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Dietro
un angolo nascosto osservo le meraviglie di un mondo che non mi appartiene più.
Cieli stellati che disegnano l’infinito tra sogni ammassati, disordinati e
inautentici. Impalpabili leggerezze che scompaiono laddove lo sguardo si arrende
all'ultimo scenario di irraggiungibili evasioni.
Quante
volte da bambino ho guardato il cielo, steso sulla spiaggia con le mani dietro
il capo e gli occhi rapiti da un antico splendore. Oggi lo faccio solo per
vedere se piove, se è il caso di prendere l’ombrello mentre il sole si ostina a
restare nascosto tra le nuvole.
Oggi
non guardo più il cielo con l’intensità e la speranza che avevano accompagnato
i miei primi anni d’infanzia, non guardo più il cielo per volare con l’immaginazione
e indovinare quello che c’è oltre.
Quanti
di noi si sentono consumati e dilaniati dalle preoccupazioni quotidiane, dalla
ripetitività di azioni o gesti sempre uguali e uniformi, sommersi fra scadenze,
adempimenti e corse contro il tempo? Quanti di noi non guardano più il cielo e
non si accorgono che il divenire del giorno è semplicemente un invito a
togliersi di dosso il vestito di sempre?
Nel
secolo scorso il male di vivere era la depressione, oggi questo male si è
trasformato nello stress dissociativo che ci fa dimenticare le cose che contano
di più, stretti nella morsa di dover essere sempre all'altezza della
situazione, pronti a rispondere ad ogni impulso esterno senza più ascoltare gli
stimoli che arrivano dal cuore.
Basterebbe
un attimo per fermarsi a riflettere, quell'attimo che non arriva mai ed è
sempre rimandato con un “ci penserò domani”, ma il domani è già qui e
non ti aspetta più. Così mentre tutto scorre velocemente ci si accorge di
essere cresciuti troppo in fretta, mentre un’altra ruga ha solcato un viso
stanco e segnato per le troppe inquietudini.
Allora
ci si appiglia a qualcosa che somiglia molto ad un'ancora di salvezza, il conforto che si cerca tra moltitudini di sguardi che non s'incrociano mai perché diverse sono le storie di ognuno, il
dolore che si provato più o meno intenso che non è mai uguale, comparabile,
condivisibile per poterlo amare, esorcizzare e infine sconfiggere.
Quel
conforto che Tiziano Ferro racchiude in queste struggenti parole:
“Per
pesare il cuore con entrambe le mani ci vuole coraggio
e
occhi bendati su un cielo girato di spalle
la
pazienza, casa nostra, il contatto
il
tuo conforto ha a che fare con me
E’
qualcosa che ha a che fare con me …”
Quel conforto che quando non ha a che fare con te è come un pezzo di vita che se ne va via.
La vita rubata che non ti appartiene più.
Commenti
La tua riflessione è la mia, quella di ogni sera... Qualcuno la chiama "qualità della vita", quella condizione a cui tutti aspirano e per raggiungere la quale pochi fanno davvero qualcosa. Mi permetto di aggiungere che più alta è la posizione sociale che si occupa e maggiori sono i cosiddetti "impegni"... ma non è che una madre di famiglia possa dire di gustarsi la vita...corriamo tutti in attesa della fine corsa, ben sapendo che allora sarà tardi per godersi il presente... A me capita di spaventarmi sorgendomi correre, magari riflessa in una vetrina... allora mi fermo e decido di non fare niente per almeno mezz'ora, oppure di fare qualcosa di "inutile" che mi faccia recuperare consapevolezza.. almeno ci provo. Bella riflessione, grazie!
RispondiEliminaCiao Monica. Per come sta andando il mondo dovremmo tutti concederci una pausa di riflessione per comprendere le cose che contano davvero e respirare più lentamente i profumi della vita. Grazie per il commento. Un caro saluto.
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