Gesù di Nazareth


Tra le tante riproduzioni cinematografiche e televisive sulla storia di Cristo, quella trasmessa dalla RAI nel 1977 fu una delle più riuscite. Con un cast mondiale di primissimo livello, quel Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli ottenne un successo strepitoso con una media di spettatori di oltre ventisei milioni, risultato che nel pluralismo televisivo di oggi sarebbe del tutto improponibile.

Particolarmente azzeccata fu la scelta degli attori, a cominciare da Robert Powell così  straordinariamente somigliante al Messia almeno secondo l’immaginario collettivo, dato che le fattezze del Redentore non sono descritte in nessuno dei testi biblici. Per l’attore inglese questa immedesimazione così perfetta e senza sbavature incise non poco sulla sua carriera che non fu, in seguito, costellata dello stesso successo.

Ma altri personaggi di grido hanno reso questo Kolossal un prodotto di qualità assoluta, come Peter Ustinov nei panni di Erode il Grande, Olivia Hussey in quelli di Maria, Laurence Olivier nel ruolo di Nicodemo e Rod Steiger nelle vesti di Pilato. Nel cast anche attori italiani come la straordinaria Valentina Cortese (Erodiade), Claudia Cardinale (l’adultera) e Renato Rascel (il cieco).

Tante sono state le scene toccanti di questa straordinaria storia biblica, come quella del battesimo di Gesù sul fiume Giordano in cui Giovanni Battista si rivolge al Messia con queste parole: Sono io che dovrei essere battezzato da te e tu vieni da me? O la scena della sinagoga di Nazareth in cui Gesù, al termine della funzione, rivela ai fedeli: Oggi, nelle vostre orecchie, le scritture si sono compiute.

L’annuncio di essere il figlio di Dio susciterà la reazione rabbiosa e diffidente dei presenti ai quali Gesù risponderà:  nemo propheta in patria (nessuno è profeta nella sua patria).

O, ancora, il racconto della parabola del figliol prodigo nella casa dell’esattore Matteo che per questo si convertirà divenendo uno dei suoi più fedeli apostoli: Mio figlio era morto ed è tornato alla vita. Tuo fratello era perduto e l’ho ritrovato. Era morto e ora vive.

Altrettanto commoventi le scene dei miracoli di Gesù, come la guarigione del lebbroso (E’ più facile perdonare i peccati o dire a quest’uomo alzati e cammina?), la liberazione dell’ossesso da Satana (“Esci spirito impuro da quest’uomo”) o la resurrezione di Lazzaro (“Lazzaro, vieni fuori!”).

E che dire delle predicazioni di Cristo delle quali si ricordano “I nemici dell’uomo saranno i membri della stessa famiglia.” – “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.” – “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei.” (Episodio dell’adultera).

E quella pietra, a distanza di oltre duemila anni è ancora lì.

Tutte rappresentazioni che nel film di Zeffirelli sono ben inscenate grazie anche alla grandezza degli interpreti, alle atmosfere suggestive che hanno accompagnato  le vicende narrate regalando emozione e commozione fino alla scena finale in cui Gesù, dopo la resurrezione, appare agli apostoli con queste parole:

Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.

Fino alla fine del tempo.


A tutti gli amici e visitatori del blog i miei auguri di Buona Pasqua.


LA PAROLA DI QUESTA SERA


In un mondo artato e velato come quello della televisione e dello spettacolo, Fabrizio Frizzi si ricorderà come l’ultimo anti-divo, l’uomo garbato e generoso che rimarrà per sempre nel cuore di milioni di ammiratori, persone comuni e non, che lo hanno profondamente amato ed apprezzato.

Scompare all’età di sessant’anni dopo un ictus che lo aveva colpito il 23 ottobre 2017, l’amico di tutti, persona perbene, corretta e gentile, qualità che ha saputo coniugare con grande professionalità e luminosi sorrisi. Ci mancherà e mancherà ad un pubblico variegato e trasversale perché Fabrizio è riuscito a farsi amare in maniera spontanea e senza riserve coinvolgendo tutte le generazioni che lo hanno seguito con passione, simpatia ed affetto.

