QUEL GIORNO MALEDETTO

La Natura è cieca e beffarda. Al di là delle speculazioni edilizie e le urbanizzazioni selvagge, il sisma resta una delle catastrofi più terribili e fatali per come si manifesta, improvviso e implacabile.
Miete vittime innocenti e inconsapevoli e per loro scende la notte più lunga e tragica che non vedrà più la luce.

Corsi e ricorsi storici, il terremoto si presenta con una puntualità ciclica colpendo con una casualità disarmante che ricorda, per certi versi, la roulette russa. Qualcuno si salva, altri sono dilaniati da quel proiettile letale che è l’epicentro, sibilo che si sprigiona dalle viscere della Terra in un punto qualsiasi seminando morte e devastazione.

Nel 1980 (era il 23 novembre) ho vissuto personalmente l’esperienza del terremoto che sommerse al suolo ampie zone dell’irpinia e del napoletano. Allora scrissi una canzone, “Quel giorno maledetto” che desidero dedicare a tutte le vittime di questa catastrofe e in particolare alle popolazioni dell’Italia centrale colpite dal sisma del 24 agosto e poi costrette a subire altre repliche, tra le quali le più dure del 26 e 30 ottobre. A tutte loro il mio abbraccio e viva solidarietà.


Tanta gente per la strada in quel giorno maledetto
chi gridava chi pregava chi restava senza tetto
senza luce nella nebbia nella pace del torpore
tante voci lamentose invocavano il Signore

Mamma no non mi lasciare io sto bene tu come stai?
La bambina sta al sicuro non avere più paura
E' successo tutto all'improvviso senza l'ombra di un sorriso
Dammi la mano amico caro non piangere ti porterò lontano

E' una storia da inventare
un altro mondo da costruire
non è forza questo morire
qui da soli

Ai confini di un altro cielo
seguirai il tuo sentiero
Non è amore non è dolore
questa è solo una canzone

Tanta pioggia dentro l'anima mentre scivola una lacrima
ho perduto tutto quanto non mi resta che questo pianto
E' il telefono che squilla non tremare stai tranquilla
Ciao sorriso di un istante non è successo niente di importante

Cielo azzurro cielo grande cielo immenso senza fine 
forse anche tu sapevi ma morire non volevi
Si restava lì a parlare a inventarsi e a raccontarsi
Io domani sarò più buono chiederò a tutti perdono

E' una storia da inventare
un altro mondo da costruire
non è forza questo morire
qui da soli

Ai confini di un altro cielo
seguirai il tuo sentiero
Non è amore non è dolore
questa è solo una canzone


(Il testo della canzone è tratto da "Le parole del mio tempo")

IL VENTO E LA POLVERE

Le strade si popolano di venditori ambulanti che mostrano in bella vista mazzi di crisantemi, gladioli e orchidee per omaggiare il rito della commemorazione dei defunti. L’odore dei lumini aleggia nell'aria e si fa più intenso non appena si varca la soglia del cimitero per imboccare vialetti dai percorsi soliti e definiti.

Entro compunto e silenzioso nel giardino dei ricordi mescolandomi fra i visitatori che come l’altro anno sembrano aver conservato lo stesso sguardo di malinconica riverenza, pronti anche stavolta a rendere gli onori ai propri cari secondo un vecchio copione tramandato dal tempo.

Vado da mia madre. Sulla lapide sono incise le parole della canzone che avevo scritto per lei:

Mia madre ha gli occhi bagnati da un’eternità
e gli anni che sono passati son pieni di semplicità
E chiacchiera con una vicina
La senti cantare canzoni di ieri in cucina …”

Accanto a me una signora rivolge al suo caro estinto una preghiera tenendo tra le mani un rosario.

Mi vengono in mente gli anni trascorsi a Napoli. Lì la commemorazione dei defunti è qualcosa che va al di là del suo significato religioso. E’ un rito partecipato, colorito e a tratti folcloristico. Si parte la mattina presto con tutta la famiglia al seguito come se si dovesse andare ad una festa. Ci si veste al meglio per presentarsi ai propri cari al massimo dell’eleganza; qualcuno si porta dietro seggiole pieghevoli per sedersi davanti alla lapide e persino panini e bibite da consumare ad una certa ora, perché il “giro” è lungo e ci vuole una giornata intera per far visita a chi non c’è più.

