UOMINI CHE NON CI SONO

Li cerchi e pensi di trovarli dietro l’angolo
con braccia forti e coraggiosi visi d’angelo
che fanno della propria vita quasi un simbolo
l’esempio da seguire come fosse un vincolo

E pensi che sian solo un po’ nascosti dentro noi
questi uomini che fuori non ci sono quasi mai
neanche se li vedi vicino e senza veli



Ma si va dove si va
 a cercare la vita nei bar
a ballare e a bere e chissà
che qualcosa non cambierà
E si sa dove si va
a inventarsi l’eternità

Ma si va dove si va
per le strade da soli in città
con la radio accesa e chissà
che qualcosa non cambierà
E si sa dove si va
senza essere uomini mai

Li vedi sui giornali che sorridono per te
con facce surreali e muscolosi più di te
che sembrano invitarti a fare tutto chissà che
con pochi soldi gratta e vinci un viaggio due per tre

E pensi che sian solo l’altra faccia dentro noi
questi uomini che fuori non ci sono quasi mai
neanche se li tocchi con mano sotto gli occhi

Ma si va dove si va
a cercare la vita nei bar
a giocare coi dadi e chissà
che il destino non cambierà
E si sa dove si va
a inventarsi la verità

Ma si va dove si va
a ballare e non smettere mai
con la radio accesa e chissà
che qualcosa non cambierà
E si va dove si va
senza essere uomini mai

PERCHE’ SANREMO E’ SANREMO

Il festival di Sanremo, si sa, è un’istituzione. Lo si può criticare in tutte le salse ma resta pur sempre la manifestazione canora più seguita dagli italiani. Insomma, Sanremo è Sanremo, e anche l’edizione 2017 ha fatto centro in termini di audience, di attenzione dei mass-media e di un numero sempre crescente di internauti.

Merito soprattutto di Conti, che quest’anno ha voluto al suo fianco una vera e propria star della televisione: quella Maria De Filippi che a furor di popolo si è giustamente guadagnata il titolo della più amata degli italiani. Sobria, professionale, subalterna e protagonista al tempo stesso, la De Filippi ha portato competenza e duttilità nella conduzione dello show mettendo d’accordo i giovani della schiera di Amici e un pubblico più posato e tradizionale.   

Canzonette e temi sociali del momento come il terremoto del centro Italia, i soccorsi eroici delle forze dell’ordine e delle associazioni di volontariato o le vicende di persone comuni, hanno costituito il giusto miscuglio per rendere accattivante e variegata la più importante kermesse televisiva.

Anche la scelta dei super-ospiti si è rivelata azzeccata: da Tiziano Ferro che ha aperto i battenti con un’interpretazione toccante di “Mi sono innamorato di te”, dedicata ai cinquant'anni dalla morte di Luigi Tenco, a Zucchero, che ha emozionato tutti nella serata finale riproponendo “Miserere”, duettato con l’indimenticabile Pavarotti.

Le canzoni sono state di buona qualità nei testi, qualcuna anche eccellente sul piano della melodia e dell’innovazione strumentale, anche se non mancano profili più bassi e anonimi.

Ma ecco, come di consueto, le mie pagelle:
                                                  
francesco gabbani: Occidentali’s karma. Vince a sorpresa il festival con un brano che fa presa in termini di ritmica e di presenza scenica colorita dalla performance di una scimmia vispa e ballerina. Il testo è pieno di riferimenti ironici sulla (pseudo) cultura occidentale. Voto 7,5

fiorella mannoiaChe sia benedetta. Favorita alla vigilia, si fa superare al traguardo dal collega meno noto. Esibizione magistrale anche se il testo della canzone rasenta un po’ l’ovvietà.  Voto 7

ermal metaVietato morire. Ottime le qualità vocali che ha saputo dimostrare soprattutto nella serata delle cover vincendo con il brano di Modugno “Amara terra mia”. Arriva terzo con una canzone orecchiabile che elenca i consigli della mamma su come superare le difficoltà della vita. Voto 7

michele bravi: Il diario degli errori. Forse il brano più innovativo sotto il profilo delle atmosfere e delle armonie musicali. La voce è di qualità. Voto 8.

paola turci: Fatti bella per te. Brano godibile per un ritorno alla grande dell’ex ragazza prodigio di “Bambini”, canzone che le valse il premio della critica nel Sanremo del 1989. Voto 7,5.