La notizia appresa all’alba di una notte fredda di primavera ha colpito e commosso tutti, a dimostrazione di quanto fosse amato e stimato soprattutto dalla persone semplici, quelle che lo seguivano ogni giorno davanti alla tv alla conduzione de “L’eredità”, il programma pre-serale di Rai uno che proprio grazie a Fabrizio ha raggiunto altissimi indici d’ascolto.

E proprio con “L’eredità” che mi piace ricordarlo emulando il gioco finale, quello della ghigliottina, che stasera recita così:

Buongiorno
Buon pomeriggio                          Ghigliottina: Buongiorno

Arlecchino
Pierrot                                           Ghigliottina: Pierrot

Animo
Platino                                           Ghigliottina: Animo

Senso
Assenso                                          Ghigliottina: Senso

Cielo
Velo                                                Ghigliottina: Velo


La parola di questa sera è: Tristezza

                                                                                                               
                                                                                                                Fabrizio Frizzi
(5 febbraio 1958 -26 marzo 2018)

PAROLE PAROLE


Quante  sono  le  parole  del  mio  tempo?  Quasi trentunomila, esattamente 30.993 quelle che compongono le centosette canzoni inserite nell'omonimo libro e le sessanta del seguito L’aquila non ritorna. 5878 è invece il numero complessivo dei versi. La media è di 185 parole e 35 versi  a canzone.

La  composizione  più  lunga è Napoli  muore (c.a. 6 minuti), quella più  breve è Nascerai  (c.a.  2,3 minuti);  quest’ultima ha anche il testo più breve (93  parole) seguito da Bella più che mai  (106 parole) e da La gioia che vivrò (110 parole).

Evanescenza si aggiudica invece il primato del testo più lungo (378 parole), seguito da Napoli muore (358 parole) e da Chi ti ha detto mai? (347 parole).

Notte annoiami è la canzone che vanta i versi più lunghi (49) seguita da E niente e dalla già citata Napoli muore, entrambe con 48 versi.

Fanalini di coda sono Non mi ricordo più di te, SalvamiUn nuovo amore e Quanto amore che si perde con 20 versi, distaccati di una sola lunghezza da La notte dei ricordiAmarezza con 21 versi.

La canzone più “vecchia” delle due raccolte è Ti amo, scritta nel febbraio del 1979; la più “giovane” è Autografo, composta agli inizi del 2014.

Amore” e “Cuore”, le parole generalmente più usate (e inflazionate) nei testi delle canzoni, qui compaiono rispettivamente per 205 e 47 volte, appena lo 0,6 e 0,15 per cento sul totale.

Un’ultima curiosità: negli ultimi anni la quantità media delle parole per ogni canzone è scesa a 120 con un calo del 35%. Come a voler significare che invecchiando o diventando più "grande" ho avuto sempre meno parole da dire!

L’ASSENZA


Gli assenti hanno sempre torto ma nel mondo interiore sono molto più presenti di quanto non lo siano nella vita reale.  C’è un cordone ombelicale tra noi e le persone che reputiamo importanti che non si spezza mai nemmeno quando pensiamo che siano uscite definitivamente dalla nostra vita.

E’ l’assenza che si fa presenza, a volte inconsolabile quando è l’effetto ultroneo di un amore spezzato, a volte ingombrante quando invece emana flussi negativi contro cui nessun antidoto sembra essere efficace. Sono assenze che derivano da presenze, ancorché sporadiche, che ci procurano molto dolore e che rappresentano una ferita aperta che non si rimargina mai.

Ci sono dunque assenze e assenze, non tutte uguali, non tutte incisive e percettibili in ciascuno di noi. Tutto dipende dalla nostra sensibilità, dalla nostra capacità di sentire, di fermarsi in superficie o di scovare nei particolari dei nostri legami con le cose e con le persone. E l’assenza è tanto più presenza quanto più queste relazioni sono controverse e destabilizzanti.

Ci si abitua all'assenza fin da bambini quando avviene il primo distacco dall'ambiente familiare per affrontare quello nuovo e sconosciuto della scuola. Una finestra sul mondo che si apre o che si tiene chiusa a seconda di come si è stati educati o accompagnati in questo passaggio. Ed è un’assenza che si fa fatica a colmare quando la presenza che l’ha preceduta si è rivelata di pessima qualità.

