L’ANNO CHE VERRA’


Il 2012 sta per volgere al termine e come spesso si fa in questi casi, è tempo di bilanci.

Non c’è stata la preannunciata fine del mondo ma quello che è accaduto nell'anno che stiamo per lasciare assomiglia molto alla profezia dei Maya, se non nelle previsioni di taluni interpreti e improvvisati esperti, almeno nella negatività di eventi che si sono abbattuti a ritmo quasi incalzante nella nostra società.

Come non ricordare, purtroppo, il naufragio della Concordia avvenuto il 13 gennaio (cfr post:”Il comandante Schettino in TV: si salvi chi può!) che ha provocato la morte di trenta persone, di cui due dispersi.

E ancora: il terremoto del 29 maggio che ha colpito le popolazioni dell’Emilia Romagna con 27 vittime (in maggioranza dipendenti di aziende distrutte) o il recente alluvione della maremma grossetana del 12 novembre che ha causato la perdita di cinque vite umane.

Vi sono state poi la grave crisi economica del Paese e gli scandali istituzionali della regione Lazio (cfr post: “Laziogate: scandalo al sole”) che in un certo senso hanno fatto da “apripista” ad altri esempi di “mala-politica”, come gli indebiti rimborsi percepiti da molti consiglieri della regione Lombardia.

Da ultimo, ma solo per cronologia e non per importanza, il sequestro degli impianti dell’ILVA (cfr post “ILVA: le stragi sommerse”) che ha riproposto questioni ataviche di mala-gestione a tutto danno della salute pubblica e dei lavoratori.

E’ stato un anno di molte lacrime e di pochissimi sorrisi, come la bella affermazione dell’Italia ai giochi olimpici di Londra che ha conquistato un decoroso ottavo posto con 28 medaglie complessive (8 ori, 9 argenti e 11 bronzi).  Ma anche qui, lo spettro del doping (cfr post: “Schwazer: fuga dalla vittoria”) ha gettato più di un’ombra sui valori della lealtà sportiva e della sana competizione.

E per finire un pensiero al grande Lucio Dalla, scomparso il 1 marzo scorso, autore di canzoni che hanno segnato un’epoca e un’eredità preziosa anche per le generazioni future, perché la buona musica non conosce mai i limiti del tempo.
La sua “L’anno che verrà” è forse una delle più belle ed appropriate per commentare la fine di un anno e l’inizio del nuovo con una verità di fondo: noi siamo ciò che siamo stati ma dal passato, anche doloroso e infausto, si può sempre emergere e sperare nel cambiamento.

Perché anch'io “mi sto preparando, è questa la novità!”






BUON NATALE


In questi giorni su Facebook e su altri siti web sta circolando una bellissima poesia che ha come tema l'albero di Natale dell'amicizia.

Non so chi l’abbia scritta.

Se qualcuno potesse darmi qualche informazione sarei ben lieto di complimentarmi con l'autore (o con l'autrice).

Per il momento spero di fare cosa gradita nel riportarla su questo blog dedicandola a tutti i lettori con sincero affetto.

Tu che ne dici o Signore, se in questo Natale 
faccio un bell'albero dentro il mio cuore
e ci attacco,invece dei regali,
i nomi di tutti i miei amici? 

Gli amici lontani e vicini. Gli antichi e i nuovi.
Quelli che vedo tutti i giorni e quelli che vedo di rado.
Quelli che ricordo sempre
e quelli che, alle volte, restano dimenticati. 

Quelli costanti e intermittenti.
Quelli delle ore difficili e quelli delle ore allegre.
Quelli che, senza volerlo, mi hanno fatto soffrire.
Quelli che conosco profondamente
e quelli dei quali conosco solo le apparenze. 

Quelli che mi devono poco e quelli ai quali devo molto.
I miei amici semplici ed i miei amici importanti.
I nomi di tutti quelli che sono già passati nella mia vita. 

Un albero con radici molto profonde
perché i loro nomi non escano mai dal mio cuore.
Un albero dai rami molto grandi,
perché i nuovi nomi venuti da tutto il mondo
si uniscano ai già esistenti.