sergio silvestre:  Con te. Buona l’interpretazione ma la canzone non è degna delle qualità di questo gigante buono e sorridente. Voto 6.

fabrizio moro:  Portami via. L’unica che mi ha procurato un brivido nella schiena. Ed è tanto. Voto 9.

elodieTutta colpa mia. C’è l’impronta di Emma Marrone, una delle autrici, e si sente. Voce interessante e melodia accettabile. Voto 6,5.

bianca atzeiOra esisti solo tu. Per gli amanti del piano bar e delle cenette a lume di candela. Niente di più. Voto 6.

samuelVedrai. Canzone già sentita fra le solite che passano inosservate.  Voto 6.

michele zarrilloMani nelle mani. Gli anni si fanno sentire, come pure la nostalgia per le hit “Cinque giorni” e “La notte dei pensieri”. Ed è un cattivo indizio. Voto 5.

lodovica comello: Il cielo non mi basta. Insipida. Voto 5,5.

marco masiniSpostato di un secondo. Meglio spostarsi di qualche anno all’indietro per ricordare successi più meritevoli. Voto 6.

chiaraNessun posto è casa mia. Dice bene. L’uscita per andare a Sanremo con una canzone così così non è stata una buona idea. Voto 5.

alessio bernabeiNel mezzo di un applauso. Direi nel mezzo di un fiasco. Voto 4-.

clementinoRagazzi fuori. Solito rap ma il refrain è accettabile.  Voto 6.

albanoDi rose e di spine. Più spine che rose per la star di Cellino San Marco, che però si consola vincendo il premio come miglior arrangiamento. Voto 5-.

ronL’ottava meraviglia. Forse tra gli esclusi è il brano che ha demeritato di meno. La missione di devolvere i proventi ai malati della Sla è comunque lodevole. Voto 6,5.

gigi d’alessioLa prima stella. Se la prende con la giuria di qualità che lo ha fatto fuori, a suo dire, ingiustamente. Ma il brano non brilla. Voto 5,5.


giusy ferreriFa talmente male. Non so se per l’eliminazione o per aver portato un brano scadente. Diciamo per tutti e due. Voto 4-.

MORIRÒ VENERDI’ 17

Che gli italiani siano un popolo di superstiziosi è un dato ampiamente acclarato. Secondo un sondaggio del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), cui fa parte il celebre conduttore televisivo Piero Angela, siamo in fatto di scongiuri al terzo posto in Europa con il 58%, preceduti di un palmo dalla Repubblica Ceca (59%) e dalla primatista Lettonia (60%).

La superstizione, si sa, è tutto ciò che è irrazionale, non provato scientificamente ma che viene ritenuto credibile pur in assenza di qualsiasi correlazione tra i comportamenti e gli eventi prodotti.

E’ associata all'ignoranza, fortemente combattuta nell'era dell’Illuminismo, invisa da grandi scienziati come Albert Einstein che nel 1954, in una lettera indirizzata al filosofo di Princeton Eric Gutkind definì la fede in Dio una “superstizione infantile”.

Ma siamo davvero un popolo così ignorante?

Eppure vi sono tanti personaggi della cultura e dello spettacolo che ricorrono ai riti scaramantici più insoliti e stravaganti per tenere a bada tutto ciò che porta male. Franco Zeffirelli, ad esempio, evita completamente di pronunciare il nome di una persona che a suo dire porterebbe sfortuna. 

Dario Fo (premio nobel della letteratura nel 1997), scomparso qualche mese fa, debuttava solo al venerdì.

Maria Grazia Cucinotta ha ereditato dalla nonna tutte le buone pratiche per sconfiggere il malocchio, mentre la bella Alena Seredova racconta che i suoi connazionali della Repubblica Ceca sono soliti toccarsi i denti con la nocca dell’indice.

E che dire del grande Maestro Eduardo De Filippo che in un’intervista coniò la celebre frase “Essere superstiziosi è da ignorante, ma non esserlo porta male”.

Insomma la superstizione, pur inspiegabile e intangibile, colpisce in maniera trasversale tutte le categorie sociali e non sembra essere inversamente proporzionale al grado culturale di ciascuno di noi.

Forse più che della inadeguata conoscenza empirica, questa forma di credenza, molto popolare e socialmente stratificata, è figlia piuttosto dell’insicurezza e della necessità di far leva su determinate convenzioni o usanze popolari per meglio affrontare e migliorare la propria performance.

E’ un po’ come l’effetto placebo: non è vero ma ci credo.

