L’ECO DEL SILENZIO

La scomparsa di Umberto Eco, grande saggista, scrittore e semiologo, lascia un vuoto nel mondo della cultura che difficilmente sarà colmato dalle generazioni presenti e future. Resta l’immortalità della sua scrittura, quella segnante e significativa, che è riuscita ad imbastire con le sole parole le rappresentazioni d’animo più icastiche e riflessive del nostro tempo.

Un tempo disordinato nella sequenza degli eventi perché il passato, come il presente, è stato raccontato dallo scrittore alessandrino in chiave ambivalente con la trasposizione dell’uno nell'altro, e viceversa, seguendo una logica di perenne contemporaneità.

Il suo romanzo di punta, Il nome della rosa, è l’esempio più calzante di quanto l’ambientazione storica di una narrazione sia solo occasionale o presa a prestito per attestare la sopravvivenza nel tempo di certe convinzioni o comportamenti. Sicché gli orrendi omicidi che si susseguono in un’abbazia dell’epoca medievale assurgono a mo’ di reazione simbolica verso quei tentativi di apertura della cultura che ancora oggi sono molto percettibili.

Il riso che suscita la lettura di una commedia, messo al bando dai fautori di una letteratura composta e conservativa, non è altro che l’allargamento delle maglie del sapere o, se vogliamo, della volontà di scardinare il potere che regola l’informazione in tutte le sue ampie derivazioni.

Non è forse quello che accade (o è accaduto) in epoche più recenti? Lo scandalo del Vaticano che ha sdoganato certi dogmi del potere temporale che hanno condizionato per secoli l’azione cattolica è solo uno degli esempi di distorsione dell’informazione. Come pure la scelta subdola e mirata di una parte dei mass media, asservita al potere politico, di propinare nel lettore certe idee in luogo di altre influenzando non poco l’agire sociale.

E non siamo più nel Medioevo ma ai primordi del Terzo Millennio!

Forse c’è qualcosa nelle ultime parole di Eco che allude proprio a questo: “Mi chiudo come un riccio”.

Non lo sapremo mai o forse sì se solo siamo disposti a comprendere e a percepire ciò che resta della sua testimonianza di acuto osservatore della fenomenologia sociale.

Qualcosa che risuona nell'aria dopo lo spirare del vento e che somiglia molto all’eco del silenzio.  


LE PAGELLE DI SANREMO 2016

Conti raddoppia e fa anche meglio del suo primo Sanremo. L’edizione 2016 ha fatto registrare una media di undici milioni di telespettatori, il dato migliore dell’ultimo decennio. E’ proprio il caso di dire che per il Carlo nazionale i conti tornano davvero al punto da fargli guadagnare la terza conferma per il prossimo festival.

L’ex dee-jay delle balere di Firenze ha offerto una conduzione dinamica, scorrevolissima e pienamente confacente ai ritmi di una kermesse “costituzionalmente” lunga ma capace di catturare ancora l’interesse e il gradimento di un bel nugolo di italiani.

Nell'edizione odierna Conti si è rivelato anche un’ottima spalla per esaltare la performance di una bravissima ed esilarante Virginia Raffaele, forse la vera vincitrice del festival, con le sue imitazioni indovinate e ben fatte.

Dalla Ferilli alla Fracci, dalla Versace alla Belen, l’erede della Goggi non ha affatto sfigurato ed è stata il fiore all'occhiello di una manifestazione nella quale non sono mancati i temi sociali della diversità e dei diritti civili delle coppie di fatto. Ma si sa che Sanremo è anche una vetrina che fotografa lo specchio dei nostri tempi, belli o brutti che siano.

Più defilate le conduzioni di Madalina Ghenea  e di Gabriel Garko, entrambi condannati a ruolo di comprimari, quasi omologhi nella loro insignificante presenza.

Le canzoni sono state nel complesso gradevoli e musicalmente migliori dell’anno precedente, ma perdono qualcosa nella qualità dei testi, decisamente non eccelsa, e nei messaggi in parte scontati e banali.

