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UNA VITA DIVERSA

L’ECO DEL SILENZIO

La scomparsa di Umberto Eco, grande saggista, scrittore e semiologo, lascia un vuoto nel mondo della cultura che difficilmente sarà colmato dalle generazioni presenti e future. Resta l’immortalità della sua scrittura, quella segnante e significativa, che è riuscita ad imbastire con le sole parole le rappresentazioni d’animo più icastiche e riflessive del nostro tempo.

Un tempo disordinato nella sequenza degli eventi perché il passato, come il presente, è stato raccontato dallo scrittore alessandrino in chiave ambivalente con la trasposizione dell’uno nell'altro, e viceversa, seguendo una logica di perenne contemporaneità.

Il suo romanzo di punta, Il nome della rosa, è l’esempio più calzante di quanto l’ambientazione storica di una narrazione sia solo occasionale o presa a prestito per attestare la sopravvivenza nel tempo di certe convinzioni o comportamenti. Sicché gli orrendi omicidi che si susseguono in un’abbazia dell’epoca medievale assurgono a mo’ di reazione simbolica verso quei tentativi di apertura della cultura che ancora oggi sono molto percettibili.

Il riso che suscita la lettura di una commedia, messo al bando dai fautori di una letteratura composta e conservativa, non è altro che l’allargamento delle maglie del sapere o, se vogliamo, della volontà di scardinare il potere che regola l’informazione in tutte le sue ampie derivazioni.

Non è forse quello che accade (o è accaduto) in epoche più recenti? Lo scandalo del Vaticano che ha sdoganato certi dogmi del potere temporale che hanno condizionato per secoli l’azione cattolica è solo uno degli esempi di distorsione dell’informazione. Come pure la scelta subdola e mirata di una parte dei mass media, asservita al potere politico, di propinare nel lettore certe idee in luogo di altre influenzando non poco l’agire sociale.

E non siamo più nel Medioevo ma ai primordi del Terzo Millennio!

Forse c’è qualcosa nelle ultime parole di Eco che allude proprio a questo: “Mi chiudo come un riccio”.

Non lo sapremo mai o forse sì se solo siamo disposti a comprendere e a percepire ciò che resta della sua testimonianza di acuto osservatore della fenomenologia sociale.

Qualcosa che risuona nell'aria dopo lo spirare del vento e che somiglia molto all’eco del silenzio.  


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