TIZIANO NON SCAPPA PIÙ

Qualche anno fa fece scalpore quando dichiarò la propria omosessualità nel libro “Trent'anni e una chiacchierata con papà”. Ora Tiziano Ferro torna alla ribalta con il brano “Senza scappare mai più, singolo che anticipa l’uscita di una compilation che raccoglie i suoi maggiori successi con l’aggiunta di qualche inedito.

L’outing del cantautore di Latina avrà forse deluso molte delle sue ammiratrici che si sono viste scalzate dal ruolo di pretendenti di una (immaginaria) storia d’amore, ma è di sicuro un atto di coraggio per tirare fuori quell'identità troppo a lungo nascosta.

Ero fidanzato ma pensavo di essere attratto anche dai ragazzi …”, ha dichiarato qualche tempo fa l’autore di “Sere nere”. Gli "indizi" c'erano già in molti testi delle sue canzoni, fra tutte “Scivoli di nuovo” del 2008 in cui Ferro fa i “conti precisi per ricordare quanti sguardi hai evitato e quante le parole che non hai pronunciato per non rischiare di deludere …” Una sorta di preludio di quella confessione ufficiale che qualche anno dopo l’artista riporterà nel cennato libro autobiografico. 

Ma è solo con l’uscita dell’album “L’amore è una cosa semplice” del 2011 che Tiziano ha una presa di coscienza definitiva, pur sofferta e forse non ancora del tutto risolta : “Ho un segreto. Ognuno ne ha sempre uno dentro. Ognuno lo ha scelto o l’ha spento. Ognuno volendo e soffrendo …”. E ancora: “La differenza tra me e te … uno dei due sa farsi male, l’altro meno. Però me e te è quasi una negazione …”. Reminiscenze pirandelliane di chi è costretto a portare una maschera per apparire quello che non è (e non vuole essere).

Il mondo della musica ci racconta di tanti altri personaggi che hanno vissuto un travaglio simile, sia pure con effetti diversi dovuti al differente contesto socio-culturale. Umberto Bindi, ad esempio, autore di grandi successi, tra i quali “Il nostro concerto”, subì un vero e proprio attacco discriminatorio a causa della sua omosessualità evinta dall'anello che portava al dito durante il festival di Sanremo del 1961. Da quell'episodio la sua carriera artistica subì una forte battuta d’arresto che lo costrinse ad uscire dalle scene per oltre dieci anni prima di pubblicare un nuovo L.P.(il mitico 33 giri).

Altri artisti hanno invece preferito la strada della discrezione, come Lucio Dalla la cui vita privata è stata tenuta a debita distanza dai pettegolezzi e dalle dicerie che pur si mormoravano negli ambienti dello spettacolo. Fu solo dopo la sua scomparsa che si apprese della relazione con il collaboratore artistico Marco Alemanno, suscitando non poche polemiche soprattutto in occasione dell’apertura della successione. E qui ci sarebbe tanto da dire sul riconoscimento dei diritti civili delle coppie di fatto che il nostro ordinamento giuridico continua ad escludere.

Per fortuna i tempi stanno cambiando nonostante permangano forti resistenze da parte di una certa corrente ideologica che fa dell’orientamento sessuale un preconcetto ancora fortemente selettivo e discriminatorio.

Bene allora che Tiziano Ferro abbia deciso di non scappare più. Sono gli altri che devono farlo … dalle loro misere idee.

SENZA SCAPPARE MAI PIÙ
(T. Ferro)
Senza scappare mai più
Luce buona delle stelle
Dimmi adesso dove andrò
Se non lascio cosa faccio, dimmi se poi rifletterò
E vorrei, imparare ad imitarti
Far del male come sai
Ma non posso non riesco non ho equilibri miei
Sai sai sai sai sai che
Penserei ad ognuno
ma nessuno pensa a noi
perderei la mano a farmi male se lo vuoi
Smetterei di piangere
ai tuoi segnali e poi
forse potrei fingere ma poi non ci crederei io
Correrei a salvarti a dirti che così non può durare
Correrei a parlarti a consolarti niente più dolore
Correrei a fermare il tempo e insieme a lui le sue torture
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più
Vento buono dell'estate scalda in pace chi già sai
Fai che la mia rabbia invece si raffreddi casomai
sai sai sai sai sai che...
Penserei ad un male che non ci ferisca mai
Penserei a una scusa che non ti deluda ma
preferisco i fatti alle parole anche se poi
Anche se poi preferisco me a chi fa finta come noi io
Correrei a salvarti a dirti che così non può durare
Correrei a parlarti a consolarti niente più dolore
Correrei a fermare il tempo e insieme a lui le sue torture
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più
Dal punto in cui correvo
E stavi fermo tu
Ti persi ma non scapperò mai più
Non scapperò mai più io
Non scapperò mai...
Correrei a salvarti a dirti che così non può durare
Correrei a parlarti a consolarti niente più dolore
Correrei a fermare il tempo e insieme a lui le sue torture
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più


LE VOCI DI DENTRO

Per commemorare i trent'anni dalla scomparsa del grande Eduardo De Filippo, la RAI ha trasmesso recentemente “Le voci di dentro”, con Toni Servillo regista e interprete del personaggio principale Alberto Saporito. A parte i paragoni ( tutti irriverenti) con l’immenso e inimitabile drammaturgo napoletano, l’opera è una delle più riuscite sotto il profilo dell’impegno sociale di Eduardo di portare sul palcoscenico l’analisi minuziosa dell’agire umano traendola fedelmente da quanto succede nella realtà.

