TORNA DA ME

Il successo di un blog, come di un qualsiasi sito web, dipende non solo dal numero dei visitatori ma anche, se non soprattutto, da quella fascia di lettori che gli esperti classificano con il termine “returning visitors”, ovvero “visitatori che ritornano”.

E’ facile navigare tra un sito e l’altro alla ricerca di questa o quella notizia che possa interessarci. A volte lo facciamo svogliatamente e senza uno scopo preciso, un po’ come fare “zapping” con il telecomando del nostro televisore nella speranza di trovare il canale giusto o il programma che finalmente ci aggrada.

In questo via vai di frequentatori della rete sono quelli che ritornano in un determinato sito i più “papabili”, quelli che qualsiasi blogger o webmaster desidererebbe trattenere anche solo con la forza del pensiero perché restino dalle loro parti il più a lungo possibile.

Le strategie informatiche sono infinite. Ci sono ad esempio i cosiddetti SEO, Search Engine Optimization, ovvero quelle attività messe in atto per favorire la massima indicizzazione del sito nei motori di ricerca. Si usano codici (l’html, il più diffuso), parole chiavi (scegliendole tra quelle più ricorrenti) e altri stratagemmi per far sì che i contenuti del proprio sito ottengano il miglior posizionamento possibile nella rete ed essere così maggiormente visibili al vasto pubblico degli internauti. Una corsa, a volte, contro il tempo che somiglia un po’ a quella degli spermatozoi che s’inseguono e si spintonano per arrivare primi al traguardo.

Ma tutta questa “fatica” è niente se quello che scrivi non interessa. Certo, le tecnologie informatiche come quelle sopra illustrate aiutano non poco ad “orientare” il mouse verso il sito pubblicizzato, ma poi quello che conta sono i contenuti. In pochi minuti si può ottenere un numero anche significativo di visitatori ma quanti di questi sono veramente interessati?

Non v’è dubbio che un’altra “spia” sullo stato di “salute” di un sito web sia proprio il tempo di visualizzazione della pagina cliccata. Se dura pochi secondi state sicuri che è un automatismo dell’indicizzazione o, peggio, una bocciatura senz’appello.

Scrivere qualcosa d’interessante è quindi la parola d’ordine. Poi concorrono altri fattori, come  il momento più o meno propizio in cui la notizia viene catapultata nella rete, l’indagine (mista a sondaggio) sulle preferenze dei lettori ed una martellante e capziosa pubblicità.

Concludo, ed è proprio il caso di farlo, con il mio personale appello: caro lettore che sei passato da queste parti per caso o per giudizio, naviga pure per altri “lidi”. Ma se quello che hai letto ti ha incuriosito od emozionato, torna da me.

GLI AMICI SILENTI

Avrai carezze per parlare con i cani. E sarà sempre di domenica domani …”. Questi splendidi versi della hit di Claudio Baglioni, “Avrai”, sono entrati nei miei pensieri di gioventù e ancora oggi conservano tutta quella carica emozionale che mi aveva inondato al primo ascolto. L’espressione più sublime della voglia di comunicare e di ricevere calore e gioia come accade (o dovrebbe accadere) in un giorno di festa.

Sono i cani gli amici silenti, quelli che parlano con lo sguardo e dicono molto di più di ampollose parole, di frasi fatte e di circostanza cui siamo costretti ad ascoltare nel nostro mondo delle relazioni. In Natura tutto dovrebbe essere governato con equilibrio: i rapporti con l’ambiente, con gli animali e con gli uomini. Ma è un equilibrio precario, di vetro, pronto a frantumarsi non appena si registrano alterazioni più o meno significative in ciascuno di questi contesti.

Il disadattamento sociale non è cosa dei nostri giorni. C’è sempre stato fin dalla notte dei tempi ed è fortemente proporzionale alla qualità delle relazioni: quanto più queste sono reiettive delle differenze e dei diversi bisogni individuali, tanto più favoriscono l’isolamento e l’emarginazione.  

Eppure un insegnamento che “latita” nei programmi didattici quanto meno “ufficiali” è proprio l’amore per gli animali, e in particolare per i cani. Tanto si perde in termini di educazione ai buoni sentimenti.

Niente di più terapeutico può essere la compagnia di un amico a quattro zampe, vale molto di più di una seduta dallo psicologo (peraltro anche “salata”) o di interminabili esercizi ginnici per rassodare il corpo e presentarsi agli altri più sani e più belli ma con tante imperfezioni interiori.

Molto di più di una combriccola di amici che tanto parla e nulla dice, molto di più che stare su Facebook o su qualsiasi altro social network con gli amici “umanicolpevolmente silenti quando scrivi per comunicare qualcosa: un’emozione, uno stato d’animo, una richiesta di aiuto.

Avrò carezze per parlare con i cani. E non soltanto di domenica, domani…

SIGNORI, SI CHIUDE!

Per pochi giorni facciamo finta che i nostri problemi non ci siano più. Accantoniamoli in qualche angolo nascosto della nostra memoria e godiamoci queste vacanze agostane al mare, ai monti, o semplicemente in città ad ascoltare un tranquillo e conciliante silenzio.

Stacchiamo la spina, dunque. Eutanasia breve ma necessaria per ricaricare le pile e farci affrontare il futuro che ci aspetta con nuova energia e vitalità. Il famoso detto “vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo” è più che mai appropriato in un momento, come quello delle vacanze estive, in cui di tempo per riflettere ce n’è. E una riflessione sana aiuta quanto meno ad essere più saggi e meno impetuosi nelle risposte e nelle aspettative che ci attendiamo dagli altri e da noi stessi.

Andare (o essere) in vacanza è un diritto di tutti, costituzionalmente garantito. E poco importa se i modi di esercizio di questo piccolo o grande privilegio sono ampi e diversificati.

Le autostrade affollate di questi giorni sono un ottimo termometro rivelatore delle diverse abitudini o stili di vita degli italiani.

Sfrecciano bolidi o macchine di lusso a trecento all'ora: se gli incauti utilizzatori saranno graziati da una morte sicura, andranno a popolare le spiagge più chic della penisola o le baite di montagna d’elite.  

Ma ci sono anche utilitarie sovraccariche di bagagli con i viaggiatori che a malapena s’intravedono dai finestrini. Scendono dagli autogrill con tutta la truppa al seguito: mamma, papà e una fitta figliolanza che ci si chiede come si fa a viaggiare in spazi così ristretti. Li osservo e mi commuovo per loro. Il diritto di andare in vacanza è, almeno nei presupposti, indifferenziato e non c’è barriera sociale che possa comprimerlo.

Per questa famiglia italiana un po’ fracchiana ma autentica si prospettano spiagge libere (le mie preferite), panini imbottiti e bibite comprate a buon mercato, messe al fresco sulle sponde dei fiumi.

Si può essere felici anche così, con le piccole cose che poi sono quelle che contano di più.

E’arrivato il momento di abbassare la saracinesca. Signori, si chiude!

Non mi resta che augurare a tutti i lettori, BUONE VACANZE, ovunque voi siate. Con tutto l’affetto che posso.