“L’ARGO” DI TRIONFO


L’85sima Notte degli Oscar ha fatto registrare la vittoria a sorpresa di “Argo” che si è aggiudicato l’ambìta statuetta contro ogni pronostico della vigilia.

Il film di Ben Affleck ha superato sul filo di lana, come un maratoneta delle migliori olimpiadi, il più gettonato “Lincoln” di Steven Spielberg, che si accontenta di un solo premio per il Miglior Attore Protagonista  consegnato a Daniel Day-Lewis.

La giovanissima Jennifer Lawrence, vince nella categoria “Migliore Attrice Protagonista” per il film “Il lato positivo”, a testimonianza del nuovo che avanza.

Tratto dall’omonimo libro di Tony Mendz e Matt Baglio, “Argo” racconta la liberazione degli ostaggi americani durante la rivoluzione iraniana del 1979. Come “Lincoln” è un film storico, ma la sua più recente datazione ha fatto breccia sul pubblico degli States che lo ha premiato, forse, anche per una maggiore dinamicità degli eventi narrati.

La manifestazione cinematografica più importante dell’anno si è aperta sulle note di “We saw your boobs” (in italiano “abbiamo visto le vostre tette”), eseguita dal conduttore Seth MacFarlane  che ha mostrato in chiave comica le immagini senza velo delle migliori attrici che hanno preso parte alla serata.

Come spesso accade in eventi simili, la spettacolarizzazione predomina sui contenuti e su quelli che dovrebbero essere i veri protagonisti della scena. L’esempio recente del festival di Sanremo 2013, dove i conduttori si sono accaparrati le luci della ribalta a tutto danno degli artisti e delle canzoni in gara, è di per sé significativo di quanto lo show e l’audience sovrastino le logiche che dovrebbero invece indirizzare il prodotto televisivo più nella sostanza che nella forma.

La notte degli oscar” non si sottrae a questo giudizio in cui la penuria delle idee e la scarsa qualità di quanto ci viene proposto è ormai una tendenza sempre più crescente.

E questo, purtroppo, è un altro film già visto.

SANREMO 2013: LE MIE PAGELLE


Cala il sipario sulla 63esima edizione del Festival di Sanremo ed è tempo di bilanci. Gli ascolti record hanno premiato la coppia “Fabio Fazio - Luciana Littizzetto, che hanno condotto la kermesse canora più importante dell’anno con professionalità, ironia e capacità di tenere incollati al televisore, in media, oltre 12 milioni di telespettatori. 

In questi tempi di austerity e di spending review è sicuramente un dato eccezionale, come sottolineato dallo stesso direttore di RAI 1, Giancarlo Leone, che ha parlato di “segno di discontinuità con i parametri di business del passato” nell'obiettivo di arrivare al pareggio tra le entrate e i costi della manifestazione.

La formula della doppia canzone dei concorrenti è certamente innovativa, ma andrebbe sviluppata meglio nei tempi della scelta. Le canzoni vanno ascoltate più di una volta prima di esprimere un giudizio più aderente al proprio gusto personale. In qualche caso la scelta di un brano anziché dell’altro, non è sembrata molto condivisa ed ha lasciato più di un rimpianto anche da parte degli stessi cantanti. Ma tutto è migliorabile.

La parola adesso passa alle vendite e agli ascolti post – Sanremo, perché si sa che per la musica, come nella vita, gli esami non finiscono mai.

Infine, ecco le mie pagelle sulle canzoni in gara con una precisazione: si tratta di giudizi esclusivamente personali, frutto della mia esperienza di musicista e paroliere, senza nulla offendere agli interpreti e ai loro beniamini.

Marco Mengoni (L’essenziale): L’X-Factor 2010 sbanca il Festival con un brano molto godibile e orecchiabile che conferma i pronostici della vigilia. Al primo ascolto è stato subito … colpo di fulmine! 
Voto 8.

