IL MIO ANNO DA BLOGGER

Anche il 2015 sta per essere archiviato ed è tempo di bilanci. Va via un altro pezzo di vita ma si aprono subito nuove prospettive, come una finestra spalancata su un mondo in continuo divenire.

Ma prima di volgere lo sguardo al futuro c’è un passato recente, lungo dodici mesi, che ho voluto raccontare sulle pagine di questo diario e che adesso desidero sfogliare per rivivere le emozioni provate durante la stesura degli articoli.

A tutti voi lettori va il mio personale ringraziamento per aver speso una parte del vostro tempo leggendo, commentando o condividendo le cose che ho scritto e che spero vi abbiano emozionato come è stato per me.

Ecco quindi il mio calendario 2015 con i post più letti e graditi che hanno contrassegnato la mia attività di blogger. Per chi desidera rileggerli basta cliccare sui rispettivi titoli.

GENNAIO: Pubblico “Anna da non dimenticare” dedicato alle vittime dell’Olocausto e in particolare alle memorie dello splendido diario di Anna Frank. Ottiene la palma del post più letto e commentato dai lettori di “Google”.

FEBBRAIO: “L’amore è per sempre”, riflessioni sull'eternità dell’amore, è il post con il maggior numero di visualizzazioni e di gradimento. Segue a ruota “Le pagelle di Sanremo 2015”.

MARZO: La redazione del social “Mebook”, mi concede un’intervista che risulterà molto apprezzata dai lettori. Dopo avere indossato i panni del “Maurizio Costanzo” intervistando diversi autori esordienti, questa volta è toccato a me con “Ti presento Vittoriano”.

APRILE: Pubblico il racconto breve “Io parlo da solo” ed è subito un successo fra i lettori della rete. Esistenzialismo puro e crudo che troverà molti proseliti.

MAGGIO: “La vita che sfugge”, dedicato al femminicidio, sarà il post più letto del mese. Approderà in poco tempo nella classifica dei “Top ten” di sempre .

GIUGNO: Esce “Non baciarmi”, altro racconto breve in due parti che ha come tema il carrierismo e il mondo delle apparenze. Bene anche il piazzamento di Per innamorarmi”, testo estratto da “Le parole del mio tempo” dalle tipiche atmosfere kafkiane.

LUGLIO: “Non ti vedo più”, ritratto crudo sull'incompatibilità relazionale, è l’articolo più letto del mese. Ottimo il piazzamento ottenuto da “Il male di vivere”, che affronta il tema scottante della depressione. Entrambi sono nella classifica dei “Top ten” di sempre.

AGOSTO: “Napoli muore” e, a ruota, “Gli amici silenti” si aggiudicano la palma dei post più letti dell’estate 2015. Il primo è il testo di una mia canzone dedicata alla splendida (e controversa) città partenopea, il secondo è un omaggio all'amore per gli animali, e in particolare per i cani.

SETTEMBRE: Top del mese: “Se bastasse una piuma”, recensione dell’ultimo libro di Giorgio Faletti. Piace anche “Spunti dal mio lavoro”, il mio ultimo libro sulla mia attività di segretario comunale.

OTTOBRE: “La mia donna non esiste”, racconto breve sulla doppia vita, catturerà l’interesse di moltissimi lettori. Piacerà soprattutto agli ideologisti, un po’ meno ai lettori romantici che forse si aspettavano una storia a lieto fine. Dalle atmosfere elegiache “Il vento e la polvere” dedicato alla commemorazione dei defunti, che ottiene il secondo posto.

NOVEMBRE: “L’appartamento” e “Gli amori infiniti”  sono i post più visualizzati ed apprezzati. Il primo è un racconto breve sulla separazione coniugale, il secondo è un’analisi introspettiva del sentimento più discusso e inseguito dagli esseri viventi.



BUON 2016 A TUTTI I LETTORI!

UN ALTRO NATALE

C’è una parte del mondo che sorride poco ma è dignitosa nel dolore, sa rialzarsi senza spintoni e rigenerarsi come la Fenice dalle proprie ceneri. E’ una parte stratificata in ogni zona geografica del pianeta, così vicina a noi da essere riconoscibile soltanto con la disponibilità del nostro sguardo.

In questi giorni che ci accompagnano al Natale è facile confondere la gioia pura che si legge negli occhi di un bambino davanti alle vetrine di un negozio di giocattoli, con quella stereotipata e condizionata dalle atmosfere del momento che rischia di essere effimera, sfuggevole o intermittente come le luci di un vecchio presepe.

Essere felici è un diritto di tutti e forse proprio il Santo Natale ce lo ricorda come un monito rispetto alle cose terrene che possono sì gratificarci, ma solo se sono in sintonia con lo Spirito. Aprire e aprirsi al cuore è il vero dono che si può dare e ricevere nel giorno solenne della Natività

In queste ore frenetiche che ci separano dall'Avvento, la corsa ai regali sembra essere l’unica meta preferita per scalare, come spesso succede, la vetta delle “apparenze” a dispetto di una generosità che può definirsi tale solo se sorretta dall'autenticità del gesto donativo.

Bene emozionarsi davanti ad uno spettacolo di luci maestoso e suggestivo, bene passeggiare tra i mercatini natalizi che mostrano gli articoli più curiosi e accattivanti, bere una birra o gustare per strada le prelibatezze locali. L’importante è non perdere di vista la relatività di queste bellezze rispetto allo stare bene nell’animo anche quando la festa finisce e le luci si spengono.

