TECHETECHETE': Il meglio delle parole del mio tempo

Agosto, blog mio non ti conosco. Come ogni anno arriva il momento di staccare la spina per ricaricarsi ed affrontare al meglio le nuove sfide che si presenteranno dopo la pausa estiva.

E' un'estate diversa dal solito, flagellata da un virus che non accenna a scomparire, con focolai che continuano a spuntare sia pure in ambiti più isolati e controllati. Ma proprio per questo un minimo di relax s'impone ancor più delle passate stagioni. 

In qualità di blogger non andrò del tutto in vacanza. Continuerò a fornire ai lettori uno spazio di lettura con la (ri)pubblicazione, in qualche caso riveduta, di alcuni post passati. Una sorta di Techetechetè delle migliori parole del mio tempo.

Auguro a tutti i lettori di trascorrere serene e salutari vacanze liberando la mente da cattivi pensieri e ripopolandola, se possibile, di buone e distensive letture.

Un abbraccio

Vittoriano Borrelli 

FILO DIRETTO


Gli scrittori sono esseri speciali che vivono d’istinto, di sensazioni, di forte carica emotiva. Sono come madri partorienti di idee, di storie immaginarie o vissute che si tramandano ai lettori una volta pubblicate. Per uno scrittore conta molto creare un collegamento, un filo diretto con i destinatari delle proprie opere, ancor più del target atteso dalle vendite.

Scrivere per condividere è forse la migliore delle soddisfazioni che si possa provare, soprattutto quando le emozioni che hai voluto raccontare giungono nel cuore dei lettori in un connubio che sa di amorosi sensi. Vale più di migliaia di copie vendute sentirsi dire. “Il tuo libro mi è piaciuto”, “Mi sono emozionato”, “L’ho letto tutto d’un fiato”.

Questo è il filo diretto che uno scrittore aspira ad intessere, la gratificazione più nobile che ripaga dalle fatiche per l’opera creata e dà un senso compiuto alla relazione autore/lettore.

Nel video in alto, che potete guardare cliccando sull'immagine, ho dedicato un apposito spazio ai lettori che hanno acquistato “Il futuro imperfetto”, il mio ultimo romanzo con il quale parteciperò al premio letterario internazionale “Nabokov” .

Una sorta di “a domanda rispondo” su alcuni aspetti del libro che hanno destato l’interesse o la curiosità dei lettori. Un filo diretto che mi ha fatto molto piacere e che spero possa proseguire nel tempo.

Buona visione.

TI CONOSCO MASCHERINA!


Ti conosco mascherina perché i tuoi occhi parlano per te nonostante il viso imbavagliato, i capelli arruffati, lo sguardo altrove per ostentare indifferenza, noncuranza e interdizione. Ti conosco come le mie tasche e sai che non potrai sfuggire ai miei occhi che già ti hanno scrutato nell'animo come una radiografia percettiva di ogni tuo piccolo particolare.

Ti conosco mascherina col tuo sorriso beffardo che hai mostrato anche alla luce del sole, nei giorni in cui l’aria ti respirava in faccia e non c’erano remore per aprirti al cielo ed immergerti nell’infinto. Allora non c’erano barriere da sormontare perché viaggiavi con la mente come un errante felice in un mondo che non aveva ancora chiuso i  battenti.

Ti riconoscerei mascherina fra tante mascherine disegnate sui volti di una folla distratta ed anonima. Ti riconoscerei dall'odore della tua pelle che mi ha inebriato per lungo tempo rendendomi uguale a te come una osmosi molecolare che ingabbia e sprigiona nello stesso tempo ogni espressione dell’anima.

Ti conosco mascherina come nei giorni in cui ho immaginato di farti l’amore, cullarti, abbracciarti, intrufolarmi nella tua testa per carpire i segreti più reconditi e inconfessabili. Ti conosco come si conosce l’acqua di un fiume che corre veloce verso il mare per lasciarsi travolgere dalle onde.

Ti conosco mascherina anche se ti allontani da me, come adesso che volgi lo sguardo altrove, perché ti ritroverò come tu mi ritroverai ad aspettarti sul ciglio della strada.

E ti vedrò stanco e claudicante come un vecchio reduce da una guerra che non ha combattuto fino in fondo.

E sarà allora che ti accoglierò tra le mie braccia per affrontare insieme l’ultimo cammino.



IMPARARE A VOLERSI BENE


C’è gente che passa metà del tempo a lasciarsi sfuggire le occasioni e l’altra metà a rimpiangerle. Accade per debolezza, masochismo, per struggente consapevolezza o per conflitti non risolti che risalgono all’età giovanile o alla primissima infanzia.  E’ un travaglio interiore in cui superare il dolore, vissuto o procurato, è la più ardua delle battaglie da affrontare.

