmente a scambio di favori tra politicanti, clan, logge, "segrete stanze" ecc, fino anche alla corruzione, come purtroppo abbiamo visto e verificato di continuo,  ad ogni latitudine e ed in ogni partito politico.

IO: Nel 2013 hai pubblicato “Crescevano sogni, fiorivano eskimi”. Parlaci un po’ di questa tua ultima “fatica”.

STEFANO CARLO VECOLI: E' un romanzo a cui tengo molto, parla degli anni della mia adolescenza, dei tanti sogni e speranze che hanno emozionato e coinvolto una intera generazione. Un romanzo anche sofferto nel rivivere non solo i sogni di quegli anni, ma anche le violenze che li hanno accompagnati. Un romanzo come dice nella prefazione Luciano Luciani <forse non "politicamente corretto”, ma “politicamente utile”: da criticare, magari; da restituire al mittente, se credete; ma assolutamente da leggere>.

IO: L’innocenza “inquinata” dall'iniziazione nella vita sociale sembra trapelare in molti tuoi scritti. E’ un messaggio forte e crudo che condividi o che pensi di rivedere alla luce della tua esperienza?

STEFANO CARLO VECOLI: No, lo condivido ancora, purtroppo. Fa parte dell'Italia clientelare, spesso corrotta, come dicevo poc'anzi "governata" da confraternite, logge, clan, gruppi di pressione dentro e fuori i partiti, che lasciano poco spazio all'individuo che vuole rimanere libero e non iscritto, né assoggettato a nessuno di questi "Poteri".

IO: Hai ricevuto diversi premi e riconoscimenti letterari. Quale di questi ti ha maggiormente gratificato?

STEFANO CARLO VECOLI: I premi naturalmente piacciono tutti, grandi e piccoli che siano, danno un riconoscimento al tuo lavoro. Direi che comunque mi hanno colpito i premi ricevuti per i miei primi tre racconti, non tanto perché li preferisco, ma perché li scrissi in anni giovanili, intorno ai 25 anni, poi li lasciai in un cassetto, anzi addirittura in cantina e lì sono rimasti ad invecchiare come  il vino. Una volta tirati fuori è stato bello e gratificante scoprire che dopo circa 25/30 anni fossero ancora considerati attuali e apprezzati con vari premi.

IO: L’arte pittorica e la scrittura hanno in comune la proiezione nella realtà della propria immaginazione. In cosa si differenziano?

STEFANO CARLO VECOLI: Direi che quando scrivo esploro i miei pensieri e scavo dentro la mia storia personale e dell'Italia che ho vissuto, è un lavoro più intimistico, di riflessione e rielaborazione. Quando dipingo invece c'è più istintività, è un girovagare allegro tra le mie emozioni, il piacere per il colore mi coinvolge nel tempo stesso in cui "faccio" il quadro. Poi anche nella pittura la mia razionalità, direi il mio essere architetto, viene fuori come progettualità mentre il quadro cresce e si sviluppa, ed allora  alle prime pennellate spontanee, quasi inconsce,  si aggiungono le rifiniture più studiate e "progettate".

 IO: Quali altre passioni coltivi?

STEFANO CARLO VECOLI: Beh direi che  scrittura e  pittura siano già grandi passioni, naturalmente oltre a scrivere amo leggere, così come oltre a dipingere amo andare a vedere opere di altri artisti sia moderni che antichi. Se proprio vogliamo aggiungere qualche altra passione direi che con piacere, come penso tutti, amo ascoltare musica e magari frequentare quei locali dove si può ascoltare musica dal vivo di buon livello. Da italiano e toscano naturalmente amo la cucina tradizionale e mi diletto a cucinare.

IO: C’è qualche autore in particolare cui ti sei ispirato nelle tue opere?

STEFANO CARLO VECOLI: Non direi di avere un autore privilegiato sia nella letteratura che nella pittura. Posso dirti che le mie letture sono state imperniate sui classici: da Manzoni a Herman Hesse, da Calvino a Moravia a Pratolini, a Marquez a Kerouc, insomma un pò di letteratura italiana e di quella internazionale. Per la pittura e l'arte in generale, in Italia e in Toscana, si è naturalmente circondati e coinvolti dalla grande pittura di tutti i secoli,  entra nel nostro DNA. Crescendo si conoscono, si studiano e si amano i movimenti europei degli ultimi due secoli, cosicché tutto e tutti ti lasciano dentro qualcosa che poi torna fuori mediato dalla tua sensibilità. Amo molto i pittori "visionari": da Savinio, a Bosch, a Mirò, e rimango incantato di fronte a: Rosso Fiorentino, al Pontormo e al Bronzino, e a tanti e tanti altri.

IO: Cosa pensi della letteratura digitale che è in forte espansione rispetto a quella tradizionale del cartaceo?

STEFANO CARLO VECOLI: Ne penso sicuramente bene, come hai visto ho pubblicato il mio ultimo romanzo in ebook e print on demand, e ripubblicato gli altri due allo stesso modo. Ho messo in rete, sul mio canale youtube, il booktrailer di "Crescevano sogni, Fiorivano eskimi". Il digitale è, come ogni mezzo e strumento tecnico, una opportunità per gli scrittori e per i lettori, ma forse  è anche più di uno strumento, è un modus operandi dello scrittore che può cambiare anche il rapporto con il lettore, e viceversa. Dico una ovvietà ma rappresenta certamente il futuro della editoria.