Perché c’è una parte del mondo che sorride poco o per niente. E merita di essere illuminata della gioia e del calore di tutti coloro che desiderano vivere un altro Natale, più vicino al cuore e più lontano dalle cose luccicanti che si dissolvono ben presto all'alba di un nuovo giorno.


A TUTTI I LETTORI DE “LE PAROLE DEL MIO TEMPO”

I MIEI PIU’ CARI AUGURI DI UN SERENO NATALE

BIANCO FATALE

Si sa che la paura del foglio bianco colpisce soprattutto chi è dedito alla scrittura. E’ una paura antica e consueta che risale fin dai tempi della scuola, quando davanti alla traccia di un tema si restava con gli occhi smarriti indugiando a scrivere le prime parole d’inchiostro sul mitico foglio protocollo.

C’è chi scrive di getto lasciandosi guidare unicamente dall'estro e dall'ispirazione innata o indotta dalla situazione del momento. Ricordo che ai tempi del liceo c’era un mio compagno di classe particolarmente avvezzo con la penna: riusciva a sfornare temi come noccioline e poi, per guadagnarsi un paio di sigarette o un caffè, li “vendeva” a proseliti pigri o svogliati.

Ma sono pochi ad essere dotati di questo dono naturale. Per la maggior parte delle persone la paura del foglio bianco è qualcosa che ci si porta dietro negli anni e che è più o meno ricorrente a seconda dell’attività che si è deciso di intraprendere. Per gli scrittori, ad esempio, è un vero e proprio incubo che sopravviene soprattutto nella fase di approccio al romanzo.

Esistono varie tecniche per tentare di esorcizzare quello che comunemente viene definito lo spettro del blocco della penna.

Alcuni scrittori preferiscono preconfezionare nella mente, sia pure a grandi linee, la storia da raccontare prima di metterla giù su carta (o sul pc); altri optano con l’annotazione di appunti, pensieri, raccolta di materiale documentale costruendosi una sorta di archivio corrente da utilizzare nella fase di stesura del manoscritto; altri ancora sono meditabondi, osservatori, perfezionisti fino all'estremo, e scrivono solo quando sono in stretta simbiosi con le proprie percezioni sensoriali.

Io appartengo a quest’ultima categoria.

Non sono uno scrittore fluente e non farei la fortuna degli editori. Sono due anni che ho iniziato a scrivere il secondo romanzo dopo "La prossima vita" e non so se riuscirò mai a finirlo. Questo perché la realtà che mi circonda non è particolarmente foriera di idee né di atmosfere giuste per calarmi con profitto nel mondo dell’immaginazione.

Allora tutto appare nebuloso come un manto di neve che scende dalle finestre delle mie stanze, bianco fatale che non mi fa vedere più nulla.

Come i versi di una mia canzone tratta da “L’aquila non ritorna”:

Niente di nuovo perché
non vedo niente davanti a me
Niente di nuovo perché
la vita passa anche senza di te …

QUEL RAMO DEL LAGO DI COMO

Non volge a mezzogiorno come scriveva il Manzoni. Il mio lago di Como è situato con le lancette spostate nella prima parte del quadrante ma gli scenari sono ugualmente coinvolgenti e affascinanti. Ad ogni curva si aprono squarci di orizzonte dove si annida l’infinito, e catene di montagne dolci e verdeggianti che si specchiano su acque tranquille e dorate.

Il silenzio genera il silenzio. Il mio lago è così: taciturno, timido, di poche parole. Solo il lambire delle acque al passaggio di traghetti carichi di turisti o di viaggiatori abituali, fa muovere quella vitalità che fino a un attimo prima pareva impressa in un fermo immagine cartolare e surreale.

Dall'albergo in cui sono alloggiato ammiro Bellagio con la sua forma a tartaruga che fa da spartiacque ai due rami del lago. Sembra un guardiano paziente e sornione che sorveglia quella parte del paesaggio in cui si snodano le ampie aperture lacustre.

Sono un laghee. Per i comaschi di città è l’equivalente di terrone, noto epiteto rivolto ai meridionali. Nel mio caso non c’è differenza alcuna dato che sono napoletano e ne vado anche fiero.
           
I laghee (come i terroni) sono particolarmente legati alla loro terra d’origine e alle loro tradizioni, sono orgogliosi, a volte superbi ma fedeli alle proprie abitudini e stili di vita, Soprattutto sono taciturni e acuti osservatori. In questo mi somigliano o forse sono io ad assomigliare loro. Si può dire che sono un … laghee napoletano, l’esempio di due culture apparentemente diseguali ma che invece hanno molti tratti in comune.

Prendo la macchina e mi dirigo verso Menaggio, altra perla della costa occidentale del lago. In sottofondo ascolto la bellissima canzone di Fabio ConcatoGuido piano, e canticchio a voce alta questi versi:

c'e' tanto sole
e mi accorgo che ne ho bisogno come un fiore
e ho bisogno di stancarmi e di camminare
di sentire l'acqua il vento e di respirare
peccato che qui vicino non c'e' il mare

Eccomi arrivato a Sorico, il punto dove il lago volge a mezzodì riversandosi sulla sponda orientale fino a toccare le terre narrate dal Manzoni.

Mi sdraio sulla spiaggia e ascolto il silenzio.

Ho una gran gioia nel cuore.

TI LEGGO SOLO GRATIS

Tempi duri per gli scrittori. Recentemente la Corte d’Appello di New York ha respinto il ricorso collettivo (c.d. “class action”) di un gruppo di autori avverso la pubblicazione da parte di Google di estratti di libri o di intere opere (non coperte dal copyright) nell'ambito del progetto Google libri.
Secondo i giudici americani la divulgazione in questione non viola il diritto d’autore in quanto finalizzata a garantire un servizio pubblico.

