ORGOGLIO E PREGIUDIZIO

Cosa stai leggendo?”, chiedo a mia figlia che ha per mano un libricino di quelli tascabili. “Orgoglio e Pregiudizio”. “Ti piace?”. Annuisce ed io capisco che le deve piacere parecchio.

E’ nato così lo spunto di leggere il celebre romanzo di Jane Austen, anche se confesso che durante la lettura mi stavo letteralmente perdendo nella miriade di personaggi che fanno parte dell’intreccio. Ad un certo punto è stato quasi spontaneo fare qualche accostamento con la più leggera ( e melensa) soap-opera dei nostri tempi, “Beautiful”.

Che Ridge, Brooke o Stephanie, siano personaggi sovrapponibili a Darcy, Elizabeth o alla signora Bennet, è un artificio letterario per spiegare la fitta intessitura delle vicende narrate nell'una e nell'altra produzione, con la differenza che all'epoca del romanzo della Austen l’unico modo per farlo conoscere era la lettura, mentre in “Beautiful” le fonti di ricezione della soap-opera più vista nel pianeta sono ovviamente ben altre e più sofisticate.

Per leggere “Orgoglio e Pregiudizio” consiglio di tenere sotto mano un prontuario di rapida consultazione sulle relazioni parentali: si parte dalle cinque figlie che la signora Bennet desidera maritare, tra le quali la protagonista Elizabeth, per passare a Charles Bingley, ricco signorotto della tenuta di Netherfield , il quale ha due sorelle, Caroline e Hurst, un amico, Darcy, che a sua volta ha una sorella minore, Georgiana, un amico d’infanzia, George Wickham, un cugino, il colonnello Fitzwilliam, e una zia, l’aristocratica e altezzosa Lady Catherine de Bourgh. A questo punto della storia ho dovuto prendermi qualcosa per il mal di testa ma mi è subito ritornato quando ho scoperto che Charlotte Lucas, amica di Elizabeth, accetta di maritarsi con William Collins, cugino dei Bennet, apparentati a loro volta con i coniugi Gardiner, rispettivamente fratello e cognata della signora Bennet.

Insomma un groviglio di relazioni al quale si saranno forse ispirati gli autori della fiction americana per narrare le gesta dei Forrester: qui il guazzabuglio, pur contorto, è reso più semplice dai comportamenti disinvolti di Brooke Logan, passata sotto le “lenzuola” di quasi tutti i membri della famiglia: padre, figlio, cognato, nipote e figliastro. Un esempio di assenza di qualsiasi orgoglio e pregiudizio o, se vogliamo, di come questi atteggiamenti abbiano ora un significato nettamente diverso rispetto al passato.

Si potrebbe dire che il romanzo della Austen e Beautiful siano in realtà due facce della stessa medaglia, l’una antitetica all'altra. L’orgoglio di Darcy che sulle prime si rifiuta di corteggiare Elizabeth in quanto socialmente inferiore, si contrappone al “liberismo” americano di Ridge (e consanguinei), che non ci pensa due volte a farsi sedurre dalla “popolanaBrooke favorendo la sua ascesa nella ricca azienda di famiglia. E il pregiudizio di Elizabeth verso Darcy, che poi farà dissolvere dopo aver scoperto i valori morali del giovane, si contrappone al lassismo di Brooke, spinta da sfrenata lussuria che non le permetterà di costruirsi una famiglia felice, stile “mulino bianco”.

So che il paragone è paradossale ma ho voluto apposta farne uso per spiegare quanto nella società moderna l’orgoglio e il pregiudizio siano distanti anni luce rispetto ai medesimi comportamenti che si tenevano all'epoca della Austen. E un termometro rivelatore di questo cambiamento è dato proprio dall'atteggiamento dell’opinione pubblica contemporanea che non si scandalizza più né delle vicende dei Forrester né di quelle del proprio vicino di casa, perché fiction e realtà sono ormai divenuti la stessa cosa.