Elio e le Storie Tese ( La canzone mononota): Si consolano con il premio Miglior arrangiamento e quello della critica (forse esagerato) dedicato a Mia Martini. La loro canzone esalta le qualità stilistiche della band ma non sembra bissare il successo ottenuto con “La terra dei cachi”. Voto 6,5.

I Modà (Se si potesse non morire): Brano ripetitivo del loro repertorio, che nulla aggiunge e nulla toglie. L’onda di “Viva i romantici”, album tuttora presente nelle superclassifiche, ha dato una grossa mano al loro terzo posto. Voto 6

Chiara (Galiazzo) (Il futuro che sarà): Mastodontica, da incutere timore anche al più imperterrito dei latin lover, la vincitrice della sesta edizione di X-Factor, sfodera una canzone che non eccelle ma che esalta le sue ottime qualità canore. Voto 7.

Malika Ayane (E se poi): Di bello ha la schiena tatuata e una gestualità che ricorda quella delle bambine alle prime recite scolastiche. Il brano sembra una reminiscenza del “già sentito”, ma è comunque orecchiabile. La voce gradevole di Malika merita un repertorio migliore. Voto 6,5.

Maria Nazionale (E’ colpa mia): E’ sicuramente “colpa sua” se è andata a Sanremo pensando di essere al Festival di Napoli. Personalmente mi piaceva l’altra canzone (“Quando non parlo”) di Enzo Gragnaniello, precipitosamente bocciata dalla giuria. Voto 5.

Simone Cristicchi (La prima volta che sono morto) Ha presentato un testo ironico, ben scritto e fedele al suo stile. Ma niente di più. Voto 6.

Almamegretta (Mamma non lo sa): Durante la loro esibizione ho temuto che l’audio del mio televisore non funzionasse bene. La voce del solista sembrava provenire dall'oltretomba  Non si è capita una sola parola, tranne il refrain “Mamma non lo sa” (e invece dovrebbe saperlo). Meglio che tornino nell'anonimato. Voto 4.

Marta sui Tubi (Vorrei): La formula delle due canzoni proposte dai cantanti è sicuramente innovativa, ma per loro ci sarebbe stato bisogno di … una terza. Voto 4.

Raphael Gualazzi (Sai, ci basta un sogno): Canzone accettabile per gli amanti del genere. Si notano l’ottima performance al pianoforte e una voce che forse tende troppo ad imitare (l’inimitabile) Pino Daniele. Voto 5.

Annalisa (Scintille): Fa “scintille” con una performance degna della scuola di Amici. Si consolerà con  le vendite e gli ascolti post - Sanremo. Voto 6.

Daniele Silvestri (A bocca chiusa): La sua esibizione ci ha fatto restare, come il titolo della canzone, “a bocca chiusa”. Nessun  commento da fare. Voto 5.

Simona Molinari (e Cincotti) (La felicità): Non è la felicità di Romina e Albano anche se il pezzo è di tutt'altro genere. Senza infamia e senza lode. Voto 5.

Max Gazzè (Sotto casa): La sua ballata evoca la nostalgia dei reduci della Siberia. Forse il coro dell’Armata rossa, che si è esibito nella prima serata con Toto Cutugno, era ancora presente dietro le quinte per intonare il refrain finale.  Non sarà indimenticabile. Voto 5.

RATZINGER, IL VUOTO CHE RESTA


L’annuncio shock di Papa Benedetto XVI delle proprie dimissioni da Pontefice con effetto dalle ore 20,00 del 28 febbraio p.v., ha destato scalpore e sgomento in ogni parte del mondo.

Papa Ratzinger, eletto nel 2005 come successore del compianto Papa Wojtyla, ha giustificato questa sua decisione, -che ha pochissimi precedenti nella storia ecclesiastica-, con l’avanzare dell’età che non gli permetterebbe di  proseguire l’Alta Missione nelle migliori condizioni fisiche.

Questo gesto di abdicazione, che ricorda quello di alcuni pontefici nell'era del potere temporale (l’ultimo caso di dimissioni risale ad oltre sette secoli fa ad opera di Celestino V), merita rispetto pur lasciando più di un dubbio per i tempi, i modi e l’inusualità della rinuncia.