Qui sta la matrice di tanti mali che accomunano la disagibilità sociale, l’incapacità di avere buone relazioni affettive, l’isolamento e l’emarginazione. Non è un caso che episodi criminosi come il femminicidio (o il suo equivalente maschile), si stanno diffondendo a macchia di leopardo in un mondo che ha smesso di volersi bene.

Sarà una questione di cuore e forse bisognerebbe imparare da Erich Fromm che nella sua opera più famosa, L’arte di amare, affronta la tematica dell’amore in tutte le sue sfaccettature:

“L’amore infantile segue il principio: amo perché sono amato. L’amore maturo segue il principio: sono amato perché amo. L’amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te. L’amore maturo dice: ho bisogno di te perché ti amo…”

Se paragoniamo le manifestazioni dei sentimenti agli effetti contagiosi dei virus, tanto per restare nell'attualità, scopriamo che ognuna di queste esternazioni tende a moltiplicarsi mantenendo la stessa carica emotiva, come un germe che si riproduce e si propaga velocemente nelle relazioni interpersonali:

L’odio genera odio e ci rende più rancorosi e ostili.
L’invidia genera invidia e ci rende più invidiosi.
L’amore genera amore e ci rende più generosi e solidali.

La capacità di distinguere i buoni dai cattivi sentimenti è un esercizio che richiede fatica, impegno e senso di maturità contro i quali agiscono fattori ambientali o modelli educativi sbagliati e devianti. Imparare a volersi bene è un’arte che non si coltiva da soli ma con il concorso di tante componenti. Se alcune di queste mancano, come l’amore filiale espresso in maniera opposta al pensiero di Fromm, il percorso per arrivarci diventa decisamente complicato.

Bisogna prendersi cura di se stessi, amarsi ed intenerirsi delle proprie debolezze per poterlo fare verso gli altri. L’amore individuale, così concepito, è la base di partenza per essere positivamente “contagioso” ed emulativo. E’ un lavoro spirituale di non facile fattura ma provare a farlo sarebbe già tanto.

Non è mai troppo tardi per abbracciarsi e coccolarsi affinché il buono che ognuno ha in serbo non si disperda nel nulla.







Una risata allunga la vita



Una risata allunga la vita, più di una telefonata di un famoso spot di qualche tempo fa. Ci sarebbe tanto da piangere per come sta andando il mondo, ma un bel sorriso a tutto tondo fa bene alle vie respiratorie, rende più fluido il sangue nelle vene e ci fa prendere le cose nel modo più leggero.

Voglio che sia l’ironia a far ridere la vita mia. E’ il verso di una mia canzone di gioventù che negli anni è divenuto il mio credo filosofico. Non bisogna mai prendersi troppo sul serio perché nessuno è perfetto e, soprattutto, nessuno è migliore del nostro onore e della nostra dignità. Ci sono tanti nei invisibili che prima o poi emergono in tutta la loro consistenza offrendo un’immagine di se stessi forse fragile ma certamente più umana.

Siamo un esercito di imperfetti e questo basta per elevare le relazioni sociali al rango di una parità sostanziale che è anche espressione del principio di uguaglianza sancito nella nostra Carta Costituzionale.  Al di là dei distinguo, dei meriti e delle capacità individuali, l’essere umano è pieno di debolezze, di paure, di incertezze che talvolta si ostenta a disconoscerli ma che invece costituiscono l’essenza della relatività della vita.

Eppure il sorriso non è stato sempre bene accetto. Nel medioevo, ad esempio, il sorriso era inviso dal potere temporale retto da un rigido conservatorismo. Umberto Eco, nella sua opera più famosa, Il nome della rosa,  ci racconta del sorriso come dell’antitesi di comportamenti sobri e morigerati a difesa dei quali vennero compiuti in un’abbazia benedettina una serie di orribili delitti.

Fortunatamente il corso della Storia ha preso una piega diversa e le aperture al sorriso e ad una certa leggerezza dell’essere hanno trovato una collocazione sempre più marcata nell'evoluzione dei comportamenti sociali.

Non c’è che dire che una bella risata a crepapelle, magari sulle stupidaggini altrui, ci fa sentire bene e ci fa affrontare le cose con il giusto peso e coraggio perché le occasioni per vivere meglio possono sfuggirci e non ricapitare più.

Riconoscere i propri limiti, quando il sorriso si fa ironia, non è segno di debolezza ma, piuttosto, la più grande delle saggezze per aprire le porte alla comprensione di se stessi e, di riflesso, a quella verso gli altri.

Da non sottacere gli effetti benefici del sorriso quando è usato, ad esempio, nella terapia del dolore, sia fisico che interiore. Non è un caso che in molti ospedali vi sono tante associazioni dedite alla cura ed assistenza morale ai malati più sfortunati. Perché ogni attimo di vita va vissuto intensamente anche quando tutto sembra precipitare nel baratro e nelle tenebre.

Oggi è già ieri. E domani è già tardi.