La sentenza del 16 ottobre scorso è destinata a far discutere sotto il profilo dell’affievolimento della proprietà intellettuale (e delle annesse rivendicazioni economiche) in favore del superiore interesse dei lettori di conoscere in anteprima il contenuto dell’opera, vuoi in forma sintetica, vuoi in versione integrale laddove manchino del tutto le tutele tipiche dei diritti riservati.

Il danno economico lamentato dai ricorrenti non pare sussistere nella fattispecie trattata dai giudici aditi, poiché la divulgazione per estratto dell’opera rimanda al link per l’acquisto generando una sorta di pubblicità che non può che giovare allo stesso autore.

Occorre dire che in Europa la legislazione sul diritto d’autore, rispetto alle “aperture” americane è piuttosto rigida. In Italia, ad esempio, la legge 633/1941 come modificata dai decreti legislativi 22 e 163 del 2014, tutela il diritto esclusivo di utilizzazione dell’opera per tutta la vita dell’autore e fino al settantesimo anno dopo la sua morte. Non è necessario registrarsi alla SIAE perché la proprietà intellettuale nasce dal momento in cui l’opera viene pubblicata ed è rivendicabile dall'autore nelle forme garantite dal diritto civile.

Al di là delle disquisizioni giuridiche, la sentenza in commento pone un serio problema legato alla “digitalizzazione” del pensiero che pare ormai essere patrimonio di tutti e non solo di chi lo partorisce. Un tempo per leggere un libro era necessario acquistarlo (o riceverlo in prestito o in regalo), oggi con l’esplosione di internet è più facile trovare comode scorciatoie per impossessarsene gratuitamente.

In questo noi italiani siamo maestri, soprattutto quando si tratta degli e-book. Rispetto agli altri Paesi oltre frontiera dove questa forma di pubblicazione è in decisa crescita, in Italia la vendita digitale fa fatica a decollare. Forse una delle remore sta nel sistema di pagamento che per gli e-book è esclusivamente elettronico, ovvero attraverso l’utilizzo di carte di credito o carte prepagate.  

Una dimostrazione è data dai numerosi downloads delle opere messe a disposizione gratuitamente, sia pure per un tempo limitato. Quando invece le stesse opere sono offerte a titolo oneroso il dato statistico sulle vendite cala bruscamente.

Questione di mentalità? Di poca dimestichezza all'uso degli strumenti elettronici di pagamento? Forse. Come non è da escludere una certa diffidenza per gli autori sconosciuti sui quali si fa fatica a scommettere anche se “l’investimento” costerebbe solo …una manciata di euro!

E nel mondo del web marketing editoriale o del “fai da te” dove tutti sono diventati poeti e scrittori è molto più difficile che la qualità emerga o sia agevolmente riconoscibile.

Democrazia digitale” a tutto danno della qualità (remunerativa) del pensiero in un’epoca in cui gli editori hanno smesso di esistere.

IL MIO ROMANZO CRIMINALE

La realtà supera l’immaginazione. Non abbiamo bisogno di sognare per inseguire l’impossibile, perché tutto ciò che ci appare davanti ai nostri occhi è così mostruosamente vero che la fantasia si è trasformata in qualcosa di molto reale e tangibile. Un tempo gli scrittori e i poeti si affidavano alle muse per scrivere le loro storie o declamare i versi più sublimi, ora basta molto poco per mettere giù qualsiasi scritto senza fare troppi voli pindarici.

L’anima sociale si è così imbruttita che non c’è alcuna differenza tra il bene e il male. Gli ultimi fatti di attualità o di cronaca nera ne sono una testimonianza evidente: sacerdoti che giustificano la pedofilia come risposta “educativa” ai fanciulli soli e abbandonati, fidanzatini in preda a deliri di onnipotenza che ammazzano genitori e consanguinei in nome di un amore corrotto e “disaffettivo”, la strage di Parigi organizzata dai terroristi islamici, figli di un Dio preso a prestito dal fanatismo ideologico.

La paura del foglio bianco non c’è più. Basta raccontare la realtà per sprigionare fiumi di parole e abbattere come birilli gli argini di qualsiasi barriera etico-sociale.

E pensare che nella Grecia antica gli orrori della guerra venivano esorcizzati con racconti che esaltavano l’amor patrio, che ammonivano sull'importanza degli affetti filiali e della terra natia per indurre i guerrieri a deporre le armi e a desiderare il ritorno a casa. Omero, nella sua magistrale “Odissea”, racconta delle lacrime di Ulisse dopo aver ascoltato l’aedo Demodoco sul rapimento di Elena di Troia da lui stesso organizzato.

Senza andare troppo in là nel tempo, nelle celeberrime sceneggiate di Mario Merola si assisteva alla classica sfida tra il buono e il cattivo (‘o bbuono e‘o malamente), con il primo che riusciva sempre ad avere la meglio sul secondo a furor di popolo. Oggi una commedia del genere è a dir poco anacronistica e non suscita più lo stesso pathos nel pubblico.

Se si potesse riscrivere “I Promessi Sposi la storia sarebbe largamente capovolta: L’Innominato non si converte più al cristianesimo ma convince il cardinale Federico Borromeo a rendersi complice dei suoi misfatti. Il rapimento di Lucia viene portato a termine con la consegna della fanciulla nelle mani del perfido Don Rodrigo. La peste, infine, si abbatte solo sulla povera gente mettendo in salvo gli oppressori e i potenti.