Una trasposizione che il grande Maestro della nostra cultura volge a profitto con un’operazione chirurgica tesa a fotografare le caratterizzazioni tipiche dei comportamenti individuali rispetto ad eventi della vita comune, tali da suscitare nello spettatore una deduzione logica del tutto spontanea rispetto alla propria (o indiretta) esperienza.

Spesso ci serviamo delle fotografie per ricordare momenti più o meno indimenticabili del nostro passato, quasi a volerli immortalare per evitare vuoti di memoria. Nell'opera di Eduardo, come in tutte le sue commedie, è la vita stessa che si eleva a ricordo e a rappresentazione visiva di ciò che siamo senza che lo scorrere del tempo possa mai cancellare.

La commedia, scritta nel 1948, e riproposta in diverse rappresentazioni teatrali e televisive (di cui si ricorda la messa in onda del 1978 con una magistrale Pupella Maggio fra gli interpreti), è un ritratto fedele della nostra coscienza nella sua massima rappresentazione simbolica rispetto ad eventi più o meno accaduti. E poco importa se il protagonista Alberto Saporito abbia creduto nel sogno che un certo delitto sia stato commesso dai vicini di casa. Qui sono i comportamenti interiori ad essere reali ed inconfutabili, a dispetto delle prove giudiziarie che la magistratura dimostrerà essere del tutto inconsistenti.

Si può essere assassini senza aver commesso delitto alcuno, perché nelle voci di dentro è il simbolismo ad agire e a far tirare fuori dai protagonisti della storia la loro vera indole. Ne è una riprova l’atteggiamento dei vicini che vedendosi accusati di aver ucciso Aniello Amitrano, amico di Saporito, faranno di tutto per scagionarsi accusandosi a vicenda, progettando persino l’assassinio dello stesso protagonista pur di liberarsi dell’onta di un omicidio mai (realmente) commesso.

Pregevole il j’accuse di Saporito nel finale della commedia:

Mo' volete sapere perché siete assassini? E che v' 'o dico a ffa'? Che parlo a ffa'? Chisto, mo', è 'o fatto 'e zi' Nicola... Parlo inutilmente? In mezzo a voi, forse, ci sono anch'io, e non me ne rendo conto. Avete sospettato l'uno dell'altro: 'o marito d' 'a mugliera, 'a mugliera d' 'o marito... 'a zia d' 'o nipote... 'a sora d' 'o frate... Io vi ho accusati e non vi siete ribellati, eppure eravate innocenti tutti quanti... Lo avete creduto possibile. Un assassinio lo avete messo nelle cose normali di tutti i giorni... il delitto lo avete messo nel bilancio di famiglia! La stima, don Pasqua', la stima reciproca che ci mette a posto con la nostra coscienza, che ci appacia con noi stessi, l'abbiamo uccisa... E vi sembra un assassinio da niente? Senza la stima si può arrivare al delitto. E ci stavamo arrivando ..

E’ la perdita della stima il vero delitto commesso. Una componente della vita interiore che nessun ordinamento giuridico considera ma che ne “Le voci di dentro” assurge a macchia indelebile della nostra coscienza, come una delle più tangibili e implacabili condanne.


O SI DOMINA O SI E’ DOMINATI

Così parlò Dario Bernazza, autore di questo bellissimo saggio del 1979 che gli valse il prestigioso Premio Bancarella e una tiratura di oltre mezzo milione di copie. L’opera non lascia scampo ad una terza possibilità, perché la centralità dell’individuo risucchia qualsiasi tentativo di far dipendere la responsabilità delle proprie azioni dalle influenze e contaminazioni esterne.

Ciascuno è arbitro del proprio destino, nel bene e nel male, perché in ciascuno agisce il gene dell’intelligenza che predomina sugli eventi fino a condizionarli e ad orientarli, come il suo esatto contrario rappresentato dall'accettazione passiva di scelte e comportamenti compiuti da altri in luogo del nostro mancato agire.

Sono due facce della stessa medaglia che l’autore riesce a descrivere con acume linguistico ed eziologico, frutto di una riflessione profonda delle innumerevoli possibilità che albergano la nostra capacità intellettiva (e introspettiva), che rischiano tuttavia di rimanere inattuate se lasciate in pasto ai virus della disattenzione, dell’assenza assoluta di essere artefici e governatori della propria vita.