Un albero con un'ombra molto gradevole,
la nostra amicizia sia un momento di riposo
durante le lotte della vita.

Concludo augurando a tutti Voi e ai Vostri cari un serenissimo ...
             …Buon Natale!

ANONIMO SANREMESE


L’annuncio di Fabio Fazio dei 14 “big” che parteciperanno al prossimo Sanremo 2013 ha fatto storcere il naso a diversi personaggi della critica e dello spettacolo.

Fiorello, ad esempio, ha parlato di “rottamazione” dei “vecchi” big che nelle precedenti edizioni della kermesse canora più importante dell’anno, hanno calcato le scene del Teatro Ariston raccogliendo applausi e consensi.

In effetti, leggendo il cast ufficiale dei cantanti in gara qualche riflessione critica sorge spontanea.

A parte “I Modà” (secondi nel 2011 con “Arriverà”),  Simone Cristicchi (vincitore nell'edizione 2007 con “Ti regalerò una rosa”), Elio e le Storie Tese (secondi a Sanremo 1996 con “La terra dei cachi”), e Daniele Silvestri (chi non ricorda la hit “Salirò”?), che possono vantare una storia musicale significativa, gli altri cantanti in gara o sono dei semisconosciuti o hanno un curriculum di poche righe.

Interpreti come Annalisa di “Amici, o come i reduci di “X Factor”, Marco MengoniChiara Galiazzo, pur bravi, non possono certamente considerarsi dei big anche se stanno cavalcando l’onda della popolarità del momento.

Gli Almamegretta (chi sono costoro? direbbe il buon Don Abbondio),  Marta sui Tubi e Simona Molinari con Peter Cincotti, hanno una discografia ancora tutta da definire.

E dal passato, recente o remoto ma non di certo glorioso, spuntano Malika Ayane (dalla voce stupenda ma ancora legata alle “foglie”), Raphael Gualazzi (vincitore nell'edizione 2011 nella categoria “Giovani”), Max Gazzè (eterna “promessa” mancata) e Maria Nazionale (che a Sanremo 2010 debuttò con Nino D’Angelo con il brano Jammo jà )

Insomma, quello della prossima edizione potrebbe essere un “Anonimo festival Sanremese” parafrasando il titolo di un film certamente più famoso e collaudato quale l’ “Anonimo Veneziano”.

Fazio ha spiegato che i criteri adottati sono stati quelli della contemporaneità e della qualità delle canzoni.

Non avendole ancora ascoltate non ci resta, per il momento, che fidarci augurandogli di fare centro!

NATALE IN CASA CUPIELLO


Messo in scena per la prima volta il 25 dicembre 1931, questo capolavoro di Eduardo De Filippo è ancora oggi uno dei più apprezzati ed amati dal pubblico (non solo nostrano), per aver superato a pieni voti qualsiasi giudizio critico fino a divenire una vera e propria perla della commedia napoletana.

Tante sono state le riproduzioni teatrali e televisive, tra le quali, -forse la più riuscita per intensità di interpretazione-, quella del 1977 che vede a fianco del Maestro Eduardo, una straordinaria Pupella Maggio (nel ruolo di Concetta, moglie del protagonista Luca Cupiello) ), il figlio dell’attore Luca De Filippo (nel ruolo di Tommasino, figlio di Cupiello), e Lina Sastri (nel ruolo di Ninuccia, l’altra figlia dei Cupiello).

La commedia, com'è noto, narra la storia di Luca Cupiello che si appresta a trascorrere il Natale allestendo con orgoglio e vanità un presepio che a suo dire sarà ancora più bello degli anni passati: “Pastorella, o’ terzo piano, mi ha incontrato per le scale e mi ha detto che lo fa pure lui il Presepio. Mi ha detto: “ facciamo la gara ”. Sta fresco …… Lo voglio far rimanere a bocca aperta. Ho fatto pure i disegni, i progetti.”