A molti è sorto spontaneo il paragone con Papa Giovanni Paolo II che fino all'ultimo istante, nonostante le precarie condizioni di salute, volle portare a termine il suo pontificato perché, come confidò allo stesso Papa Ratzinger è “una responsabilità unica data dal Signore e che solo il Signore può ritirare".

E’ vero che la grandezza di Papa Wojtyla, che seppe unire le coscienze più contrapposte, raccogliere e avvicinare i giovani alla fede religiosa pur nel rispetto delle sue diverse manifestazioni, avrà rappresentato per il Papa dimissionario un’eredità di gran peso, non scevra di termini di confronto agli occhi e nel cuore dei fedeli di tutto il mondo.

Può anche darsi che il susseguirsi delle vicende sulla pedofilia di alcuni sacerdoti, e da ultimo sul “femminicidio “ denunciato del tutto impropriamente dal parroco di Lerici, hanno destato imbarazzo e disorientamento negli ambienti vaticani, tali da rendere più difficile e conflittuale il sentimento di appartenenza e di identificazione religiosa, già fortemente in crisi per le divampanti disgregazioni sociali.

Si aggiunga il recente scandalo del “Corvo”, ovvero l’indebita sottrazione di alcune carte del Papa ad opera del suo maggiordomo Paolo Gabriele, che avrà probabilmente inferto il colpo finale all'attuale Vescovo di Roma, inducendolo a prendere una decisione “storica” che può anche essere letta come inadeguatezza nell'affrontare le grandi questioni della Chiesa.

Lo stesso discorso di Papa Ratzinger sulle divisioni che deturpano la Chiesa, pronunciato in occasione dell’omelia del mercoledì delle ceneri, sembra fornire motivazioni più ampie di quelle ufficialmente esposte.

Sono dubbi e domande che forse non troveranno risposte, ma che si propagano come una voragine nel vuoto che resta…

SALLUSTI: LE PAROLE DEL SILENZIO


Le vicende giudiziarie che hanno colpito il direttore de “Il Giornale”, Alessandro Sallusti, sono state oggetto di vibranti discussioni e polemiche che hanno movimentato l’opinione pubblica, quasi tutta coesa nel ritenere inadeguate le attuali misure penali per il reato di diffamazione a mezzo stampa.

Sallusti è stato condannato a un anno e due mesi di reclusione dalla Suprema Corte di Cassazione, per omesso controllo su un articolo apparso sul quotidiano Libero che prendeva di mira la magistratura e di cui era, all'epoca dei fatti, direttore responsabile.

La notizia è poi risultata falsa, ma a nulla sono valse le scuse del quotidiano né l’ammissione della paternità dell’articolo da parte del parlamentare Renato Farina.

La pena è stata commutata in un’ammenda di c.a. quindicimila euro grazie all'intervento del Presidente della Repubblica  che nella nota accompagnatoria al decreto presidenziale del dicembre 2012 ha sottolineato la necessità di giungere a "norme più equilibrate" dei reati di diffamazione a mezzo stampa.

Ma vediamo cosa dicono le norme.

L’art. 595, comma 3, del codice penale, punisce il reato per diffamazione a mezzo stampa con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad euro 516 .”
Inoltre, secondo l’art. 185, c.2, del codice penale “Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili (c.c. 2047, 2049), debbono rispondere per il fatto di lui ”(Cost. 28; c.p. 190, 198; c.p.p. 83, 540)

La responsabilità dell’editore è sancita dall'art. 11 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 (legge sulla stampa) ai sensi del quale “per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore.” Quella del direttore (o del vice direttore responsabile), è invece regolata dall'art  57 c.p. per omesso controllo sul contenuto del periodico “necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati”  .

Come si legge dal dispositivo della sentenza della Cassazione (la n. 41249/2012 della V Sezione penale), la misura della pena detentiva, del tutto straordinaria per la diffamazione, trova fondamento nello specifico per la recidiva della condotta dell’imputato, colpevole di sette condanne pregresse di cui sei per il reato dell’art. 57 c.p., ovvero per omesso controllo.