Si convive con l’assenza anche in mezzo alla gente, fra i rumori della città o nel silenzio di una quiete opprimente che cala impetuosa al percorrere di strade deserte e abbandonate. E’ asincrona, atemporale, anaffettiva come succede tra persone che si parlano ma non comunicano, che si congiungono senza mai toccarsi nell'anima.

E’ la negazione della vita l’assenza, quando si traduce nella mancanza d’amore che dura un attimo o per sempre.

L’assenza dondola nell'aria come un batacchio di ferro
martella il mio viso martella
ne sono stordito
Corro via l’assenza m’insegue
non posso sfuggirle
le gambe si piegano cado
L’assenza non è tempo né strada
l’assenza è un ponte fra noi
più sottile di un capello più affilato di una spada
Più sottile di un capello più affilato di una spada
l’assenza è un ponte fra noi
anche quando
di fronte l’uno all’altra i nostri ginocchi si toccano.

Nazim Hikmet 
(da Mosca 1961, in Poesie d’amore, 1963, traduzione di Joyce Lussu)

NON TI CONOSCO PIU’ AMORE

Capita di svegliarsi e non riconoscere più la persona che ci sta accanto. Con Emilia, mia moglie, è stato proprio così. Una mattina l’ho vista entrare in camera da letto con la colazione sul vassoio e un sorriso cordiale che l’ho scambiata per la donna di servizio.


“Grazie, l’appoggi pure lì”, ho esordito indicando con gli occhi il comodino alla mia destra.
“Che hai Luciano? Mi dai del lei adesso?”
“Sa bene che con le cameriere preferisco mantenere le distanze.”
“Ed io sarei una cameriera? Ma sei impazzito?”
“Perché? Chi sarebbe lei?”
“Come chi sarei? Sono Emilia, tua moglie.”

Così facendo ha appoggiato il vassoio sul comodino, ha preso un cuscino e me l’ha tirato in faccia. Non ho avuto alcuna reazione e ho mantenuto lo stesso sguardo serio e glaciale con cui l’avevo vista piombare nella stanza. A quel punto Emilia ha cominciato a preoccuparsi.

“Luciano, stai bene? Se questo è uno scherzo ti avverto che è di cattivo gusto.”
“Sto bene e non sto scherzando. Non conosco nessuna Emilia e lei, Rosina, non dovrebbe prendersi queste confidenze.”

Si è avvicinata a me e mi ha messo una mano sulla fronte per controllare se avessi la febbre o stessi delirando. Anche questa volta sono stato freddo e impassibile. L’ho vista fare un passo indietro con la bocca semiaperta come a voler lanciare un urlo che non è partito.

“Ma allora davvero non ti ricordi di me?”
“Cosa dovrei ricordare?”
“Te l’ho già detto. Sono tua moglie, siamo sposati da tre anni e ci amiamo molto.”
“Io invece conosco solo una Rosina che fa la cameriera, che poi sarebbe lei.”
“Ancora con questa storia della cameriera! Non ne abbiamo mai avuta una. E poi non ce lo possiamo nemmeno permettere.”

Emilia si è seduta accanto a me e ha preso ad accarezzarmi, prima il viso tastando la barba ruvida e incolta e poi più giù lambendo la camicia del pigiama fino all'apertura dei pantaloni. Sono rimasto immobile e silente mentre osservavo l’ispezione che la mia compagna stava eseguendo con fare chirurgico, quasi a voler stimolare uno strano esemplare che non dava più segni di vita. L’ho vista piangere e mi è sembrato di sentire le sue lacrime inondarmi il corpo inerme come fa una sorgente su specchi d’acqua lacustri che non si spostano dalle proprie sponde.

Amnesia anterograda, questa la diagnosi che lo strizzacervelli incaricato da mia moglie ha sentenziato qualche giorno dopo nel suo studio. Una sorta di black-out  per cui da un certo punto in avanti avrei smesso di ricordare, di immagazzinare luoghi e conoscenze un tempo a me familiari. Per me si è trattato della morte più atroce pur rimanendo in vita con le mie funzioni organiche che, tuttavia, hanno cessato di interagire con tutto ciò che nello scorrere di attimi e di secondi costituisce fatto, emozione, ricordo.