Ci sono tutti gli ingredienti per scrivere un romanzo horror senza scomodare Agatha Christie o Alfred Hitchcock. Basta attingere dalla realtà di tutti i giorni i personaggi che si vogliono, le storie già preconfezionate per un finale da “brividi”.

Il telefono squilla. Lui alza la cornetta e ascolta il messaggio in codice. E’ visibilmente soddisfatto. Le informazioni che ha ricevuto provengono da persona influente nei palazzi che contano. Corre in stazione con la sua ventiquattrore, sale sul treno e si sistema nella carrozza 9, posto 2A lato finestrino. Sa che in quello stesso scompartimento c’è la persona di cui ha avuto poco prima le notizie che aspettava. Davanti a lui sono seduti una donna e un bambino dai riccioli d’oro, bello e candido come il sole di quel primo mattino. Lui non li degna nemmeno di uno sguardo. Appoggia la valigetta sulle ginocchia e dopo averla aperta con un clic estrae l’arma da fuoco …

L'incipit del mio romanzo criminale

L’APPARTAMENTO

Carino, luminoso, superaccessoriato. Riscaldamento autonomo con telecomando, lavatrice auto-programmabile, video citofono e impianto satellitare. Cosa vuoi di più? E poi è tutto così accogliente, confortevole, non devi nemmeno faticare tanto per tenerlo in ordine. C’è anche una bella vista panoramica, vedrai che ti troverai bene.”

Sono sopraffatto dalle parole di Annalisa che mi mostra con la verve del più consumato agente immobiliare l’appartamento in cui dovrò andare ad abitare. Rimango in silenzio con la faccia cupa e perplessa, come un bambino al primo giorno di scuola che si rifiuta di entrare in classe.

I cambiamenti non sono mai stati il mio forte. Sarà forse per pigrizia mentale o per un’atavica riluttanza per le cose nuove che ho sempre preferito pianificare tutto della mia vita, adagiandomi al mio modello organizzativo come un perfetto ed efficiente ragioniere Mi sono “abituato” alle mie abitudini: casa-lavoro-casa, senza alcuna deviazione del percorso. Mi sono abituato al silenzio, ai miei silenzi.

Annalisa sembra leggermi nel pensiero e mi porta a visitare la stanza da bagno tenendomi sottobraccio quasi per timore che io possa scappare.

Guarda come è spazioso. C’è anche la vasca per l’idromassaggio.” Mi strizza l’occhio abbozzando un sorriso malizioso. “Sei un bell'uomo, potrai portarci tutte le donne che vorrai.

La mia accompagnatrice continua nella sua opera di persuasione prospettandomi una vita piena di gioia e di sesso sfrenato. Non l’ascolto più. Vedo la sua bocca continuare a muoversi emettendo tanti bla bla bla ed io mi assento completamente inseguendo un pensiero d’infanzia.

Eccomi bambino con mia madre che mi mostra il regalo che avevo sempre sognato: una bicicletta da corsa “superaccessoriata” proprio come l’appartamento che sto visitando.

Ti piace? C’è proprio tutto: due specchietti retrovisori, il sellino di vera pelle, le luci di direzione, ben cinque marce e il vano per la bottiglietta dell’acqua. Con le lunghe corse che farai ti verrà sicuramente sete. Anzi, sai una cosa? Invece dell’acqua ti riempirò la bottiglietta con il tuo succo di frutta preferito.”

Come Annalisa, mia madre continuava a parlarmi, ad accarezzarmi il viso con il suo fare amorevole cercando di rendermi partecipe di una gioia che soltanto dopo scoprii avere ben altro fine: tenermi lontano da casa per alcune ore mentre riceveva i suoi amanti in camera da letto.

Gianni, ma mi stai ascoltando?” La voce di Annalisa mi riporta alla realtà e non so se è più piacevole di quella che ho appena ricordato.

Ora devo proprio andare. A minuti verrà Franco per il contratto. Vedrai, sarà molto vantaggioso per te.” Mi schiocca un bacio sulla guancia, prende la borsa e scappa via in tutta fretta.

Dalla finestra la vedo uscire dal portone, attraversare la strada e alzare lo sguardo verso di me che la sto osservando tra le tende. Mia moglie mi saluta con la mano regalandomi questa volta solo un sorriso spento e fugace prima di mescolarsi tra la gente.

So che non tornerà più.
  
L’APPARTAMENTO

Racconto breve scritto da

Vittoriano Borrelli

Ogni riferimento a fatti o personaggi della realtà è puramente casuale.

L’immagine di copertina è liberamente tratta da foto disponibili sul web
senza alcuna correlazione con i fatti narrati.



GLI AMORI INFINITI

Gli amori infiniti nascono senza sesso, sono eterei, incorporei e inafferrabili. Si contrappongono al piacere fisico che si esaurisce all'alba di un giorno qualunque dopo essersi rivestiti in fretta per tornare alla vita di sempre, vuota e malinconica.

L’idealità dell’amore è il vero problema delle relazioni contemporanee. Nell'era multimediale è più facile “innamorarsi” di persone conosciute sul social preferito che di coloro che vivono a pochi passi da noi. La forza dell’immaginazione sovrasta la realtà delle cose, come una gabbia di vetro che ci ripara dalle sofferenze patite o patibili.

Il rischio di rimanere delusi è la molla che fa scattare certe scelte orientandole su un terreno più sicuro che è quello della comunicazione internautica, molto spesso sterile e illusoria.