Ma Luca coltiva questa passione nell'indifferenza della famiglia: della moglie Concetta alle prese con i problemi della figlia Ninuccia, che intende lasciare il marito Nicola per l’amante Vittorio, e del nullafacente Tommasino, l’altro figlio che vive ancora in famiglia e che non lesina di disprezzare il presepio realizzato dal padre:
A me non mi piace. Ma guardate un poco, mi deve piacere per forza?”
Sublime il commento della moglie quando al richiamo del marito di fare attenzione al suo presepe esclama:
Lucarie’, tu stisse facendo a’ Cupola e San Pietro? E miettece duie pasture ncoppa, come vanno vanno….”
("Lucariello, manco stessi facendo la Cupola di San Pietro? Ma mettici due pastori sopra, come vanno vanno …").

Convinta dalla madre, Ninuccia desiste dal proposito di far recapitare al marito la sua lettera d’addio. Ma la missiva viene raccolta da terra dall'ignaro Luca che la consegna proprio al genero Nicola, in visita dai suoceri, pensando che l’avesse persa.
La tragedia è solo sfiorata grazie all’intercessione di Concetta che convince la coppia a non separarsi.

Nel secondo atto Tommasino arriva a casa con l’amico Vittorio, l’amante di Ninuccia, che viene invitato da Luca a cenare con loro una volta saputo che avrebbe trascorso da solo il Natale.
L’incontro con Ninuccia e con il marito di lei Nicola è inevitabile, e i due rivali minacciano di sfidarsi. Ma il tutto avviene senza che Luca se ne accorga, intento a mettere in scena con il figlio e il fratello Pasquale gli auguri natalizi per i regali destinati a sua moglie. Approfittando infatti di un momento in cui la moglie Concetta è in cucina per i preparativi della cena, Luca fa le prove di questa sorpresa e invita il figlio Tommasino a leggere la letterina di Natale scritta per la madre:
Cara matre, ho deciso: mi voglio cambiare. Preparami un bel regalo. Questo te lo dissi l’anno scorso e questo te lo dico anche adesso…
Cara matre, che il signore ti deve fare vivere cento anni, assieme a papà, a Ninuccia, a Nicolino e a me e cento anni pure a zi’ Pascalino, però con qualche malattia…”

Nell'ultimo atto il dramma è compiuto. Venuto a sapere della tresca della figlia con l’amante Vittorio, Luca si sveglia dall'illusione di aver creato una famiglia felice ed è a letto colpito da una malattia che gli procura difficoltà motorie e verbali.
Tutto il vicinato è al suo capezzale. Il medico rivela al fratello Pasquale che per Luca non c’è nulla da fare, gli rimane poco da vivere.
L’atto si chiude con Luca che rivolge a Tommasino l’ennesima domanda: "Te piace 'o presebbio?",
E questa volta il figlio risponde, commosso, con un “”.

Questa commedia, del genere tragicomico, racchiude in sé l’acuta rappresentazione del dramma popolare e l’arte, tutta napoletana, di affrontare i problemi con filosofia e improvvisazione.
Di elevato valore culturale, "Natale in casa Cupiello" fa ancora oggi emozionare e suscitare tanti sorrisi e qualche lacrima.
Ma è tanto bello piangere così!

ILVA: LE STRAGI SOMMERSE


Il sequestro degli impianti dell’acciaieria ILVA disposto dalla magistratura per le note inadempienze dell’azienda tarantina, ha scatenato un vespaio di polemiche e di contestazioni acuendo l’indignazione già suscitata per la violazione, sistematica e reiterata, delle norme sulla tutela dell’ambiente.

Il tema della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro e di quella, forse ancor più importante, dell’intera comunità della bellissima città di Taranto, ha prodotto una vera e propria insurrezione sociale senza precedenti, elevando da più parti un coro di (sacrosante) proteste ma favorendo, per converso, il passaggio mediatico del solito carrozzone nel quale si sono intrufolati gli ipocriti del potere, ovvero coloro che hanno a lungo brillato per la loro totale assenza o incapacità di decidere.

L’inquinamento industriale degli impianti dell’ILVA, ha generato nel periodo 2003-2009 un incremento vertiginoso del tasso di mortalità della popolazione tarantina rispetto alla media della regione Puglia: + 14% per gli uomini e  + 8% per le donne.