IO: Quali sono i tuoi prossimi progetti?

STEFANO CARLO VECOLI: Nei prossimi mesi mi dedicherò alla presentazione e divulgazione di questo mio ultimo romanzo, e porterò ancora in giro la mia mostra "Presenze Immaginarie", e intanto sto preparando nuovi lavori di pittura e grafica per una nuova esposizione alla fine del 2014 o inizio 2015.

IO: Dove si possono trovare le tue opere?

STEFANO CARLO VECOLI: Per quanto riguarda le pubblicazioni sono sul sito http://www.lulu.com/spotlight/stefanocarlovecoli per poterle acquistare, su Amazon libri, mentre i miei quadri potete vederli al mio sito www.stefanocarlovecoli.it , nel quale troverete anche i miei indirizzi per contatti che saranno da me sempre graditi Ho inoltre un canale YouTube: http://www.youtube.com/user/stefanocarlovecoli .


IO: Grazie per l’intervista. A presto rileggerti per tanti altri successi.

LA SCRITTURA CREATIVA

Si sente spesso parlare, soprattutto da parte degli operatori del settore, di scrittura creativa, ovvero di quella particolare “scuola professionale” rivolta agli scrittori, poeti, giornalisti e appassionati della “penna” in genere, con l’obiettivo di fornire loro metodi didattici per scrivere meglio.

Nata in America agli inizi del secolo scorso (Paese antesignano per eccellenza), la scrittura creativa si è poi sviluppata in tanti altri paesi d’oltreoceano, giungendo in Italia solo a metà del 1980.

Punto cardine della scuola è quello di orientare l’ispirazione verso un uso più consapevole e guidato dei principali elementi della scrittura: l’impostazione, lo stile, lo sviluppo della narrazione, vengono proiettati sul piano della migliore tecnica espositiva e contenutistica allo scopo di catturare (e sensibilizzare) maggiormente l’interesse del lettore.

I metodi didattici più diffusi, come la costruzione della trama, l’intreccio, i dialoghi e i profili dei personaggi, sono stati mutuati persino nelle pratiche d’insegnamento scolastico, a partire dall'istruzione primaria. In questo modo i bambini apprendono le tecniche per l’elaborazione dei temi o, più semplicemente, per la comprensione dei testi narrativi.

Forse sarò una voce fuori dal coro, ma guardo con sospetto a queste tecniche guidate della scrittura, soprattutto se ad applicarle sono gli scrittori.

Ben venga, sia chiaro, qualsiasi  metodo diretto ad aiutare o supportare il lettore nella comprensione di testi o articoli. E di questi tempi, con ciò che si legge in giro sarebbe anche auspicabile per decifrare quello che in molti casi è indecifrabile.

Ma per gli scrittori, ovvero per i promotori della scrittura, il discorso è diverso. La spontaneità delle idee, l’ispirazione, la trasformazione in parole di ciò che promana dal proprio stato d’animo, mal si conciliano con la necessità di doverle pianificare o decodificare con un linguaggio, tecnicamente ineccepibile, ma pur sempre “costruito” ed “orientato”.

E’ vero che circolano in giro tanti libri “brutti” o scritti male, ma è pur vero il contrario: vi sono romanzi tecnicamente “perfetti”ma non altrettanto per il contenuto, che vengono portati al successo solo grazie ad una capillare e strategica campagna pubblicitaria.

Credo che il miglior metodo per scrivere bene (e meglio) sia dato proprio dall'esperienza della lettura. Vi sono tanti scrittori che leggono poco non considerando che il confronto con altri autori è invece indispensabile per arricchire la propria esperienza a mo’ di esempio.

Pensate che Dante, Manzoni, Leopardi e tanti altri celeberrimi autori avessero frequentato corsi di scrittura creativa? Eppure hanno realizzato dei veri e propri capolavori che sono ancora oggi apprezzati da tutto il mondo.

E’ quindi un problema culturale che va sviscerato e risolto attraverso l’incentivazione alla lettura, meglio ancora alla buona lettura.

Guardo con favore, ad esempio, alle iniziative di molte biblioteche statali o comunali dirette a promuovere l’educazione alla lettura. Tra queste:

  • quelle rivolte alle scolaresche per stimolare gli studenti  alla lettura;
  • le visite dedicate per illustrare il funzionamento delle biblioteche, con particolare riferimento agli strumenti offerti per la lettura, come il prestito bibliotecario, o di sviluppo delle nuove tecnologie per l’acquisizione di libri digitali (cc.dd. “e-book”), accompagnate dall'utilizzo più responsabile dei social network più diffusi;
  • gli incontri qualificati con autori locali e non, mirati non solo alla presentazione dei propri libri ma anche e soprattutto alla promozione della cultura quale leva portante per la crescita della società civile;
  • le campagne di promozione della lettura coinvolgendo in particolare gli adulti allo scopo di creare una sorta di “effetto emulativo” (spesso se i bambini leggono poco è perché fanno altrettanto i propri genitori).
Insomma prima ancora di scrivere, sarebbe meglio leggere. E chissà che la buona scrittura creativa non venga da sé …