Se i giovani di ieri erano proiettati alla ricerca dell’amore guardando con fiducia alle possibilità offerte dal mondo reale, quelli di oggi sembrano sfuggire a qualsiasi verifica “sul campo” delle proprie aspirazioni sentimentali, preferendo esplorarle attraverso un’intensa attività di messaggi multimediali con interlocutori di cui, a volte, non si conoscono nemmeno le sembianze.

Va di moda il mito delle relazioni a distanza che fanno “effetto” fino a quando i partners non decidono di uscire allo scoperto mostrando tutto quello che hanno inteso nascondere o sottacere. Quasi sempre gli amori che nascono sul web falliscono al primo banco di prova con la realtà che è sempre diversa da come la si è immaginata.

E così l’infinito di uno sguardo stampato su una foto, di un’emozione rubata tra le righe di un post atteso a colpi di “connessione” si tramuta ben presto in qualcosa di circoscritto ed estemporaneo, pronto a sciogliersi come neve al sole non appena i turbamenti della vita quotidiana prendano il sopravvento.

La difficoltà di scommettere sui sentimenti reali, ma soprattutto di mantenerli a lungo a dispetto degli ostacoli che si frappongono sul proprio cammino, è una chiara controtendenza culturale che inibisce l’insegnamento all'amore, complice anche l’esperienza fallimentare di quei giovani di ieri, oggi adulti e in età matura, che si sono uniti con partners sbagliati aprendo così una crisi della famiglia “istituzionale” senza precedenti.

Non è facile trasporre sul piano reale l’idea dell’amore, ci vuole grande condivisione e unità d’intenti che le generazioni moderne non sembrano voler (o saper) affrontare. Non si ha voglia di conoscersi, di condividere un progetto di vita contemperando le proprie con le altrui esigenze affettive. Basta molto poco per andare a letto e dirsi addio al sorgere del sole o quando l’attrazione fisica esaurisce i suoi effetti.

Così l’eternità dei sentimenti provati finisce col restare impressa su qualcosa che trasmigra dalla propria anima, come una fotografia dai contorni sempre più sbiaditi. Baglioni, in una sua bellissima canzone, l’ha saputa ben rappresentare con questi versi:

Un azzurro scalzo in cielo
il cielo matto di marzo
e di quel nostro incontro
al centro tu poggiata sui ginocchi
e gli occhi tuoi per sempre nei miei occhi …

IL VENTO E LA POLVERE

Le strade si popolano di venditori ambulanti che mostrano in bella vista mazzi di crisantemi, gladioli od orchidee per omaggiare la commemorazione dei defunti. L’odore dei lumini aleggia nell'aria e si fa più intenso non appena si varca la soglia del cimitero per imboccare vialetti dai percorsi definiti che si conoscono a memoria.

Entro compunto e silenzioso nel giardino dei ricordi mescolandomi fra i tanti visitatori che come l’altro anno sembrano aver conservato lo stesso sguardo di malinconica riverenza, pronti anche stavolta a rendere gli onori ai propri cari secondo un vecchio copione tramandato dal tempo.

Vado da mia madre. Sulla lapide sono incise le parole della canzone che avevo scritto per lei e che di tanto in tanto le facevo ascoltare tra una pausa di studio e l’altra:

Mia madre ha gli occhi bagnati da un’eternità
e gli anni che sono passati son pieni di semplicità
E chiacchiera con una vicina
La senti cantare canzoni di ieri in cucina …”

Accanto a me una signora rivolge al suo caro estinto una preghiera tenendo tra le mani un rosario.

Mi vengono in mente gli anni trascorsi a Napoli. Lì la commemorazione dei defunti è qualcosa che va al di là del suo significato religioso. E’ un rito partecipato, colorito e a tratti folcloristico. Si parte la mattina presto con tutta la famiglia al seguito come se si dovesse fare una gita fuori porta. Ci si veste al meglio per presentarsi ai propri cari al massimo dell’eleganza; qualcuno si porta dietro seggiole pieghevoli per sedersi davanti alla lapide e persino panini e bibite da consumare ad una certa ora, perché il “giro” è lungo e ci vuole una giornata intera per far visita a chi non c’è più.

Fuori dal cimitero, poco lontano, si vedono bancarelle con tanti dolci, palloncini e bambini con la faccia tuffata nello zucchero filato. Come una festa che anticipa i sapori del Natale.

Penso che il legame che si ha con chi ti ha tanto amato non si spezzi mai. E questo giorno serve solo a rinvigorirlo, a farlo uscire per un momento dal tuo cuore per condividerlo con gli altri: “corrispondenza di amorosi sensi”, scriveva Ugo Foscolo nel suo capolavoro Dei Sepolcri.

E’ un rito che dovrebbe farci sentire tutti uguali nell'animo anche se dall'esterno non appare così: tombe spoglie di fiori che si contrappongono a sontuose cappelle di famiglia quasi a rimarcare certe differenze che si sono ostentate in vita.  Ma qui c’è Totò che c’insegna con la sua magistrale ‘A livella:

Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive: nuje simmo serie... appartenimmo â morte!". 
(“Queste pagliacciate le fanno solo i vivi. Noi siamo seri … apparteniamo alla morte!”).

Sono pensieri che mi rinfrancano. Esco dal “mio” giardino dei ricordi avvolgendomi nel cappotto. L’aria pungente è un anticipo dell’inverno che verrà. Ascolto il vento che solleva la polvere.
E mi sembra già di sentirla addosso.