Sono questi i risultati del Rapporto Sentieri redatto per conto dell’Istituto Superiore della Sanità, nel quale vengono altresì specificate le tipologie delle malattie:
Per gli uomini +14% per tutti i tumori, + 14%  per le malattie circolatorie, +17% per quelle respiratorie, + 33% per i tumori polmonari, + 419% per i mesoteliomi pleurici.
Per le donne:+13% per tutti i tumori, +4% per le malattie circolatorie, +30% per i tumori polmonari, +211% per il mesotelioma pleurico.
Per i bambini, il tasso di mortalità è salito al 20% nel primo anno di vita e al 30-50% per le malattie di origine perinatale che si manifestano oltre il primo anno di vita. 

E’ un bollettino che suona a mò di strage subdolamente sommersa per anni di colpevole silenzio e di omesso controllo da parte delle Istituzioni preposte, che adesso paiono risvegliarsi dal torpore che le ha contraddistinte.

Come se non bastasse, il recente intervento del Governo con il decreto-legge 3 dicembre 2012 n. 207 (c.d.“sblocca sequestro”), finalizzato alla ripresa delle attività dell’azienda pur sotto la condicio sine qua non della puntuale osservanza delle prescrizioni a tutela dell’ambiente e dei lavoratori, ha scatenato il conflitto istituzionale tra i poteri dello Stato (legislativo e giudiziario), sicché la soluzione (all’italiana) proposta (produzione+salvaguardia ambiente e lavoratori) ha finito con lo scontentare un po’ tutti.

Resta il dato incontrovertibile di una morte annunciata, come di tante altre sciagure che si sarebbero potute evitare se solo ci fosse stata più coscienza nelle decisioni e nel controllo, mettendo al bando l’indifferenza e l’incapacità degli ignoranti.

Nell’attesa che il miracolo si compia, le ceneri dell’ILVA continueranno ancora a rabbuiare il cielo di Taranto allontanando il giorno in cui, al risveglio, le vittime di questa tragedia vedranno finalmente apparire ai loro occhi un mattino limpido e giusto.

LA COSCIENZA DI BATTIATO


C’era una volta la “coscienza di Zeno”, opera straordinaria di Italo Svevo in cui il protagonista vive il proprio malessere e senso di inadeguatezza nei confronti di una società che, nel prosieguo del racconto, scoprirà essere la vera responsabile dei “disordini” della sua coscienza.

Con “Apriti Sesamo”, l’ultimo album di Franco Battiato balzato in pochissimo tempo ai primi posti delle classifiche dei più venduti, scopriamo lo stesso malessere raccontato dal grande musicista siciliano con una raffinatezza poetica che lo ha ben contraddistinto nella sua lunga e brillante carriera professionale.

E’ forse l’album più bello dell’artista catanese per l’armonia delle musiche e le appropriate atmosfere sonore combinate con i testi che sembrano ritmi danzanti, osmosi di sensazioni  mirate a risvegliare le più sorde coscienze.

Rinfrancato dalla recente nomina ad assessore al Turismo e Spettacolo della Regione Sicilia, conferitagli dal neo presidente Rosario Crocetta, Battiato sembra rivivere con questo ultimo lavoro una seconda giovinezza, riproponendo quella floridezza di idee e di rinnovato impegno sociale già messi a costrutto fin dai tempi de “L’era del cinghiale bianco”.

L’album si compone di 10 inediti, tutti di ottima fattura: dal coinvolgente Un irresistibile richiamo, brano di apertura che evoca una sorta di nostalgia verso il nulla prenatale (“le tue ossa non sentono dolore, i minerali  di cui siamo composti … ritornano all'acqua.”) Quand'ero giovane brano quasi leopardiano in cui il rimpianto è vissuto come reazione ad un mondo che involve nell'evolversi (Viva la gioventù che fortunatamente passa senza troppi problemi …”)