I termini “dominatore” o “dominato” e altri simonini usati da Bernazza non devono essere letti nella loro comune accezione di “prevaricatore” o “prevaricato”, come se ci trovasse di fronte ad uno scenario bellico fatto di soprusi o di aberranti egemonie. E’ la qualità della relazione con il proprio Io che assume rilevanza, ponendosi come base focale e decisiva per la crescita dell’individuo e quindi della società civile nel suo insieme.

L’autore dimostra “quanto sia interessante, dignitosa, intelligente, varia e ricca la vita del dominatore, e, per converso, quanto sia opaca, tribolata e insignificante la vita del dominato.”
Non esistono problemi del vivere “irrisolvibili” e “nessuno è innocente del proprio insuccesso”. 

PROMO: Questo è il Libro dell'Individuo, ossia è il libro del valore, della dignità e dell’affermazione dell’individuo «elevati alla massima potenza».

È il libro di chi vuol vivere da protagonista e non da semplice comparsa, cioè da dominato; di chi vuol essere «il vero artefice» della propria esistenza; di chi «non sopporta di non conseguire il successo»; di chi è convinto che «meno si è individui, meno si vive».

È il libro di chi merita di affermare:

«IO – ED IO SOLTANTO – SONO IL VERO SIGNORE DI ME STESSO».

L’AUTORE: Dario Bernazza è nato nel 1920 a Priverno, in provincia di Latina. La pubblicazione delle sue opere è però iniziata molto tardi. Il primo saggio, intitolato “La migliore maniera di vivere” fu pubblicato soltanto nel 1978, nel pieno della sua maturità. Tra i suoi scritti si segnalano “La soluzione del problema vita”, del 1982, e l’ultimo “Vivere alla massima espressione”, del 1989. Morirà sei anni più tardi, a Roma, all'età di 75 anni.

GIUDIZIO: Quando lessi questo libro avevo poco più di vent’anni ed ero nel pieno delle mie turbolenze giovanili. Non ero molto convinto del pensiero dell’autore. Ora, a distanza di molti anni, posso dire tranquillamente che l’opera di Bernazza mi ha aiutato a vincere molte delle mie battaglie interiori. Da leggere e da consigliare a chi ha voglia di prendersi cura di se stesso.

(DARIO BERNAZZA, "O SI DOMINA O SI E' DOMINATI", 1979)

L’amore platonico

Platone, grande filosofo greco vissuto tra il 428 e il 348 a.c. sosteneva l’alto valore spirituale dell’amore per il quale la congiunzione carnale, pur ammessa, non era tuttavia necessaria. Cresciuto sotto l’influenza di Socrate, suo Maestro e Mentore, Platone prediligeva i dialoghi alle dissertazioni scritte, poiché riconosceva solo ai primi la capacità di stimolare, attraverso il confronto, il mondo delle relazioni interiori.

Platone parla dell’amore principalmente nel Simposio, uno dei suoi dialoghi più significativi ( ma meno divulgato dall'insegnamento scolastico) nel quale i convenuti, guidati da un moderatore, esprimevano la propria concezione sull’Eros: una sorta di “Porta a Porta” o del “Maurizio Costanzo show” dei tempi antichi.

Fra gli oratori c’era Socrate, per il quale l’amore altro non è che il desiderio di qualcosa, “e siccome si desidera solo ciò che non si possiede, evidentemente non possiede questo qualcosa”. Come dire che quando si ottiene ciò che si desidera, l’amore smette di essere tale e diventa un qualsiasi bene di consumo. Per Fedro “l’amante è più divino dell’amato” poiché si pone rispetto a quest’ultimo in posizione di superiorità. In altre parole, nel Simposio prevale l’idea dell’amore che sublima la bellezza dell’interiorità a dispetto dell’attrazione dei sensi: non appena declina nella copulazione perde tutta la sua connotazione spirituale.

“Amor, ch'a nullo amato amar perdona”, recitava Francesca da Rimini nell'inferno dantesco per giustificare la sua relazione con Paolo, fratello del marito: se il loro amore si fosse fermato alla contemplazione dello spirito, secondo la concezione platonica, il loro destino avrebbe avuto ben altro esito. E diverso sarebbe stato il fato di Gertrude ne “I Promessi sposi”, se la “sventurata” non avesse risposto alle avances del perfido Egidio.

L’amore platonico concepito dagli antichi non miete vittime perché si eleva ad esaltazione dello spirito, perché  rifugge dal desiderio materiale e si proietta nella ricerca e valorizzazione dell’anima. 

La quotidianità, si sa, uccide l’amore se non lo trasforma in affetto, mutuo sostegno e tolleranza. Ma questa trasformazione è, per l’appunto, qualcosa di diverso dall'amore perché lo spoglia di quella idealità della purezza che, come tale, deve essere messa al riparo da qualsiasi contaminazione.

Bello l’amore platonico che non fa soffrire e trascende gli umani dispiaceri.