Allora, che male fa aggiungere un posto a tavola se si è in tredici, cambiare strada se un gatto nero ci passa davanti  o spargere di sale l’uscio di casa dopo la visita di un latore di cattive notizie?

Anch'io ho fatto i debiti scongiuri nei modi più consueti e intuibili: una zingara mi ha detto che … morirò venerdì 17!

Fortuna che non ha precisato l’anno …

L’AMORE E’ PER SEMPRE

Non sono un sostenitore delle feste comandate, né tanto meno della ricorrenza di San Valentino che proprio in questi giorni sta imperversando la rete pubblicitaria con spot mielosi e di dubbia autenticità.

Penso che l’importanza di certi valori non vada confusa (e trasfusa) con gli slogan propagandistici, il cui fine è esclusivamente quello di abbagliare l’immaginario collettivo (già di per sé carente) con stereotipi scontati e minimalisti che tutt'al più servono solo a lambire le coscienze.

L’amore è la distanza più breve tra un uomo e una donna”. Avevo letto questa frase qualche tempo fa scartando uno di quei cioccolatini che si ricevono in occasioni simili. Mi ero perfettamente adeguato al contesto e non c’era bisogno di riflettere e di comprendere. Ero io il contesto, e il contesto era me.

Fantasticherie e voli pindarici tipici dell’età giovanile in cui qualsiasi trasporto emotivo sembra durare per sempre. Poi crescendo è il ricordo ad essere l’unica cosa che rimane anche quando l’emozione che lo ha germogliato non c’è più.

L’eternità è un’invenzione dei poeti, fatta apposta per sopravvivere al malessere esistenziale, il compromesso che si frappone tra la realtà e l’immaginazione: quanto più la prima si allontana dalle nostre aspirazioni, tanto più la seconda si avvicina alle nostre evasioni intellettuali. Un serbatoio che riempiamo di sogni e di speranze che ritornano a noi dopo essere stati respinti dalle mancate condivisioni.

Meglio tuffarsi nelle canzonette che in questi giorni si stanno ascoltando dal teatro Ariston di Sanremo e che qualcuno proverà a fischiettare in macchina prima di andare al lavoro e prima che il loro eco svanisca non appena si affronteranno i soliti problemi.

In fondo è bene non prendersi sul serio e non pensare troppo all'amore.

L’amore è un’altra cosa. E’ per sempre.

BELL’ANIMA

Non c’è un colore che possa rappresentarla o descriverla nel modo che desideriamo. L’anima è bella solo se siamo capaci di mostrarla libera dalle contaminazioni del nostro vivere, pura e semplice come gli occhi innocenti di un bambino che osservano, stupiti, le meraviglie di un improbabile orizzonte.

Le insidie della vita alterano il percorso che abbiamo tracciato con i sogni e le fantasie dell’infanzia. Deviazioni subdole e pericolose che a volte ci conducono in un punto senza ritorno, come una macchia nera nel mare che si propaga fino a farci allontanare dalla riva.

Le teorie sulla cattività in rapporto all'ambiente circostante si sono sviluppate a iosa negli ambiti scientifici, nei salotti letterari e persino nel mondo delle canzonette. “Perché l’uomo in gruppo è più cattivo, quando è solo ha più paura”, cantava Mia Martini nella bellissima e struggente “Gli uomini non cambiano”, a sottolineare che non si è mai buoni (o cattivi) fino in fondo.

La brutalità spesso germoglia negli incontri sbagliati, nell'indifferenza, nella distonia e disarmonia relazionale. Tutto decresce e fa seppellire quell'anima bella e gentile che si aveva al primo approccio con la vita.

Ed è difficile, arduo, improbo tirarla fuori quando mancano le carezze, l’amore paziente e generoso, la predisposizione alla comprensione e all'ascolto.

Forse nascono così i ragazzi fuori, figli di ieri o di un domani che si rigenera all'infinito e che racconta una storia già sentita, anche se a cambiare sono gli interpreti. Figli di un dio minore, si direbbe, per parafrasare l’omonimo film del 1986 con William Hurt e Marlee Matlin nei panni di una  ragazza sorda che si rifiuta di parlare per un dolore vissuto nell'infanzia.

Ma l’anima resta bella anche sopra un fatto brutto. Quando non la si vede è solo perché è stata sommersa dai detriti di un tempo maledetto, impetuoso e ingiusto. Basta scavare dentro per recuperarla e riportarla alla luce perché tutti possano ammirarla nel suo candore.