E ancora da Passacaglia, primo singolo dell’album, che esorta il risveglio delle coscienze (Vorrei tornare indietro per rivedere il passato, per comprendere meglio quello che abbiamo perduto. Viviamo in un mondo orribile”) alla mistica Testamento (di cui è riportato qui sotto il video) (“Cristo nei vangeli parla di reincarnazioneFatti non foste per vivere come bruti ma per seguire virtude e conoscenza…”)

L’album si conclude con il brano che ne dà il titolo, “Apriti Sesamo”, dalla fiaba “Alì Babà e i quaranta ladroni” che Battiato racconta magistralmente per bocca della principessa Sherazade .
Sintomatica la parte finale in cui la fiaba termina al chiarore del giorno, quasi a voler sottolineare la magia dell’incanto che svanisce per le contaminazioni della realtà:  “A quel punto, sorto il giorno, Sherazade si interruppe e la fiaba finì.”
                                           
                                           BATTIATO: TESTAMENTO (Apriti Sesamo)


Ecco alcune date dei concerti programmati nel TOUR APRITI SESAMO LIVE 2013”:

21 Gennaio – TORINO Teatro Regio
28 e 29 Gennaio – BOLOGNA Europa Auditorium
31 Gennaio e 1 Febbraio – MILANO Conservatorio “G. Verdi
9 Febbraio – GENOVA Teatro Carlo Felice
20 e 21 Febbraio – ROMA Auditorium della Conciliazione
25 Febbraio – NAPOLI Teatro Augusteo
6 Marzo – COMO Teatro Sociale




VINCENZO MARINO: RACCONTI NAPOLETANI


Questo libro, ben scritto dall'esordiente Vincenzo Marino, racconta in chiave moderna e originale quattro storie diverse tra loro, ma tutte accomunate da quella sottile ironia e capacità di adattamento che da sempre contraddistingue il popolo partenopeo.

Sullo sfondo di una Napoli attanagliata dai problemi della criminalità, singola od organizzata, e dal disagio giovanile imperanti in un tessuto sociale storicamente stratificato, l’autore riesce, con prosa scorrevole ed efficace, a raccontare le vicende di quattro personaggi ben descritti e “caratterizzati” con l’oculatezza e la saggezza del più incisivo degli osservatori.

LA TRAMA: Nel primo episodio, “La particella di Dio”, un tredicenne racconta da una dimensione ultraterrena la sua breve esperienza di vita con lo sguardo rivolto ad un mondo in continua trasformazione che gli fa comprendere, come un Dèjà vu, il senso logico ed ineluttabile del suo percorso.
Nel secondo episodio, “Un patito dei programmi televisivi” è la volta di un pensionato, attento conoscitore della televisione, che regalerà a suo nipote un’eredità preziosa per la sua carriera professionale.
Nel terzo, “Ragazzi difficili”, il mondo delle arti marziali è descritto non solo come sfogo giovanile e di evasione alla vita anonima di provincia, ma anche come polo attrattivo della criminalità organizzata in cui la perdizione e la sopraffazione sembrano sferrare un duro colpo alla voglia di emergere e di distinguersi dal “branco”.
Nell'ultimo episodio, “ Storia di un matematico”, la soluzione geniale di una tesi matematica è raccontata dal protagonista come la “chiave di volta” della sua  emblematica esistenza.

L’AUTORE: Vincenzo Marino, napoletano, è laureato in Economia e Commercio ed è musicista e compositore, oltre che divoratore di libri.
Racconti napoletani” è la sua prima "fatica".  Per le sue ottime doti di scrittore non posso che augurargli di proseguire su questa strada.

UNA CHICCA DEL LIBRO: “Ma chi moriva veramente, e nessuno di noi se ne accorgeva, era mia madre. Dolce fiore di smeraldo come il colore dei suoi occhi, appassiva giorno dopo giorno. Solo che noi non ce ne accorgevamo, io troppo impegnato a vivere la mia adolescenza, mio padre troppo umiliato dalla sua vergogna.”