Pur rispettando la sentenza dei giudici, sorprende l’ardore delle voci del dissenso per un impianto normativo giudicato anacronistico ma che per troppi anni, per convenienza od opportunità politica, nessuno mai, pur avendone la possibilità, ha voluto veramente riformarlo con atti concreti e tangibili.

In altri termini se l’indignazione per la vicenda di Sallusti si è elevata da più parti ( e da qualsiasi colore politico)  fino all'intervento del Capo dello Stato, non si comprende il comportamento di coloro che, ai proclami, non hanno fatto seguire azioni coerenti e incisive sul piano del cambiamento. Si può parlare di una sorta di responsabilità oggettiva del pensiero dei potenti per omessa reazione ad una azione socialmente ingiusta.

Sono le parole del silenzio, quelle che fanno più male!

KANW847PUYU6

PSY(CO): I MITI DI OGGI




Con Gangnam Style, il rapper sudcoreano Psy (vero nome Park Jae-sang) ha spopolato le classifiche dei dischi di tutto il mondo ottenendo il record di oltre un miliardo di visualizzazioni su YouTube.

Persino il suo clone, alias Gabriele Cirilli, con una imitazione pressoché perfetta nel programma di RAI 1 “Tale quale show”  si è visto cliccare il video di questa esibizione da quasi un milione di visitatori, dato infinitesimale ma che è pur sempre un risultato strepitoso.

E’ senza dubbio il fenomeno del momento che vanta il maggior numero di imitazioni in ogni parte del mondo. La sua ballata, orecchiabilissima e coinvolgente, è diventata una sorta di rito per tanta gente comune, giovane e non, che in diverse occasioni e nei luoghi più disparati è solita esibirsi al ritmo della hit dispensando sorrisi e buon umore.

La genialità di Psy, (pseudonimo che è il diminutivo di Psyco, in italiano “ malato di mente ) è stata quella di arrivare al successo attraverso YouTube, ovvero utilizzando la telematica in luogo dei tradizionali canali di promozione discografica, dopo una lunga gavetta durata oltre dieci anni. “Questo nome d’arte”, fa sapere l’artista, “l’ho scelto perché sono un ‘malato’ della musicaLe mie canzoni sono scritte con un linguaggio anticonvenzionale e per taluni anche osceno.”

E in effetti“Gangnam Style” racconta, con un testo trasgressivo e graffiante, gli eccessi delle abitudini di vita nel quartiere più esclusivo di Seul, dove l’artista ha vissuto per molti anni. Una presa in giro ai privilegiati dai quali Psy, pur provenendo da una famiglia benestante, ha voluto prendere le distanze intraprendendo una carriera  che gli è valsa la fama del ribelle e del contestatore.

Strategia che evidentemente ha funzionato, visto che l’artista sudcoreano è oggi il più ricercato e menzionato persino dai grandi esponenti della politica internazionale, primo fra tutti, Barack Obama, che dopo una sua esibizione ha voluto complimentarsi personalmente con lui.

Fa comunque riflettere l’avanzata dei “miti di oggi”, da perfetti sconosciuti a star e protagonisti del palcoscenico multimediale grazie a una tecnologia in continua espansione, capace di attirare l’attenzione in pochissimo tempo e soprattutto a basso costo.

Ma si sa che un conto è la popolarità, che può durare lo spazio di una dozzina di mesi, altra cosa è essere dei veri e propri miti che sopravvivono a qualsiasi epoca o generazione. In questo senso non c’è molta differenza tra le meteore di oggi e quelle di ieri: di diverso hanno soltanto il modo per arrivare al grande pubblico, oggi enormemente facilitato dalla tecnologia informatica.

Il problema è sempre la qualità di ciò che si propone, l’unica che può veramente superare qualsiasi barriera temporale ma che in questi tempi scarseggia.

E se il futuro è già nato, c’è una bellissima canzone di Renato Zero  che ci ricorda che “i miei miti sono andati via. Come un vento, come un’amnesia…”