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Platone,
grande filosofo greco vissuto tra il 428 e il 348 a.c. sosteneva l’alto valore
spirituale dell’amore per il quale la congiunzione carnale, pur ammessa,
non era tuttavia necessaria. Cresciuto sotto l’influenza di Socrate, suo
Maestro e Mentore, Platone prediligeva i dialoghi alle
dissertazioni scritte, poiché riconosceva solo ai primi la capacità di
stimolare, attraverso il confronto, il mondo delle relazioni interiori.
Platone
parla dell’amore principalmente nel Simposio, uno dei suoi dialoghi più
significativi ( ma meno divulgato dall'insegnamento scolastico) nel quale i
convenuti, guidati da un moderatore, esprimevano la propria concezione sull’Eros:
una sorta di “Porta a Porta” o del “Maurizio Costanzo show” dei
tempi antichi.
Fra
gli oratori c’era Socrate, per il quale l’amore altro non è che il desiderio di
qualcosa, “e siccome si desidera solo ciò che non si possiede, evidentemente
non possiede questo qualcosa”. Come dire che quando si ottiene ciò che si
desidera, l’amore smette di essere tale e diventa un qualsiasi bene di consumo.
Per Fedro “l’amante è più divino dell’amato” poiché si pone
rispetto a quest’ultimo in posizione di superiorità. In altre parole, nel
Simposio prevale l’idea dell’amore che sublima la bellezza dell’interiorità a
dispetto dell’attrazione dei sensi: non appena declina nella copulazione perde
tutta la sua connotazione spirituale.
“Amor,
ch'a nullo amato amar perdona”, recitava Francesca da Rimini nell'inferno dantesco per giustificare la sua relazione con Paolo, fratello del
marito: se il loro amore si fosse fermato alla contemplazione dello spirito, secondo
la concezione platonica, il loro destino avrebbe avuto ben altro esito. E diverso
sarebbe stato il fato di Gertrude ne “I Promessi sposi”, se la “sventurata”
non avesse risposto alle avances del perfido Egidio.
L’amore platonico concepito dagli antichi non miete vittime perché si eleva ad esaltazione dello spirito, perché rifugge dal desiderio materiale e si proietta nella ricerca e valorizzazione dell’anima.
La quotidianità, si sa, uccide l’amore se non lo trasforma in affetto, mutuo sostegno e tolleranza. Ma questa trasformazione è, per l’appunto, qualcosa di diverso dall'amore perché lo spoglia di quella idealità della purezza che, come tale, deve essere messa al riparo da qualsiasi contaminazione.
Bello l’amore platonico che non fa soffrire e trascende gli umani dispiaceri.
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