Ma ecco le mie pagelle:
                                                  
annalisa: Il diluvio universale. Annalisa non si discosta dal suo repertorio melodico ma il brano è insipido e non convince. Voto 5

arisaGuardando il cielo. Si presenta a Sanremo indossando la prima cosa che le capita. Sembra uscita da un cascinale dell’entroterra lucano ma la voce è bellissima. Il brano un po’ meno. Voto 6

alessio bernabeiNoi siamo infinito. Si prende la rivincita dopo la separazione dai Dear Jack accedendo direttamente alla finale a dispetto degli ex compagni che sono invece eliminati. Canzoncina così così. Voto 5,5

clementino: Quando sono lontano. Forse è il caso che ci resti. Solita canzone rap. Voto 4.

enrico ruggeri: Il primo amore non si scorda mai. Canzone orecchiabile e ben fatta che non rinnega lo stile rock del cantautore. Voto 7,5.

dolcenera:  Ora o mai più. Esecuzione impeccabile per gli amanti del blues. Voto 6.

dear jack:  Mezzo respiro. C’è voluto mezzo minuto per catalogarla fra le canzoni che si dimenticano in fretta. Voto 5.

elio e le storie teseVincere l’odio. Qualcuno l’ha paragonata alla più famosa (e decisamente migliore) “terra dei cachi”. Esagerati! Voto 6.

deborah iurato e giovanni caccamoVia da qui. Si piazzano al terzo posto ed è già tanto per questo duo che non è paragonabile ad altre "accoppiate" vincenti. Voto 6.

lorenzo fragolaInfinite volte. Sembra più vecchio dell’età che ha, forse per il look troppo serio e da uomo maturo. Una canzoncina che non resterà negli annali. Voto 5.

irene fornaciari: Blu . Si salva grazie al ripescaggio ma il brano non attrae. Voto 5,5.

francesca michielinNessun grado di separazione. Testo interessante e brano godibile. Voto 8.

neffaSogni e nostalgia. Poteva starci tra i finalisti. Voto 6,5.

noemiLa borsa di una donna. Forse il testo più bello ma pecca  nella melodia. Voto 6.

morgan e i bluvertigoSemplicemente. Possono consolarsi con la predizione cristiana “gli ultimi saranno i primi”. Attenti però alle eccezioni.  Voto 4.

rocco huntWake up. Farà la gioia degli amanti del rapVoto 6,5.

patty pravoCieli immensi. A guardarla fa impressione. L’ex “Bambola” sembra una “Barbie” che rischia di sgonfiarsi al primo tiepido sole. La canzone, pur con tante stonature, è comunque gradevole. Voto 7,5.

stadioUn giorno mi dirai. Al primo ascolto l’ho subito additata fra le possibili vincitrici. E’ così è stato. Voto 7.

valerio scanuFinalmente piove. Ma è una pioggia che non spazza via la nostalgia di “Per tutte le volte che ”, canzone vincitrice del Sanremo 2010 . Voto 5,5.

zero assolutoDi me e di te. Direi zero spaccato. Voto 5.



TI AMO

Ti amo
come la notte
come il mio giorno
come il silenzio
come un bambino
come i miei sogni
come il tuo respiro
come i tuoi occhi
azzurro grigio amore

Non ho scritto soltanto canzoni impegnate o di denuncia sociale. Sia ne “Le parole del mio tempo” che ne “L’aquila non ritorna” si possono trovare brani spiccatamente sentimentali dove si racconta l’amore con parole semplici e di facile presa. Insomma c’è anche una vena romantica in me, anche se non sempre sottolineata o mostrata con frequenza.

Forse è colpa del mio essere un po’ orso e riservato, costantemente in bilico tra il lasciarmi andare o il chiudermi a riccio per ripararmi da possibili sofferenze o delusioni. Io che ho vissuto all’ombra dei poeti maledetti mi sono concesso volentieri pause più distensive.