Dedicato a mia madre

(Se vuoi leggere il testo integrale diMia madreclicca qui)

NON MI RICORDO PIU’ DI TE

Non mi ricordo più di te
Forse è passato un secolo o di più
Quando scrivevi poesie
scarabocchiando muri e vie
con i tuoi passi giovani e scomodi…”

Sono i versi iniziali della canzone omonima scritta nel 1996, dall'album “Una vita diversa”.
La storia di una scelta di vita non voluta ma imposta dalle circostanze, dopo essersi lasciati alle spalle gli anni della prima giovinezza in cui i sogni e le speranze erano ancora intatti e possibili.

Molte sono le reminiscenze con opere ben più famose e pregevoli: dall'immensa “Il sabato del villaggio” di Leopardi suggellata da un finale struggente e toccante:

Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita 
è come un giorno d'allegrezza pieno
Giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita…

… al “magnificoLorenzo de’Medici che recitava:

Quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia! 
Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c’è certezza …”   

Scegliere la vita che si vuole è un grande privilegio che richiede forza e convinzione ma anche un terreno fertile rappresentato dal sostegno familiare e dalla combinazione di un certo numero di fattori propiziatori, come l’agibilità sociale del proprio essere o il contesto economico più o meno favorevole.

Per le persone fortemente volitive gli ostacoli sono una sfida da vincere a tutti i costi, ma quanto questa forza deriva dalle proprie doti naturali o piuttosto dall'amore filiale che la sostiene? 

E’ la teoria dell’Uomo che cresce e si fortifica in quanto tale, che si contrappone a quella del condizionamento esterno che fa virare le proprie scelte in una certa direzione. I criminologi, ad esempio, ne fanno largo uso per cercare di spiegare le origini dirette o indotte delle azioni delittuose.

Si potrebbe ragionare per analogia sul piano della realizzazione del proprio progetto di vita. Tante sono le variabili che concorrono a renderlo più vicino o lontano dalle proprie aspettative. E ciò che poteva essere e non è stato è il rimpianto più doloroso che si possa mai patire.

In “Non mi ricordo più di te” accade una vera e propria dissociazione di due “anime” che per un certo periodo convivono nello stesso corpo fino a che l’una non riesce a sovrastare l’altra fino ad annullarla o a lasciarla nell’oblio più profondo.

Non mi ricordo più di te
e non so cosa resterà di te
Ora che il vento porta via
anche quest’ultima poesia
Storia sbagliata che nessuno mai saprà di te

(Tratto da “L'AQUILA NON RITORNA”)

LA MIA DONNA NON ESISTE - PARTE FINALE

Ho deciso di seguire Lavinia come un detective dell’ultima ora. La scusa di volersi sentire utile simulando la parte della lavoratrice impegnata non mi ha mai convinto. Oltretutto mia moglie è sempre stata vaga nel raccontarmi il resoconto della giornata, limitandosi a ragguagliarmi su generiche puntate ai negozi del centro o ai musei.

Da quando in qua ti piace l’arte?
“Non mi è venuta la passione per i quadri. Lo faccio per i custodi.
I custodi?
Quelli che vigilano nelle sale di esposizione. Sono così spenti e annoiati!”
Già, la frustrazione! Dì un po’, non sei mica diventata comunista?

Silenzio. Reazione tipica di Lavinia quando si sente alle strette. Non ho voluto indagare oltre e mi sono concentrato sul mio piano di “inseguimento” nei confronti di una donna divenuta improvvisamente misteriosa e sfuggente.

Una di quelle mattine mi sono svegliato prima di lei con la scusa di dover andare fuori città. Sono uscito alle 7:30 e ho postato la macchina dietro la chioma rigogliosa di un salice piangente, poco distante dalla fermata del bus. Alle otto in punto ecco Lavinia uscire dal portone e sistemarsi sotto la pensilina con la solita aria distratta e assente. L’autobus è arrivato puntualmente per la gioia dell’azienda dei trasporti ma nell'indifferenza generale del gruppo di pendolari che si è riversato silenzioso e disciplinato al portello per la salita. Ho iniziato l’inseguimento tenendomi a debita distanza dal mezzo pubblico ripetendo quasi meccanicamente quello che avevo visto fare in tanti films polizieschi.

L’aria pungente dell’autunno novembrino mi ha procurato un brivido nelle spalle, uno scossone che mi ha fatto riflettere sulla correttezza di ciò che stavo facendo. In fondo ciascuno di noi ha un lato nascosto della propria vita che vorrebbe tenere al riparo da qualsiasi interferenza esterna. E’ la  c.d. teoria degli spazi privati contro cui nessuno sarebbe legittimato ad entrare senza il consenso di chi li custodisce. Ho scacciato questo pensiero come una mosca al naso, convinto del fatto che il mio ruolo di marito esigesse quanto meno una spiegazione plausibile sulle sortite mattutine di Lavinia.

L’autobus è arrivato in Piazza Mercato fermandosi alla pensilina che fronteggia un negozio di erboristeria. Ho visto Lavinia scendere in tutta fretta e imboccare subito dopo una stradina laterale. Ho fatto appena in tempo a vedere mia moglie entrare da un portone, forse il primo a fronte di quella viuzza, e ho posteggiato la macchina sulle strisce gialle riservate ai disabili. “Mi beccherò una multa, ma fa niente.”

Mi sono precipitato nella stradina fermandomi davanti al portone da cui pensavo che Lavinia fosse entrata poco prima. Il portone è di quelli antichi con la scritta in mezzo all'arcata “Partito comunista italiano”. Mentre rimugino sulle targhette del citofono per decidere quale pulsante pigiare, vedo sbucare a tutta velocità una BMW scura che per poco non m’investe. D’istinto mi aggrappo alla maniglia del portone e mi volto verso il lunotto dell’auto: qui incrocio lo sguardo di Lavinia che dall'abitacolo sembra volermi dire qualcosa, forse una richiesta di aiuto.