Così la donna che ha dichiarato essere mia moglie è divenuta ai miei occhi una perfetta sconosciuta, la mia casa un luogo spoglio e disabitato, il mondo intorno fotogrammi anonimi e senza alcuna relazione con la mia persona come se tutto avvenisse separatamente da me.

“Così è la morte”, ho pensato tra me ben sapendo che nel giro di qualche secondo avrei dimenticato anche questo e mi sarei allontanato dallo spazio come succede con le cose che non servono più e si disperdono nell'aria, in qualche punto dell’atmosfera, per divenire invisibili all'occhio umano.

“Così è la morte”, penso adesso mentre sono nella vasca da bagno con Emilia che mi aiuta a lavarmi passando la saponetta sulla mia pelle con fare delicato e materno. Sento di tanto in tanto il rumore dell’acqua dato dallo strizzare della spugna ed è come il ritmo scandito di un orologio che segna lo scorrere del tempo. Guardo mia moglie mentre già so che sto per dimenticarla e d’istinto stringo la sua mano per aggrapparmi all’ultimo sussulto di vita.


NON TI CONOSCO PIU’ AMORE

Racconto breve
di
Vittoriano Borrelli

(I personaggi e i fatti narrati sono puramente immaginari)

NON VOTARE ANTONIO


Qualche tempo fa (2013) scrissi un post dal titolo “Vota Antonio” in cui commentavo in chiave tragicomica la disaffezione dei cittadini verso la politica e le Istituzioni. A distanza di cinque anni e all'indomani delle elezioni politiche del prossimo 4 marzo, nulla è cambiato sotto questo cielo.

L’astensione al voto nelle consultazioni elettorali che si sono succedute nell’ultimo quinquennio ha raggiunto proporzioni un tempo inimmaginabili: circa quindici milioni di elettori hanno disertato le urne e questa flessione si è registrata persino in occasione del referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre 2016, ovvero su un tema che avrebbe dovuto calamitare maggiormente l’interesse dell’elettorato. Allora l’affluenza alle urne del 65% venne battezzata come un successo rispetto alle più desolanti pregresse partecipazioni, ma il 35% dei non votanti resta comunque un dato che fa riflettere.

Eppure il Corpo elettorale è il primo (se non il più importante) organo costituzionale chiamato ad eleggere coloro che dovrebbero mettere in atto i desiderata della volontà popolare. Ma in questo circuito di democrazia rappresentativa c’è sempre qualcosa che lo fa andare in tilt, un relè che si aziona sistematicamente per far venir meno quel nesso di intima causalità tra gli elettori e gli eletti.

Non bisogna essere dei politologi o esperti dei massimi sistemi per capire che il problema risiede soprattutto nella scarsa qualità dell’offerta che non è soltanto impreparazione o incompetenza della classe dirigente. Certo, il divario tra le ideologie politiche e ciò che ne scaturisce sul piano concreto si è ampliato oltremodo, ma alla base manca sempre una ferrea spinta moralizzatrice.

Ne è una riprova il fallimento della legge sull’anticorruzione, varata sei anni orsono, che avrebbe dovuto ridurre drasticamente gli eventi corruttivi. Invece gli episodi di malaffare sono aumentati a dismisura nonostante la redazione di piani di prevenzione mai rivolti, chissà perché, anche, se non soprattutto, all'amministrazione politica.

Ecco quindi che a ridosso degli appuntamenti elettorali ritorna sempre di moda il personaggio di  Antonio la Trippa, che nel film “Gli onorevoli” pubblicizza la sua candidatura alle politiche ripetendo da un imbuto a mo’ di megafono la mitica frase “Vota Antonio”. E sempre di moda ritorna la sublime battuta  di Totò, interprete di quel film : “A proposito di politica, ci sarebbe qualche cosarella da mangiare?

La pellicola si conclude con una presa di coscienza del personaggio la Trippa che ritorna sui suoi passi riconoscendo i valori dell’onestà e della correttezza. L’auspicio è che questo messaggio possa essere tenuto bene a mente nel prossimo appuntamento elettorale.

L’astensione, sia pure comprensibile, non aiuta a cambiare lo stato delle cose.  E’ importante quindi recarsi alle urne ma sarà bene farlo con attenzione e ricordarsi di non votare (ancora) Antonio.