CANTAMI UNA CANZONE

Cantami, o Diva, del Pelide Achille...”. Molti ricorderanno questi versi iniziali dell’Iliade, poema meraviglioso di Omero che tante volte ci ha fatto trepidare durante le lezioni scolastiche sulla letteratura epica. Per il cieco vate l’intercessione di una Musa era la chiave di volta per raccontare le gesta di Achille. Oggi con molto meno si riesce a creare componimenti di ogni tipo, dalla prosa alla poesia fino alle … canzonette.

A proposito di canzonette. Si dice che l’estate dovrebbe favorire, proprio come una Musa, l’ispirazione giusta per proporre brani musicali che facciano presa sicura sul pubblico. Non più tardi di un anno fa pubblicai il post “Quel motivetto che mi piace tanto” in cui lamentavo in maniera scherzosa (ma non troppo) la scarsa qualità delle canzoni “vacanziere”, delle quali si fa fatica a ricordare anche il titolo.

Sono passati dodici mesi ma di passi avanti, almeno dal mio punto di vista, non sono stati fatti. Persino autori collaudati come Tiziano Ferro o Eros Ramazzotti, sembrano aver perso per strada quell'ispirazione che li aveva guidati fino a poco tempo fa, proprio come la Musa di Omero, a sfornare successi memorabili come “Sere nere” o “Più bella cosa”. Adesso il cantautore di Latina ha lanciato “Lo Stadio”, canzone insipida e melensa con cui si sta esibendo nei maggiori stadi italiani calandosi dall'alto come una Mary Poppins dei tempi moderni. Ma il pubblico, pur caldo e numeroso, sembra andare in delirio più per i suoi successi passati che per quelli di oggi.

Non molto dissimile in fatto di bassa qualità è l’ultimo repertorio proposto dal suo collega romano “nato ai bordi di periferia”, quel Ramazzotti tornato alla ribalta con “Perfetto”, un album che invece presenta molti difetti, primo dei quali la centellinante orecchiabilità.

Consoliamoci, si fa per dire, con i miti del momento, come Stash, vincitore dell’ultima edizione di Amici. Il “David Bowie” italiano, con la sua band "The Kolors", sta spopolando i mari e i monti dello Stivale con la sua Everytime”, e c’è da scommettere che sarà proprio questa la canzone più gettonata dell’estate 2015.

In mezzo a cotanta scelta, mi è toccato realizzare, proprio come un anno fa, il “mio” CD delle vacanze ricorrendo ai successi del passato fra i quali …

… una canzone di Antonello Venditti, "Sotto il segno dei pesci", evocativa degli anni post-sessantottini, in cui la contestazione era in realtà semplicemente un sogno da inseguire;

… una canzone di Gianni Togni "Luna," che mi faceva guardare “il mondo da un oblò”;

… una canzone di Anna OxaTutti i brividi del mondo”, che al centesimo ascolto mi fa venire ancora la pelle d’oca.

So che i miei figlioli mi punzecchieranno e mi riempiranno di sorrisini ironici quando partiremo in macchina per le vacanze. Ma ho deciso di non demordere: dopo aver ascoltato i loro cantanti preferiti, mi godrò il mio momento per fischiettare quelle belle canzoni di una volta che ancora oggi mi fanno tanto emozionare.

E come un anno fa intonerò quelle note “ingiallite” dal tempo  e sorriderò divertito.

NON TI VEDO PIU’

Occhio non vede, cuore non duole. Quando finisce una storia la medicina più efficace è quella di darsela a gambe perché in amore, anche se è banale dirlo, vince sempre chi fugge.

C’è chi invece si ostina a tenere a galla un rapporto di coppia che fa acqua da tutte le parti, forse per spirito masochista, per pigrizia, per non procurare sofferenza all'altro, per i figli o in nome di una famiglia che si vuole per forza tenere unita ma che invece è solo un tassello del mondo delle apparenze.

