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Scrivere
soltanto per se stessi non è mai appagante quanto il buon riscontro dei
lettori. Qualunque cosa si scriva si ha sempre bisogno di sapere se l’emozione
delle parole giunga a destinazione. Può essere banale ma sono le parole che
aggiungono sale e condimento alle relazioni, le fanno crescere o decrescere a
seconda della loro intensità, importanza e forza comunicativa.
Forse
per gli scrittori è un po’ diverso perché è la loro anima a parlare, a
manifestarsi in tutte le sue sfaccettature, a elevarsi (o a regredire) nello
spirito sicché la condivisione, il gradimento, la capacità o disponibilità a
recepire sono essenziali almeno quanto il messaggio che si vuole
trasmettere.
Vero
anche che i lettori reali o potenziali di uno scrittore rappresentano un
pubblico particolare, difficile da trovare nella vita quotidiana se non si
decide di frequentare circoli culturali, persone accomunate dallo stesso
interesse, insomma se non si percorrono canali ad hoc. Nella vita di
tutti i giorni uno scrittore o un poeta vengono spesso associati a gente con la
testa tra le nuvole, poco pratica e concreta da guardare con sospetto se non
addirittura da tenere alla larga.
Dalle
parti in cui sono nato (provincia di Napoli), chi è provvisto di vena poetica
viene spesso apostrofato con ‘O poeta, in senso chiaramente ironico come
a sottolineare di persona illusa, strana, avulsa dalla realtà. Forse è proprio
così: uno scrittore è un essere speciale, anomalo, fuori dal contesto in cui
vive, che ha bisogno di nutrirsi di parole ma nello stesso tempo di ricevere
conferma e accettazione da chi riesce a sentirle ed apprezzarle. Perché le
parole non sono mai di chi le scrive ma di chi le fa proprie nel cuore e nell'anima.
Innamorarsi
delle parole è un esercizio difficile, richiede impegno, disponibilità,
capacità di ascolto. Se ad esempio si recita una preghiera senza convinzione
quelle parole non giungeranno mai a colui al quale sono rivolte. Dal sacro al
profano il passo è breve: se si fa l’amore nel più totale mutismo tutto diventa
meccanico e ripetitivo. Ecco che allora certe paroline sussurrate nell'orecchio
possono fare miracoli, suscitare (o far resuscitare) emozioni forti ed
indicibili.
Pur
vero che la bellezza delle parole è tale solo se si riesce a vederla, se dalla
parte di chi le ascolta c’è interesse, attenzione, curiosità. Richiede quindi
qualità (intesa come particolarità) degli uditori e dei lettori. Nel mondo dei
social, ad esempio, c’è una caccia sfrenata alle parole: si cercano anche
quelle più banali per conquistare un mi piace, una condivisione,
un emoticon che ti rallegri anche solo per pochi minuti. Si dà
importanza alle parole per un’emozione che il più delle volte è solo effimera e
illusoria.
Ma non
tutte le parole riescono… con il buco. Ce ne sono tante, infinite, che volano
via quasi senza accorgersene e non procurano alcuna emozione. Così che fra le
tante è difficile trovare le tue, quelle che hai scritto con tanto pathos ed
entusiasmo e che diventano invisibili nell'ampio panorama di chi le sciorina
con rapidità e improprietà di linguaggio.
Il
protagonismo delle parole ormai imperversa dappertutto in maniera diffusa e capillare e la concorrenza è così agguerrita che ci si emoziona sempre di meno.
Così che le tue restano
solo… le parole del tuo (piccolo) tempo.
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