GIUDIZIO: Per essere agli esordi Vincenzo Marino dimostra un'ottima preparazione culturale e capacità narrativa. Le storie sono ben raccontate e coinvolgono il lettore nella riflessione e nel confronto con esperienze di vita molto forti e reali. La tecnica espositiva ricorda, per alcuni tratti, quella delle fiabe dei Fratelli Grimm in cui l’intreccio e la morale che ne scaturisce rappresentano il giusto connubio per fare di Racconti napoletani un libro da leggere fino all'ultima pagina. 

DOVE SCOPRIRE "RACCONTI NAPOLETANI":


DENTRO


Dentro” è una canzone che ho scritto nel 1984 alla soglia dei miei 23 anni.


Il brano racconta il duro prezzo da pagare per essere se stessi a dispetto dell’indifferenza, della disattenzione e, soprattutto, della non condivisione degli altri del proprio progetto di vita.

E’ un testo che, a distanza di quasi un trentennio, è ancora molto attuale perché descrive un disagio che si riscontra anche nelle nuove generazioni. Con una differenza: le inquietudini dei giovani dei miei tempi si risolvevano nella speranza di vedersi realizzare un diverso modello di riferimento che era quello dell’evoluzione del proprio contesto familiare e sociale.

I giovani di oggi non hanno un sogno da sognare mentre la speranza è messa a dura prova proprio dall’assenza di punti di riferimento cui identificarsi.

Resta il dato comune della dicotomia Dentro/Fuori come un’equazione difficile da risolvere se non attraverso l’ascolto del “vento della vita” inteso come momento di riflessione per accorciare la distanza tra ciò che siamo e ciò che desideriamo essere.


DENTRO


Quanta vita perduta c'è dentro
dentro gli occhi di chi sta piangendo
per il fumo che lo sta uccidendo
pochi anni gli sembrano cento
Questo gelo che arriva da dentro chi lo scioglierà mai?

Tu mi guardi negli occhi ma non parli
vuoi trasmettermi i tuoi anni
Che importanza avrebbe se
fossi proprio uguale me?
Tanto “fuori” tu non sei proprio come ti vorrei

E si sa che la vita di …dentro
ruota intorno allo stesso argomento
Noi chi siamo che cosa vendiamo?
Di noi stessi che cosa sappiamo?
Dentro è il mondo che stiamo vivendo
chi lo fermerà mai?

L'equilibrio dei sensi sta cedendo
ci violentano dall'esterno
Lo sappiamo solo noi
che qui dentro siamo eroi
ci lanciamo a testa dura
verso un'altra fregatura

…che ci distruggerà
e mille volte ancora speranza ci darà
E dentro siamo noi
assurdi e sempre noi
la testa all'infinito
e il vento intorno a noi
vicino come amico…



E L JAMES: CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO



Il romanzo della scrittrice inglese, primo nelle classifiche mondiali, è stato sostenuto da una capillare campagna promozionale che lo ha visto “troneggiare” nelle migliori librerie e persino nei reparti “a debita vista” dei supermercati. C’è da chiedersi se il successo ottenuto (3 milioni di copie vendute nella prima settimana) sia frutto della qualità dell’opera o, piuttosto, di una precisa strategia di marketing tesa a privilegiare il massimo delle tirature a colpi di scandalo.

Vero è che alla diffusione del libro ha contribuito non poco il “passaparola” delle lettrici su Facebook, particolarmente attratte dalle vicende erotiche dei due protagonisti della storia.

Il romanzo è il primo di una trilogia contraddistinta, accanto al titolo “Cinquanta sfumature” dai colori grigio, nero e rosso e c’è da giurarsi che le altre “consorelle” raggiungano lo stesso responso commerciale (come peraltro sta già avvenendo) per la felicità degli editori e dei librai di tutto il mondo.