In tutti questi casi uno degli effetti più negativi e deleteri è l’annullamento di se stessi, la rinuncia a vivere una vita diversa perché così è scritto in un destino che si ritiene ineluttabile o che addirittura si pensa di meritare: ecco il masochismo latente o evidente che non è mai spontaneo ma figlio del proprio “curriculum vitae” travagliato e difficile.

Ne “La prossima vita” scrivo: “Si sa che il matrimonio è un’istituzione basata su determinati valori, come la fedeltà, la comprensione, il reciproco aiuto e la famiglia, che richiedono comportamenti non individualizzati ma protesi verso un bene comune accettato e condiviso. Invece tra me e Cinzia si stava verificando esattamente il contrario: le azioni e le aspirazioni dell’uno non trovavano più corrispondenza nelle azioni e nelle aspirazioni dell’altro. E così il matrimonio considerato come un contratto in cui ciascuno si impegna a concedere quello che è disposto a dare e a ricevere, veniva, nel nostro caso, ampiamente disatteso.

Ecco il fulcro del problema: Quando una coppia non cresce più allo stesso modo, alla fine … scoppia! Ci sono delle componenti che mascherano certi indizi che appaiono fin dall'inizio della conoscenza e che nel senno di poi si rivelano confermativi dell’esito finale. Una di queste componenti è l’ondata di sesso emozionale che sembra travolgere i protagonisti della storia: la c.d. attrazione fisica che fa sommergere qualsiasi “ragionevole dubbio” sulla tenuta della relazione. In nome di questa attrazione quanti matrimoni o convivenze sono naufragati al … sorgere del sole!

Le cause della crisi dell’amore sono così tante che alla fine … si annullano a vicenda. Lo scrivono i poeti e i cantanti, come il mitico Riccardo Cocciante nella sua “Quando finisce un amore”, una delle canzoni più belle e toccanti del suo repertorio:

Eppure non c’è mai una ragione perché un amore debba finire …”.





IL MALE DI VIVERE

La vita è bella”, recitava Benigni nel film che gli è valso l’Oscar qualche anno fa. Ma nella realtà è davvero così? Se si guarda al ciclo di una giornata, c’è sempre l’alba dopo il tramonto, così come le quattro stagioni che si susseguono l’una all'altra nell'infinito divenire delle cose, perché l’inizio e la fine sono intervalli ambivalenti, tutto si ripete e si rinnova e niente finisce per sempre.

Basterebbe partire da queste semplici considerazioni per ricavare forza reattiva ai dispiaceri e alle sofferenze che si avvertono ogni giorno e che fanno più male del dolore fisico.

Eppure c’è sempre un bastardo pronto a rovinarti la “festa”, a colpirti quando stai per rialzarti e a intrufolarsi nella tua mente e nella tua anima fino a divenire “invisibile”. Quando pensi di averlo definitivamente allontanato da te, ti accorgi che è ancora molto presente, soprattutto quando devi fare delle scelte, e quella più importante è proprio la scelta di vivere.

Sta suscitando scalpore in questi giorni la vicenda di Laura, giovane belga di ventiquattro anni che ha chiesto ai medici l’eutanasia per porre fine alla sua depressione, male che per lei è divenuto incurabile. “La morte è percepita da me non come una scelta. Se potessi scegliere, vorrei una vita sopportabile, ma ho provato di tutto e non ha avuto successo”. In Belgio la legislazione consente ai medici di praticare l’eutanasia a richiesta del paziente quando non c’è più alcuna speranza di guarigione.

E’ una questione etica che s’interseca con quella medico-scientifica. L’atrocità del dolore mentale o interiore, quando diventa irreversibile, è posta sullo stesso piano del dolore fisico che accompagna i malati terminali ad una morte sicura, sicché per i pazienti dell’uno e dell’altro tipo di sofferenza la scelta suprema di “staccare la spina” assume pari valenza.

Il male di vivere pesa quanto le metastasi tumorali e forse ancor di più sotto il profilo delle contromisure: l’efficacia del trattamento farmacologico della depressione non è disgiunta dal successo della terapia psicologica ed affettiva per la quale è richiesta, giocoforza, l’adesione e la collaborazione del paziente.