L’hanno rapita!’, penso tra me. Lo squillo del cellulare mi ha fatto uscire dal fermo immagine in cui per un momento mi sono ritrovato osservando la scena del presunto rapimento di mia moglie. Sul display leggo il messaggio di Lavinia: “Ti spiego tutto quando torno a casa.”

Quelle parole mi hanno rassicurato abbandonando ogni proposito di andare alla polizia per reclamare un esercito di sbirri alla ricerca di una BMW che correva all'impazzata per la città. Sono rientrato a casa e ho atteso l’arrivo di mia moglie ascoltando le notizie del telegiornale: l’idea del rapimento non mi era completamente sfumata. Ad un tratto lo speaker fa il seguente annuncio: “Sparatoria all'acciaieria di via Croce. Tre persone sono entrate nell'ufficio di direzione e al grido ‘Viva le brigate rosse’ hanno aperto il fuoco uccidendo il presidente, l’amministratore delegato e la sua segretaria. Pare che alla base della strage ci sia la protesta di un gruppo di operai per le loro pessime condizioni di lavoro. Tra gli autori del pluriomicidio, anche una donna, una certa Lavinia Bellagamba …” Subito dopo viene mostrata la foto di mia moglie che dallo schermo sembra guardare proprio a me, muta ed inespressiva come l’avevo vista poco prima su quella maledetta auto scura.

Gli occhi mi si sono riempiti di lacrime offuscando quell'immagine fino a che non è svanita nel nulla.

LA MIA DONNA NON ESISTE

Racconto breve in due parti scritto da
Vittoriano Borrelli

Ogni riferimento a fatti o a persone reali è puramente casuale

La prima parte è stata pubblicata venerdì 2 ottobre 2015

FUORI DI ME

Fuori di me c’è tutto un mondo che gira imperterrito e indifferente ai miei segnali. La vita interiore, per quanti sforzi facciamo per condividerla con gli altri, appartiene solo a noi ed è, a volte, uno scudo che ci ripara dalle inquietanti perturbazioni esterne.

Gira il mondo gira nello spazio senza fine
con gli amori appena nati,
con gli amori già finiti.
con la gioia e col dolore
della gente come me …

Così cantava il compianto Jimmy Fontana nella sua canzone più famosa, “Il Mondo”, un manifesto universale che racchiude in sé una verità semplice e incontrovertibile: la vita che si rigenera e si rinnova continuamente nonostante la precarietà e la limitatezza del nostro vissuto, perché l’esistenza individuale ha un inizio e una fine, quella collettiva dura per sempre.

Si nasce e si muore soli, ma l’eredità di noi stessi è quanto di buono o di cattivo riusciamo a trasferire all'esterno, sicché il valore culturale di una società è tanto più alto quanto più l’amalgama delle singole individualità è in grado di produrre buone azioni e modelli di comportamento esemplari per la crescita di una comunità.

Raymond Aron, grande sociologo vissuto nel novecento, sosteneva che uno dei peggiori mali delle società totalitariste fosse l’affidamento ad un partito del monopolio dell’attività politica. In questo modo il rischio di far passare per vero ciò che è ideologicamente falso e tendenzioso è quanto di più minaccioso ci possa essere per lo sviluppo della cultura democratica.

Il totalitarismo di Aron si riscontra sotto mentite spoglie nelle società moderne, apparentemente democratiche, in cui la globalizzazione impedisce lo sviluppo della coscienza individuale che viene annientata o, nella migliore delle ipotesi, sommersa in nome di ideali di massa “induttivi”, ovvero imposti dall'alto, ma che non ci rappresentano.

Non c’è alcuna differenza tra i regimi dittatoriali e le organizzazioni politiche pluraliste in cui i centri di potere si trovano dappertutto, in ogni strato del tessuto sociale, persino quando devi acquisire un certificato per la patente di guida od essere costretto a rispettare lunghe liste d’attesa per una visita specialistica.

Oggi ciascuno di noi tende ad essere centro di potere di se stesso con una sopraffazione verso il prossimo che fa calare vertiginosamente il valore culturale dello stare insieme e, più in generale, della crescita sociale.

E’ la qualità scadente della coscienza individuale la spia dello stato di (cattiva) salute di una organizzazione sociale.

Fuori di me ci sono bambini che giocano con volti dipinti dello stesso sorriso. Donne e uomini che ballano in una festa in maschera a cui non partecipo e che mi spinge a rientrare nella mia stanza abbassando le tende.

LA MIA DONNA NON ESISTE

Da qualche mese mia moglie Lavinia esce tutte le mattine alle otto in punto. Nulla di strano se dovesse andare al lavoro o portare i bambini a scuola. Il fatto è che non abbiamo figli e l’unica occupazione preferita della mia consorte è sbrigare le faccende domestiche, cucinare o farsi trovare pronta per andare da qualche parte.

Quella della casalinga è sempre stato il sogno di Lavinia: “Voglio occuparmi di te e della casa”, diceva da fidanzati, “quando ci sposeremo sarò completamente a tua disposizione, giorno e notte” concludeva pronunciando l’ultima parolina con un sorriso ammiccante. Insomma, due cuori e una capanna secondo il disegno di Lavinia, donna minuta e un po’ “casual” ma con le idee ben chiare.

E invece, come dicevo, da qualche tempo Lavinia ha cominciato a dare segni di frustrazione del suo essere casalinga e moglie a trecentosessanta gradi. Tutto è iniziato con comportamenti più o meno espliciti: dalle attività culinarie scadenti e frettolose, come la pasta al burro o il riso scondito al posto di gustosi manicaretti, passando alle altre necessità quotidiane come i vestiti da portare in lavanderia anziché curarli personalmente o alle pulizie della casa, un tempo accurate, e adesso discontinue e superficiali.