Ballata orecchiabilissima, da canticchiare sotto la doccia o “in tutti i luoghi e in tutti i laghi”, il testo di “Ti amo” è stato accostato con molta irriverenza alla celeberrima e inimitabile “Questo amore” di Jacques Prévert capolavoro della letteratura francese, tipico esempio dell’arte figurativa delle parole:

Questo amore
così violento
così fragile
così tenero
così disperato…

In questi giorni che ci accompagnano alla festa degli innamorati non è male scandire questo meraviglioso binomio troppo spesso dimenticato o usato con estrema leggerezza. Dirsi “Ti amo” è la cosa più bella che ci possa essere, soprattutto se a parlare è il nostro cuore, la nostra sensibilità d’animo elevata a disponibilità all'ascolto e condivisione dei buoni sentimenti.

Ti amo
e sono geloso dei tuoi silenzi
Ti amo
e sono l'uomo dei tuoi segreti
Tu sei tutto questo
sei un mare di dolcezze
Ti amo…

… a chi ha voglia di abbracciarsi, di stringersi e prendersi per mano senza lasciarsi più, anche se dovesse durare solo un attimo.

E anche per me, per innamorarmi ancora


SONO SOLO UN NUMERO

Digita il codice pin”. La cassiera del supermercato mi guarda trasognata aspettando con impazienza che esegua il comando sul pos. Vuoto assoluto. Non ricordo nulla. Sarà la data di nascita di mio figlio? Non ricordo neanche quella. Decido di pagare in contanti, prendo i sacchetti della spesa e corro a casa per recuperare tra le mie scartoffie il codice che ho dimenticato.

Metto sottosopra cassetti, libri e quaderni. Frugo nelle tasche di cappotti, giacche e pantaloni ma del codice nessuna traccia. Mi collego on-line con la mia banca per chiedere assistenza ma ho  dimenticato anche la password di accesso. Allora provo a recuperarla. Mi si chiede di rispondere almeno ad una delle seguenti domande: il cognome di mia madre, la mia squadra del cuore, la data del matrimonio. Niente da fare. Non ricordo nessuna di queste informazioni.

Amnesia dissociativa? Perdita temporanea della memoria? E’ il caso di andare dal mio medico di fiducia. Mi reco nel suo studio di via Mazzini, uno stabile in vetro scuro, di quelli imponenti, che sembra troneggiare in mezzo a tanti condomini uguali e indistinti.

La segretaria, asettica e pallida come il bianco dell’ampia sala d’ingresso, mi accoglie con una domanda inquietante:

Ce l’ha il numero?”
Il numero?”
Quello della prenotazione. E’ necessario per la visita. Adesso l’Asl ce lo chiede per l’inserimento nella banca dati on line.”
Non ho fatto la prenotazione. E’ una cosa urgente. ”

Volevo aggiungere “di vita o di morte”, ma per non so quale senso del pudore ho preferito stare sul generico. Insisto che il medico è un mio amico e mi riceverà senz’altro.

Mi dispiace. Niente numero, niente visita”.

Sono preso dallo scoramento, mi riverso sulla strada ma vedo solo numeri davanti a me. Le insegne dei negozi brillano di cifre colorate, come i lampioni e i platani in fila ai marciapiedi. Persino le persone girano con un numero stampato sul petto, vuoti e disorientati in mezzo a spazi liberi e indefiniti.

Inizio a correre all’impazzata ma nella fretta perdo gli occhiali. Dove saranno finiti? D’un tratto sento qualcuno gridare alle mie spalle: “Amico!

Mi giro e mi trovo davanti un omone grosso e trasandato. Sembra un clochard con barba lunga e un berretto bucherellato come i fori di un colapasta. Mi porge gli occhiali che ho perso e aggiunge:

Non ti ricordi di me? Ieri mi hai offerto un panino e dieci euro. Ti ho riconosciuto subito. Grazie amico.”

Mi stringe la mano e se ne va zoppicando in mezzo alla folla. Resto senza parole. Guardo la mia mano e mi accorgo di avere sul palmo un pezzo di carta. C’è scritto qualcosa: “24. Giocatelo, ti porterà fortuna.”

Riprendo a camminare e sorrido tra me.


SONO SOLO UN NUMERO

(Racconto breve di Vittoriano Borrelli)