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Si
può avere per amico un maschietto ed essere trattata allo stesso modo, anzi
peggio? Con Francesco, compagno d’infanzia, delle elementari, delle scuole
medie e infine del liceo, è accaduto proprio questo: un’amicizia di lunga data,
intima e necessaria, che ha contrassegnato buona parte della mia vita fino a
condizionarla, orientarla, plasmarla come si fa con un oggetto di cui si vuole
modellare a proprio piacimento la forma, lo spessore, la sostanza.
E’
cominciata così, fin dai primi vagiti, gattonate nel corridoio di casa, lunghe
corse sui tricicli e risate a non finire nei pomeriggi svogliati in cui
passavamo gran parte del tempo insieme. I nostri genitori, vicini di casa, si
frequentavano praticamente tutti i giorni e per un certo periodo io e Checco,
il mio Francesco, ci siamo sentiti come un fratello e una sorella, figli della
stessa famiglia.
Devo
dire che fino a quando eravamo bambini questa fratellanza mi stava anche bene.
Giocavamo agli indiani, ingaggiavamo lotte estenuanti per misurare la nostra
forza, mi sono persino travestita da Zorro per sfidarlo a colpi di spada ma era
un modo per fargli piacere, per assecondarlo, lasciarlo vincere qualche volta
per compiacermi dei suoi sollazzi.
Invece
che preferire le bambole, facevo collezione di soldatini e poi con Francesco
passavo ore intere a giocare alla guerra, a inventarmi strategie per abbattere
il nemico, a gridare a squarciagola quando vincevo e a godere quando vedevo la
faccia del mio compagno mogia e affranta.
Questi
giochi d’infanzia, ma soprattutto la mia amicizia con Francesco mi aveva resa
un vero e proprio maschiaccio e forse è stato per questo che negli anni
successivi il mio amico ha continuato a trattarmi come se fossi davvero come
lui, cioè un maschio di sana pianta nonostante nel frattempo stessi diventando
una donna con esigenze che sentivo diverse ma che ho dovuto reprimere per
stare, come dire?, al suo livello e non deluderlo.
Crescendo,
durante l’adolescenza, mi sono sorbita le confidenze di Francesco che mi
raccontava di questa o di quella tipa tutta tette e con un fisico da mozzafiato
che gli faceva il filo. A volte scendeva in particolari anche imbarazzanti di
cui facevo finta di niente per non spezzare quella grande complicità che si era
creata tra noi. Eravamo due facce della stessa medaglia, due monellacci che si
divertivano a prendere in giro la gente, a correre nei parchi e nei sentieri
accidentati con le nostre mountain bike che avevano preso il posto dei nostri
tricicli.
Dai
racconti piccanti, parolacce proferite senza riserve, Francesco era passato del
tutto spontaneamente alla gestualità colorita che non disdegnava di mostrare:
una volta ad un fast food, complice anche qualche birra di troppo, si era
complimentato per una mia battuta con una sonora pacca sulla spalla che mi
aveva fatto andare di traverso la bibita che stavo sorbendo dalla cannuccia.
Insomma
due amici per la pelle, un corpo e un’anima come direbbe una famosa canzone
degli anni ’70, osmosi di pensieri, stati d’animo, di emozioni che provavamo
anche quando eravamo distanti come succede per certe telepatie sensoriali,
certi legami invisibili che persistono e sembrano durare in eterno.
Ma
tutto questo non mi bastava più. E’ successo quando la mia femminilità, fino a
quel momento repressa come una guaina che si tiene ben stretta per comprimere
il grasso cutaneo, ha preso il sopravvento e ho cominciato a guardare Francesco
con occhi diversi. E’ stato questo sguardo, tipico di una donna che smette di
essere una bambina, a far mutare le mie aspettative verso un’amicizia che si
stava trasformando, almeno per me, in un amore forte e inconsolabile. Ma non
sapevo che da lì a poco avrei decretato la fine della nostra amicizia.
Francesco
continuava a trattarmi come un amico, un compagno di giochi e di avventura
senza minimamente intuire che stessi cambiando e volessi che anche lui mi
guardasse con i miei stessi occhi. Nulla da fare, non mi vedeva che come un
maschiaccio grazie anche al mio fisico che, a dispetto della mia femminilità,
presentava connotati di virilità: longilineo, un po’ tozzo, seni piatti come
una sogliola e ciuffi di peluria sparsi qua e là su di un tessuto cutaneo grezzo
e indelicato.
Un
giorno ho voluto fare un esperimento. Mi sono detta: se per Francesco non sono
altro che un’amica vorrà dire che sarò io ad essere esattamente come lui mi
vede, un uomo anche nell’aspetto e nelle fattezze. E’ stato così che sono
diventata… Guido, uno sportivo, e precisamente un giocatore di tennis che ha
preso a frequentare lo stesso club di Francesco.
La
trasformazione, merito anche del mio fisico, è stata semplice: capelli
cortissimi, occhiali da sole, peluria sul mento a mo’ di barbetta e un
cappellino con una visiera inclinata verso gli occhi giusto per evitare di
essere riconosciuta. Ci crederete? Francesco non si è accorto di nulla e ha
voluto sfidarmi in lunghe partite di tennis in cui ne uscivo quasi sempre
vincitrice. Per lui ero Guido e, fatto ancor più strano, non riusciva ad
arrabbiarsi per le sconfitte come invece accadeva con me nei giochi d’infanzia
e dell’adolescenza.
Ora
Francesco mi guardava con occhi diversi ma questo anziché lusingarmi mi
procurava turbamento, instabilità emotiva e soprattutto il sospetto che non
fossi per lui quello che io desideravo, ovvero Vania, la sua amica del cuore
che nel frattempo si era trasformata per amore e che sperava, quasi per
miracolo, di essere riconosciuta e amata allo stesso modo.
Non
è andata così. Per Francesco ero Guido, un amico speciale, direi fin troppo.
Una volta, dopo l’ennesima partita a tennis, mi ha seguita negli spogliatoi e
con una scusa ha cercato di baciarmi. Sono scappata via terrorizzata perché
sapevo che non era me che voleva ma la persona in cui mi ero trasformata.
Io
ero diventato Francesco.
Francesco
era diventato me.
IO E FRANCESCO
Racconto di
Vittoriano
Borrelli
(Ogni riferimento
a fatti o a persone reali è puramente casuale)
Tutti i diritti
riservati
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