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Capita
di svegliarsi e non riconoscere più la persona che ci sta accanto. Con Emilia,
mia moglie, è stato proprio così. Una mattina l’ho vista entrare in camera da
letto con la colazione sul vassoio e un sorriso cordiale che l’ho scambiata per
la donna di servizio.
“Grazie,
l’appoggi pure lì”, ho esordito indicando con gli occhi il comodino alla mia
destra.
“Che
hai Luciano? Mi dai del lei adesso?”
“Sa
bene che con le cameriere preferisco mantenere le distanze.”
“Ed
io sarei una cameriera? Ma sei impazzito?”
“Perché?
Chi sarebbe lei?”
“Come
chi sarei? Sono Emilia, tua moglie.”
Così
facendo ha appoggiato il vassoio sul comodino, ha preso un cuscino e me l’ha
tirato in faccia. Non ho avuto alcuna reazione e ho mantenuto lo stesso sguardo
serio e glaciale con cui l’avevo vista piombare nella stanza. A quel punto
Emilia ha cominciato a preoccuparsi.
“Luciano,
stai bene? Se questo è uno scherzo ti avverto che è di cattivo gusto.”
“Sto
bene e non sto scherzando. Non conosco nessuna Emilia e lei, Rosina, non
dovrebbe prendersi queste confidenze.”
Si è
avvicinata a me e mi ha messo una mano sulla fronte per controllare se avessi
la febbre o stessi delirando. Anche questa volta sono stato freddo e
impassibile. L’ho vista fare un passo indietro con la bocca semiaperta come a
voler lanciare un urlo che non è partito.
“Ma
allora davvero non ti ricordi di me?”
“Cosa
dovrei ricordare?”
“Te
l’ho già detto. Sono tua moglie, siamo sposati da tre anni e ci amiamo molto.”
“Io
invece conosco solo una Rosina che fa la cameriera, che poi sarebbe lei.”
“Ancora
con questa storia della cameriera! Non ne abbiamo mai avuta una. E poi non ce lo
possiamo nemmeno permettere.”
Emilia
si è seduta accanto a me e ha preso ad accarezzarmi, prima il viso tastando la
barba ruvida e incolta e poi più giù lambendo la camicia del pigiama fino
all'apertura dei pantaloni. Sono rimasto immobile e silente mentre osservavo l’ispezione
che la mia compagna stava eseguendo con fare chirurgico, quasi a voler
stimolare uno strano esemplare che non dava più segni di vita. L’ho vista
piangere e mi è sembrato di sentire le sue lacrime inondarmi il corpo inerme
come fa una sorgente su specchi d’acqua lacustri che non si spostano dalle
proprie sponde.
Amnesia
anterograda, questa la diagnosi che lo strizzacervelli incaricato da mia moglie ha sentenziato qualche giorno dopo nel suo studio. Una sorta di
black-out per cui da un certo punto in
avanti avrei smesso di ricordare, di immagazzinare luoghi e conoscenze un tempo
a me familiari. Per me si è trattato della morte più atroce pur rimanendo in
vita con le mie funzioni organiche che, tuttavia, hanno cessato di
interagire con tutto ciò che nello scorrere di attimi e di secondi costituisce
fatto, emozione, ricordo.
Così
la donna che ha dichiarato essere mia moglie è divenuta ai miei occhi una
perfetta sconosciuta, la mia casa un luogo spoglio e disabitato, il mondo
intorno fotogrammi anonimi e senza alcuna relazione con la mia persona come se
tutto avvenisse separatamente da me.
“Così
è la morte”, ho pensato tra me ben sapendo che nel giro di qualche secondo
avrei dimenticato anche questo e mi sarei allontanato dallo spazio come succede
con le cose che non servono più e si disperdono nell'aria, in qualche punto
dell’atmosfera, per divenire invisibili all'occhio umano.
“Così
è la morte”, penso adesso mentre sono nella vasca da bagno con Emilia che mi
aiuta a lavarmi passando la saponetta sulla mia pelle con fare delicato e
materno. Sento di tanto in tanto il rumore dell’acqua dato dallo strizzare della
spugna ed è come il ritmo scandito di un orologio che segna lo scorrere del
tempo. Guardo mia moglie mentre già so che sto per dimenticarla e d’istinto
stringo la sua mano per aggrapparmi all’ultimo sussulto di vita.
NON TI CONOSCO
PIU’ AMORE
Racconto breve
di
Vittoriano
Borrelli
(I
personaggi e i fatti narrati sono puramente immaginari)
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