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Le
strade si popolano di venditori ambulanti che mostrano in bella vista mazzi di
crisantemi, gladioli e orchidee per omaggiare il rito della commemorazione dei
defunti. L’odore dei lumini aleggia nell'aria e si fa più intenso
non appena si varca la soglia del cimitero per imboccare vialetti dai percorsi
soliti e definiti.
Entro
compunto e silenzioso nel giardino dei ricordi mescolandomi fra i
visitatori che come l’altro anno sembrano aver conservato lo stesso sguardo di malinconica
riverenza, pronti anche stavolta a rendere gli onori ai propri cari secondo un
vecchio copione tramandato dal tempo.
Vado
da mia madre. Sulla lapide sono incise le parole della canzone
che avevo scritto per lei:
“Mia
madre ha gli occhi bagnati da un’eternità
e
gli anni che sono passati son pieni di semplicità
E
chiacchiera con una vicina
La
senti cantare canzoni di ieri in cucina …”
Accanto
a me una signora rivolge al suo caro estinto una preghiera tenendo tra le mani
un rosario.
Mi
vengono in mente gli anni trascorsi a Napoli. Lì la commemorazione dei
defunti è qualcosa che va al di là del suo significato religioso. E’ un rito
partecipato, colorito e a tratti folcloristico. Si parte la mattina
presto con tutta la famiglia al seguito come se si dovesse andare ad una festa. Ci si veste al meglio per presentarsi ai propri cari al massimo
dell’eleganza; qualcuno si porta dietro seggiole pieghevoli per sedersi
davanti alla lapide e persino panini e bibite da consumare ad una certa
ora, perché il “giro” è lungo e ci vuole una giornata intera per
far visita a chi non c’è più.
Fuori
dal cimitero, poco lontano, si vedono bancarelle
con tanti dolci, palloncini e bambini con la faccia tuffata nello zucchero
filato. Come una festa che anticipa i sapori del Natale.
Penso
che il legame che si ha con chi ti ha tanto amato non si spezzi mai. E
questo giorno serve solo a rinvigorirlo, a farlo uscire per un momento dal tuo cuore
per condividerlo con gli altri: “corrispondenza di amorosi sensi”,
scriveva Ugo Foscolo nel suo capolavoro Dei Sepolcri.
E’
un rito che dovrebbe farci sentire tutti uguali nell’animo anche se
dall’esterno non appare così: tombe spoglie di fiori che si
contrappongono a sontuose cappelle di famiglia quasi a rimarcare certe
differenze che si sono ostentate in vita.
Ma qui c’è Totò che c’insegna con la sua magistrale ‘A livella:
“Sti
ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive: nuje simmo serie... appartenimmo â
morte!".
(“Queste
pagliacciate le fanno solo i vivi. Noi siamo seri … apparteniamo alla morte!”).
Sono
pensieri che mi rinfrancano. Esco dal “mio” giardino dei
ricordi avvolgendomi nel cappotto. L’aria pungente è un anticipo dell’inverno
che verrà.
Ascolto il vento che solleva la polvere.
E mi
sembra già di sentirla addosso.
IL VENTO E LA
POLVERE
di
Vittoriano
Borrelli
I fatti narrati
corrispondono ad esperienze vissute dall'autore.
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