Voglio uscire, fare qualcos'altro,” ha cominciato a protestare , “questa casa mi sta stretta”.

E così mia moglie ha preso a stare fuori tutto il giorno non per recarsi al lavoro ma facendo “finta" di andarci. “Di trovarmi un’occupazione non se ne parla, non c’è niente che mi piace. Facciamo così: ogni mattina esco come fai te ma con una differenza: tu al lavoro ci vai davvero, io invece farò finta di andarci, così m’illudo di tenermi impegnata.”

L’ho assecondata per il grande amore che ho per lei, ma da quel momento … non l’ho vista più! Si può dire che il ricordo quotidiano che ho di mia moglie è tutto racchiuso in un rito monotono e cadenzato della mattina presto che a volte mi fa pensare di essermelo soltanto immaginato. Ecco che la vedo svegliarsi alla sei in punto, andare in bagno, farsi la doccia, passare in cucina per preparare il caffè e tornare subito dopo in camera da letto per vestirsi e truccarsi con particolare premura come se temesse sempre di fare tardi. 

“Cos'è tutta questa fretta? Non devi mica andare al lavoro!”
“Ho il bus che mi parte alle 8:10, e poi lo sai.”
“Cosa?”
“Lo sai che mi piace farlo anche se solo per finta. Ma c’è anche un altro motivo.”
“Quale?”
“ Osservare le persone, le loro facce cupe e assonnate. Mi piace leggere nei loro occhi tutta la frustrazione per un lavoro che magari odiano e che invece sono costretti a farlo.”
“E hai bisogno di tutta questa messinscena? Basta che ti affacci alla finestra, la fermata del bus è proprio sotto casa. Puoi osservare la gente comodamente da qui.”
“Spiritoso!” 

Questa è più o meno la discussione che abbiamo quasi tutte le mattine. Ma non c’è verso per convincere Lavinia a ritornare ad essere quella di un tempo: una casalinga e una moglie perfetta. Anzi, a furia di praticare questo rito insolito ed inspiegabile è diventata anche lei una pendolare a tutti gli effetti: stesso sguardo vuoto e malinconico come se davvero fosse alle prese con un lavoro che non ama. 

A volte passando in macchina alla fermata dell’autobus la vedo confondersi con il solito gruppetto di lavoratori che quasi non la riconosco più. Come un camaleonte mimetizzatosi in mezzo ad una folla anonima da divenire una macchia umana fra le tante, senza volto e senza nome.

(continua)
(LA SECONDA PARTE SARA' PUBBLICATA SABATO 17 OTTOBRE. INTANTO PENSACI: DOVE ANDRÀ TUTTE LE MATTINE IL PERSONAGGIO DI LAVINIA?)

BACIAMO LE MANI

Il funerale-show di Vittorio Casamonica, boss della più potente criminalità organizzata di Roma, ha messo in luce ancora una volta una vecchia piaga del nostro “Bel-paese”: la fragilità (e connivenza) della politica incapace di produrre azioni efficaci e risolutive contro il malaffare e la corruzione.

In questa occasione, come in altre simili, si sono proliferati i vari “J’accuse” perché fa sempre comodo dare la colpa agli altri, trincerarsi dietro ad uno scaricabarile miseramente intessuto da una ragnatela metastatica che per molti versi si affilia alle strategie speculative tipiche delle organizzazioni criminose.

La mafia c’è perché c’è lo Stato che la rifornisce dell’insipienza e dell’opportunismo dei governanti, oratori di bassa lega che come i peggiori preti indossano indegnamente l’abito talare istituzionale, forgiandosi di moniti e di tendenziose ideologie sul corretto agire per poi comportarsi dietro le quinte esattamente all'opposto.

Nel caso dei Casamonica ha fatto scalpore non tanto la “festante messa in scena dell’ultimo saluto all'idolo di una combriccola più o meno numerosa, quanto piuttosto la reazione di sdegno degli ignoranti, ovvero di coloro che dovevano sapere e non hanno sentito o che, pur sapendo, hanno dolosamente omesso di agire.

E del resto la pioggia di petali di rosa fatta venire giù dai cieli di Roma è la dimostrazione grottesca di come si possa essere liberi agendo nel malaffare e, per converso, prigionieri accettando e subendo regole artefatte e precostituite.

Ancora una volta è la cultura che viene fatta retrocedere, o meglio la parte migliore del sapere a favore di una controcultura dominante che influisce negativamente sulle coscienze fino a privarle del loro fulcro di vita, ovvero la consapevolezza dell’umano sentire. Come un lavaggio al cervello tambureggiante che ti fa escludere tutte le opzioni migliori.

Negli anni di gioventù trascorsi a Napoli sentivo spesso discorsi del tipo “Devi essere fij e’ndrocchia”, cioè figlio di “buona donna” pronto a fregare gli altri. Parole crude e veraci che danno il senso  di ciò che è sbagliato e reietto e che invece viene fatto passare come l’unico modus operandi per (l’incivile) convivenza.

Oggi le cose non sono diverse da ieri.

Baciamo le mani, dunque, ai falsi eroi, a quelli che c’insegnano ad essere figli di puttana, furbi, scaltri, opportunisti. Perché così fan tutti, perché così va il mondo.

La logica della corruzione è tutta qui. Non servono leggi e leggine perché l’unica contromisura siamo noi.