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Voglia
di visibilità, di sentirsi qualcuno in mezzo a tanta anonimia,
sembra essere questa la molla che ha fatto scattare una tendenza sociale
sicuramente innovativa e intrigante che ha stimolato non poco l’interesse di sociologi e psicologi,
veri o presunti, del nostro tempo.
Ma
qual è il prezzo da pagare e, soprattutto, l’effetto di cotanto protagonismo?
Chi
mi segue sa che ho trattato questo argomento in diversi articoli con
accenti quasi sempre negativi. Le
infinite strade comunicative rese possibili dalle tecnologie del momento,
se da un lato hanno accorciato, e di molto, certe distanze un tempo impensabili
e irraggiungibili, dall’altro hanno virtualizzato le relazioni
sociali creando più solitudine che appartenenza al contesto, più
esclusione che inclusione, in una parola, più emarginazione.
Certo,
se il progresso tecnologico venisse utilizzato a piccole dosi e con
sapiente oculatezza si potrebbero apprezzare anche gli aspetti positivi
come l’immediatezza e la facilità di reperire le informazioni, la
possibilità di entrare in contatto con un mondo dalle mille sfaccettature capace
di pungolare le curiosità più esplorative.
Ma,
come si dice, non è oro tutto quello che luccica. In primis l’autenticità
di chi è al centro delle nostre attenzioni mediali è messa a dura prova da
una realtà che latita nei sentimenti e nel coinvolgimento emotivo. Quanto più
le cose o le persone con cui entriamo in contatto quotidianamente ci disturbano
o, peggio, ci sono indifferenti, tanto più il rigurgito verso più comode
trasposizioni virtuali del nostro essere è dirompente.
E’
un po’ come stare continuamente in bilico tra la nostra incapacità di
relazionarci e la nostra fertilità ideologica
nel ricercare in ciò che non esiste -se non come fotografia o messaggio
virtuale- quello di cui siamo carenti: affetto e attenzione.
Dubbio
amletico del nostro tempo. Ecco
che allora il selfie, l’attesa di un commento o di un “mi piace”, tanto
agognati ed effimeri, assumono sostanza in un mondo reale che di
concreto ha ben poco.
E poco importa se il mio nome è nessuno quando per pochi istanti le luci di una ribalta immaginaria possono regalarci un brevissimo sorriso.
Perché, come cantava il grande Renato Zero, “è meglio fingersi acrobati che sentirsi dei nani …”
Commenti
Piacere io sono Nessuno nei miei giorni pesi tu non mi vedevi. Non ero nella lista degli attesi. Vengo da una generazione di disillusi. Dal video lesi, educati ad essere ambiziosi e poi scaricati a terra tipo pesi di zavorra da una mongolfiera, ma ora è la mia era, uscito dall'anonimato con la sensazione di un evaso da galera. Una prigione di ignoranza a cui un tribunale occulto mi diede l'ergastolo, ma io riscrissi il mio capitolo. Ed ora mi conosci.
RispondiEliminaIo sono Nessuno e rappresento tutti quei Nessuno che mi stanno intorno. Persi in una routine uguale giorno dopo giorno. Sconvolti sul limite estremo. Per tutti i Polifemo, che primo o poi ti accecheremo.
Fuori da qui c’è la vita vera
Se ho fortuna dura una vita intera
Tienimi fuori tu da ogni dipendenza
Tienimi anche lontano dalla violenza
La vita comincia adesso, siamo in partenza
Prepara le cose mentre faccio la benza
Ti ho scritto queste rime (non sono mie) per allacciarmi alla tua riflessione...la vita è fuori dal web...la vita vera...anche per quei "nessuno" che specialmente nei "telefonini" con le loro varie app si sentono qualcuno, come dici tu, solo per un like...la vita è fuori ragazzi...è fuori!
Ciao gentile lettore. Spero che le tue riflessioni scaturite dal post possano volgere nei migliori consigli e aspettative. Un caro saluto.
EliminaBello mi piace
RispondiEliminaGrazie Benedetta. Sono contento che il post ti sia piaciuto. Un caro saluto.
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