Fuori dal cimitero, poco lontano, si vedono bancarelle con tanti dolci, palloncini e bambini con la faccia tuffata nello zucchero filato. Come una festa che anticipa i sapori del Natale.

Penso che il legame che si ha con chi ti ha tanto amato non si spezzi mai. E questo giorno serve solo a rinvigorirlo, a farlo uscire per un momento dal tuo cuore per condividerlo con gli altri: “corrispondenza di amorosi sensi”, scriveva Ugo Foscolo nel suo capolavoro Dei Sepolcri.

E’ un rito che dovrebbe farci sentire tutti uguali nell’animo anche se dall’esterno non appare così: tombe spoglie di fiori che si contrappongono a sontuose cappelle di famiglia quasi a rimarcare certe differenze che si sono ostentate in vita.  Ma qui c’è Totò che c’insegna con la sua magistrale ‘A livella:

Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive: nuje simmo serie... appartenimmo â morte!". 
(“Queste pagliacciate le fanno solo i vivi. Noi siamo seri … apparteniamo alla morte!”).

Sono pensieri che mi rinfrancano. Esco dal “mio” giardino dei ricordi avvolgendomi nel cappotto. L’aria pungente è un anticipo dell’inverno che verrà. 

Ascolto il vento che solleva la polvere.
E mi sembra già di sentirla addosso.

IL VENTO E LA POLVERE

di

Vittoriano Borrelli

I fatti narrati corrispondono ad esperienze vissute dall'autore.

Per leggere il testo integrale diMia madre clicca qui

AMICI NON NE HO

Le canzonette ci raccontano spesso di storie dedicate agli amici, veri o presunti, che hanno segnato o segnano un momento importante della nostra vita. Si può dire che l’amicizia, ancor prima dell’amore, sia il sentimento più agognato e ricercato, tanto doloroso quanto meraviglioso per chi l'ha vissuto, provato e condiviso.

“E non ci sto più a guardare le stelle nel cielo
Io non credo più
che si vince soltanto col cuore
perché amici non ne ho”

Così cantava Loredana Bertè nel singolo che presentò a Sanremo nel 1994. Ci sono tante canzoni “ombra”, quelle che non luccicano e non salgono alla ribalta ma che sanno regalare ugualmente emozioni forti. “Amici non ne ho” è una di queste. La strofa è di una bellezza semplice e malinconica: il disincanto racchiuso in tre negazioni che si contrappongono, ciascuna, alla positività delle azioni e delle relazioni. La differenza è tutta negli eventi, negli incontri più o meno fortunati, nella predisposizione a dare e ricevere amicizia.

Storie come amici perduti
che cambiano strada se li saluti”

Di “Storie di tutti i giorni”, la canzone di Riccardo Fogli vincitrice del Sanremo 1982, è forse questa la strofa più significativa. Quanti di noi possono riconoscersi in chi ha creduto nelle persone che si sono rivelate sbagliate? I falsi amici sono sempre dietro l’angolo, i primi a scendere dal carro dei perdenti.

Non dico che dividerei una montagna
ma andrei a piedi certamente a Bologna
per un amico in più ....

Riccardo Cocciante lo gridava nel 1982 dopo aver inaugurato il sodalizio con Mogol che lo avrebbe portato a conquistare nuovi successi. La canzone segna uno spartiacque tra il Cocciante introverso e rabbioso di "Bella senz'anima" e quello più spigliato e propositivo che lo spingerà a fischiettare "in bicicletta" in compagnia della sua amata. Una trasformazione dovuta forse alla forza dell'amicizia attestata, non solo artisticamente, da "un nuovo amico".

"Si può essere amici per sempre
anche quando le donne non vogliono ..."

Qui l'amicizia sopravvive agli impeti delle relazioni sentimentali, più o meno effimere o durature. Ma accade di rado perché c'è bisogno di simbiosi, empatia e di assoluta comunanza di interessi e di aspettative. Quando tutto questo si combina si può essere davvero amici per sempre, come la hit lanciata dai "Pooh" nel 1996 e diventata uno dei loro cavalli di battaglia.

"E voglio raccontarti amico strano amico mio
di me che ho voglia adesso di ritrovare il mio cammino
Se vuoi ti posso offrire un giorno lungo senza fine "

Concludo con i versi della mia canzone "Un minuto da solo", storia di un'amicizia che si consuma nello spazio di un attimo.


Come un giorno lungo senza fine ...