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“Avremmo
dovuto dire Poeti Assoluti per restare nella calma, ma oltre al fatto che la
calma poco si addice di questi tempi, il nostro titolo ha questo, che risponde
in modo adeguato al nostro odio e, ne siamo sicuri, a quello dei sopravvissuti
tra gli Onnipotenti in questione, per la volgarità dei lettori elitari - una
rude falange che ben ce lo rende.
Assoluti
per l'immaginazione, assoluti nell'espressione, assoluti come i Rey-Netos dei
migliori secoli. Ma maledetti…”.
Paul
Verlaine così scriveva nella sua opera più famosa, “I poeti maledetti”,
per indicare quella categoria di letterati che intendeva dissociarsi da un
sistema socio-culturale abietto e ipocrita. I loro scritti enunciavano messaggi
di protesta e di distacco che si riflettevano anche nei loro comportamenti e
stili di vita, spesso anarchici ed autodistruttivi.
Ricco
e corposo il filone dei Poeti maledetti: da Cecco Angiolieri a Charles
Baudelaire, da Guy de Maupassant ad Edgar Allan Poe,
autori di qualità assoluta che hanno segnato la storia della letteratura
mondiale.
Di
Baudelaire si ricorda la sua poesia più famosa, “L’albatro”, tratta da “I
fiori del male”:
Sovente,
per diletto, i marinai catturano degli albatri, grandi
uccelli
marini che seguono, indolenti compagni di viaggio, il
bastimento
scivolante sopra gli abissi amari.
Appena
li hanno deposti sulle tavole, questi re dell’azzurro, goffi
e
vergognosi, miseramente trascinano ai loro fianchi le grandi,
candide
ali, quasi fossero remi.
Come
è intrigato e incapace, questo viaggiatore alato! Lui, poco
addietro
così bello, com’è brutto e ridicolo! Qualcuno irrita il
suo
becco con una pipa mentre un altro, zoppicando, mima
l’infermo
che prima volava!
E
il poeta, che è avvezzo alle tempeste e ride dell’arciere, assomiglia
in
tutto al principe delle nubi: esiliato in terra, fra gli
scherni,
non può per le sue ali di gigante avanzare di un passo.
Geni
incompresi o gente disadattata ed ermetica? Le etichette e le classificazioni
appartengono spesso ai pregiudizi o all’incapacità di superare i limiti della
propria conoscenza. Creano barriere insormontabili e formazioni elitarie che
alimentano lo scontro sociale e generazionale.
Il
Poeta si fa veggente mediante una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di
tutti i sensi.
E’
Arthur Rimbaud a scrivere nella sua “Lettera del Veggente”,
progetto ambizioso che si proponeva di esplorare l’ignoto come evoluzione della
specie:
“Io
dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente
attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte
le forme d'amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in
sé tutti i veleni, per non serbarne che la quintessenza. Ineffabile tortura in
cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale
diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto,
– e il sommo Sapiente! – Poiché giunge all'ignoto! Avendo coltivato la sua
anima, già ricca, più di ogni altro! Egli giunge all'ignoto, e anche se,
sconvolto, dovesse finire per perdere l'intelligenza delle sue visioni, le
avrebbe pur sempre viste! ”
L’infinito
è un’invenzione dei poeti, l’ho già scritto qualche tempo fa. Le parole e
l’immaginazione sono il miglior viaggio per sentirsi assoluti ed esplorativi,
specie quando intorno c’è la pochezza del niente, delle cose che passano veloci
come le case e gli alberi dai finestrini di un treno.
All’ombra
dei poeti maledetti
germoglia
una storia di dolore e di miseria
Una
storia di cose non dette
di
ferite ancora aperte
che
nessuno saprà rimarginare.
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