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“Armandino,
facci sentire la poesia che hai imparato a scuola”. Sarà cominciata così
per qualcuno la passione per la scrittura in versi, quella declamata nei
Natali freddi e nevosi o nelle domeniche di Pasqua sotto lo sguardo attento e
orgoglioso dei propri cari.
L’animo
poetico si sarà sviluppato più tardi seguendo l’eco dei poeti che hanno
elevato la letteratura fino alla massima espressione della cultura, con parole ispirate
dalla comune assonanza di idee e di stati d’animo, di sensazioni interiori
altrimenti non percettibili con il solo linguaggio corporale.
Da
bambini s’imparavano le poesie “a campanella”, esercizio
mnemonico che doveva servire a sviluppare la capacità del “ricordo”
e dell’apprendimento in tutte le discipline scolastiche. Ma raramente si comprendeva il significato di
ciò che si studiava. A quell'età bastava l’immaginazione delle parole
per stimolare la fantasia primitiva e disordinata della prima infanzia.
“La
donzelletta vien dalla campagna
in
sul calar del sole,
col
suo fascio dell'erba; e reca in mano
un
mazzolin di rose e viole,
onde,
siccome suole, ornare ella si appresta
dimani,
al dí di festa, il petto e il crine.”
Quando
la mia prof. di lettere ci aveva fatto studiare questa celebre poesia di Leopardi,
si era soffermata particolarmente sull'intonazione poetica dei versi facendoci
ripetere svariate volte le strofe fino a quando il suono di ogni parola non
fosse quello più somigliante allo stato d’animo del grande poeta di Recanati.
Diceva che la poesia è prima di tutto “voce” da sentire attraverso
l’espressione fonetica dei versi fino ad ottenere una sorta di osmosi
tra l’asetticità delle parole scritte e la percezione uditiva generata dal loro
significato.
Proprio “Il
sabato del villaggio”, mi ha fatto capire l'importanza di ascoltare la “voce dei poeti”, richiamo del sentire che
soltanto la poesia è in grado di comunicare. “Corrispondenza di amorosi
sensi”, come Foscolo aveva scritto nella sua “Dei Sepolcri”
per suggellare il legame con i morti o come la poetica di Dante nella Divina
Commedia nella quale è proprio la voce l’elemento principe di tutta
l’opera:
“Lucevan
li occhi suoi più che la stella; e cominciommi a dir soave e
piana, con angelica voce, in sua favella …”(Canto in cui
Beatrice si rivolge a Virgilio per accompagnare Dante fino alle porte del
Paradiso).
Ma
la voce dei poeti è presente in ogni scritto, celebre e non, con il quale s’intende
comunicare un’emozione, un modo di essere e di vedere la vita attraverso la
rappresentazione interiore delle relazioni interpersonali.
Sta nella sensibilità di chi l’ascolta coglierne i significati e stabilire una connessione che annulli qualsiasi distanza tra noi e il libero veicolare dei sentimenti.
Perché è il ricordo di quelle parole a sopravvivere allo scorrere del tempo.
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