E’ un male sociale sempre più dilagante che fonda le sue radici sulla cronica anaffettività, diretta o indotta dal mondo delle relazioni, dal contesto ambientale e dalla (mala) educazione familiare. Colpisce soprattutto i giovani, ma è una tendenza che si sta stratificando in maniera trasversale a prescindere dall'età e dall'estrazione sociale. Segno, forse, di una decadenza di valori sempre più vertiginosa.

E’ un male che nasce anche dall'insicurezza e dall'incapacità di reagire con spirito positivo e propositivo alle avversità, piccole o grandi che siano. Ricordo che un mio compagno di scuola aveva la mania di strappare oggetti di carta: pagine di libri, quaderni e persino manifesti affissi ai tabelloni delle vie. Un giorno gli chiesi perché mai avvertisse questo bisogno così bizzarro. E lui mi rispose: “Distruggo perché non so costruire.”

Le cause e i rimedi sono così svariati e incontrollabili che ho un sogno ricorrente: quello di trovarmi su un’isola di pace insieme alle vittime del dolore per accoglierle tutte in un lungo abbraccio. Ambiziosa e chimerica aspirazione di far sparire, come per incanto, ogni sofferenza senza avere più paura della notte.

Sarà un sogno impossibile ma dopo tutto, alla fine di un tramonto, c’è sempre un’altra alba da scoprire.

TI LASCIO UN PENSIERINO

A buon intenditor, poche parole”.  Il dono della sintesi sta tutto qui. Non amo i discorsi articolati, la circospezione delle parole che sembrano voler dire tutto ed invece non comunicano alcunché.  Se fosse possibile parlerei solo con lo sguardo. Non si dice, forse, che gli occhi sono lo specchio dell’anima?

Per fortuna ci sono gli aforismi, massime e pensieri di poche righe in cui si concentrano i significati più autentici dell’umana concezione. Amore, amicizia, società e costumi, l’agire dell’uomo in tutte le sue contraddizioni. Insomma, l’essenza della vita … in un attimo!

Gli antichi erano soliti esprimersi per aforismi, primo esempio di comunicazione del pensiero alla stregua degli spot pubblicitari dei tempi moderni. Due forme di messaggio diversissime tra loro sia nella struttura che nel contenuto, ma con un tratto comune rappresentato dalla semplificazione e immediatezza del concetto base cui s’ispirano senza usare troppi giri di parole.

Sono un appassionato di enigmistica e in particolare delle massime che si leggono a margine dei cruciverba. E’ pur sempre una forma di cultura, sia pure spicciola e sbrigativa, che mi aiuta a tenere in esercizio la mente sgomberandola di altri e più impegnativi pensieri.

Non a caso ho accettato di buon grado la proposta della redazione di “frasicelebri.it, sito che si occupa per l’appunto di aforismi, consentendo la pubblicazione su questo blog della frase del giorno.

Mi sono cimentato in questo particolare vezzo con alcuni personali pensierini che lascio volentieri alla lettura degli appassionati del genere.

Eccoli:

Un sorriso fa bene alla vista, ma tanti sorrisi possono accecare.

Niente di più bugiardo può essere uno specchio che non riflette l’anima di chi si guarda.

Non c’è peggior solitudine ch’esser soli con i propri sogni.

Sono le piccole cose che fanno grandi gli uomini.

Non lasciare che sia la parola a correre più velocemente del pensiero.

E’ più sopportabile la cattiveria di un nemico che la finta bontà di chi si professa tuo amico.

Le parole valgono meno delle azioni che compi.

Non arrabbiarti se gli altri non ti comprendono, può darsi che non ti sei spiegato bene.

Il segreto per vivere a lungo è non immischiarsi nelle faccende degli altri.

La passione è una fiamma che si spegne non appena il vento si alza un po’ di più.

A volte c’innamoriamo dell’impossibile e dal possibile facciamo di tutto per allontanarci.