Come adesso che ti vedo e ti riconosco fra migliaia di volti che sono passati davanti a me da farmi dimenticare della tua esistenza, inquieta e silente.

Come adesso che mi viene da dirti con gli occhi lucidi e inteneriti:

Scusami se non ti ho amato abbastanza.”


IL DUBBIO

Da qualche giorno sono assalito dal dubbio di avere ammazzato qualcuno. Esattamente da trentasette ore e quarantacinque minuti, il tempo trascorso da quando mi sono recato al supermercato fino adesso che sono a letto a rimuginare su quello che è (o sarebbe) successo.

Ho passato una notte piena di ripetizioni: mi sono alzato e sono andato in cucina, ho aperto il frigo per cercare qualcosa da bere, sono ritornato a letto per poi rialzarmi e rifare le stesse cose. Niente. Non c’è stato modo per acquietarmi e spegnere la mia sete di risposte alle domande che in rapida successione hanno iniziato a pungolarmi come una spilla su tutto il corpo.

Ricordo perfettamente quello che ho fatto al supermercato, le cose che comprato, la spesa che ho prelevato dal carrello e che ho riposto con cura nel bagagliaio della mia macchina. Ho bene impressa ognuna delle azioni che ho compiuto prima di imboccare la strada del ritorno, come la chiave d’accensione con la quale ho fatto partire l’auto al primo colpo e la retromarcia che ho inserito per uscire dal parcheggio.

Poi un tonfo, qualcosa contro cui avrò urtato con la macchina e che mi ha fatto pensare ad una persona per le grida che si sono levate subito dopo l’impatto.

Non ricordo altro. Black-out completo, come se tutto si fosse fermato al momento in cui ho creduto di avere investito qualcuno. Un dubbio che mi ha accompagnato nelle ore a seguire e che ora mi sta lacerando come un rimorso acerbo e incalzante, benché inspiegabile e immotivato.

Provo a riordinare le idee, mentre mi giro e mi rigiro tra le coperte con il televisore acceso dal quale sento sciorinare le notizie di cronaca ma non quella (per me) più temuta. Dunque, mi dico, mi chiamo Mario Cravattini, ho trentacinque anni, funzionario di banca tutto casa e chiesa. Cosa avrò fatto di male da macchiarmi la coscienza per un delitto che, per giunta, dubito di aver commesso?

Chissà perché ma mi viene in mente la notte dell’Innominato de “I Promessi Sposi”. Come questo personaggio sono preso dal pentimento per qualcosa di cui dovrei vergognarmi e contro cui dovrei combattere con una conversione purificatrice di tutti i mali. Come l’Innominato ho ripercorso a ritroso tutte le fasi della mia vita, abbattuto gli argini dei più reconditi pensieri e ricordi che credevo di aver riposto per sempre in qualche cassetto sperduto della memoria.

Mi rivedo bambino colto in flagrante da mia madre nell'atto di compiere una marachella. Più del castigo che mi sarei aspettato, ho temuto d’imbattermi nel suo sguardo pieno di severità e privo della benché minima indulgenza per quella malefatta. Questo sguardo, così glaciale e sprezzante, mi ha accompagnato per tutta la vita facendomi precipitare nell'insicurezza e nella terribile certezza che non sarei mai stato felice.

Non avrei avuto nessuno da amare, e nessuno mi avrebbe mai amato. Neutralità che è stata la costante di tutto il mio percorso relegandomi nelle cose invisibili, che si dissolvono in fretta come una nuvola passeggera in un cielo terso e crepuscolare

Gli occhi mi si sono riempiti di lacrime ma ho sentito per la prima volta una calma interiore che mi ha fatto assopire lentamente mentre in sottofondo lo speaker della televisione ha annunciato la triste notizia:

“La redazione ci riferisce di un omicidio per futili motivi al parcheggio del supermercato di San Giovanni. Una macchina, uscendo in retromarcia dall'area di sosta, ha urtato contro il carrello della spesa trainato da un cliente. Ne è scaturita una violenta discussione con il conducente dell’auto che è stato raggiunto da due colpi di pistola. Trasportato d’urgenza all'ospedale, l’uomo è spirato pochi minuti fa.”



IL DUBBIO

Racconto breve 
di
Vittoriano Borrelli 


(I riferimenti a fatti o a personaggi della realtà sono puramente casuali)