LA TRAMA: Anastasia è una giovane studentessa, prossima alla laurea, che s’innamora del bellissimo Christian, manager affermato e ultra miliardario. Tra i due inizia una tormentata relazione sentimentale suggellata da una proposta contrattuale (si direbbe “indecente”, parafrasando un famoso film) in cui entrambi, con regole precise e codificate, accettano di sottoporsi a giochi erotici “particolari” assumendo i ruoli, rispettivamente, di “Sottomessa” e di “Dominatore”. Anastasia, pur non firmando la proposta, asseconda l’insolito “patto” fino a quando l’intensità del suo amore verso il ragazzo glielo permetterà …

LO STILE: Come per la maggior parte dei romanzi della letteratura anglo-americana, anche l’opera della James non sfugge ad una impostazione parametrica fondata su una “miriade” di dialoghi, alcuni dei quali inutili e pedanti, quasi a voler allungare oltre misura i contenuti della storia o a creare, alla stregua degli spot pubblicitari, le opportune pause tra una scena erotica e l’altra. I personaggi, anche quelli secondari, appaiono scontati e privi di qualsiasi analisi introspettiva.

L’AUTRICE: E L James, londinese, è all’esordio con questo romanzo che ha triplicato con i seguiti “Cinquanta sfumature di Nero” e “Cinquanta sfumature di Rosso”. Nelle varie interviste ha dichiarato che il suo sogno è sempre stato quello di scrivere “storie di cui i lettori si sarebbero innamorati.” Se sia riuscita nell’intento è un bel punto di domanda.

UN PASSO DEL ROMANZO: “Perché non ti piace essere toccato?”, domando guardando i suoi dolci occhi grigi. “Perché dentro ho cinquanta sfumature di tenebra, Anastasia”.

GIUDIZIO: Il romanzo, pur primo nelle vendite, non convince. Tanto eros che somiglia piuttosto a pornografia di strada. Il passaparola delle lettrici su facebook è un segnale che fa riflettere sulla qualità delle relazioni intime. Forse bisognerebbe far leva sull’educazione sessuale, a cominciare dalle scuole, per fare in modo che una realtà di comportamenti feticisti e violenti, pur attuale e crescente, non prevalga sui buoni sentimenti. L’amore è, come la libertà, un dono prezioso: tutto è lecito fino a che non si comprima la dignità e il rispetto per le persone.

SE ANCHE LA VITA FOSSE UNA LIVELLA …



La ricorrenza del 2 novembre mi fa ritornare alla memoria la bellissima poesia di Antonio De Curtis, in arte “Totò”,  ‘A Livella.

Questa straordinaria opera del grande comico napoletano è di una saggezza filosofica che ha pochi eguali nel panorama letterario internazionale, ed è ancora oggi uno dei capolavori più apprezzati e amati. Ne è una testiomianza la traduzione del testo in molte lingue e dialetti.

La poesia, com’è noto, racconta il diverbio fra due defunti, un marchese e un netturbino, dovuto alla vicinanza delle rispettive tombe: irriguardosa per il nobile che rammenta il suo passato glorioso e blasonato, irrilevante per il netturbino che gli ricorda che la morte ...”è una livella”, perché le differenze sociali invocate sono “pagliacciate che le fanno solo i vivi”.

La struttura e la scorrevolezza dei versi sono così ben impostate da far accostare l’opera ad un vero e proprio romanzo in cui la concisione e l’immediatezza dei significati e degli spunti di riflessioni  appaiono in tutta la loro compiutezza ed efficacia: il lettore nelle poche pagine di cui si compone la poesia  è coinvolto in un pathos emotivo ficcante e atemporale.

Come direbbe un noto presentatore e giornalista televisivo, una riflessione sorge spontanea: se il mondo dei più è cosi livellato, perché da vivi non si riesce a raggiungere questo fine sublime e supremo?

E, soprattutto, perché rinunciare a godersi una vera e propria uguaglianza sociale procrastinando questo valore assoluto, tanto decantato nei proclami, nel momento del trapasso ultraterreno?

Forse dovremmo visitare più spesso i cimiteri per ricordarci di quanto l’accanimento, i litigi, l’indifferenza e le prevaricazioni siano così vuoti e inutili al cospetto delle cose che contano veramente nel nostro vivere civile.

Se anche la vita fosse una livella …



'A livella1
(Originale in dialetto napoletano, 1953/64)

Ogn'anno, il due novembre, c'è l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

 St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio
(Madonna!) si ce penzo, che paura!
ma po' facette un'anema e curaggio.
 '
O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.
  
"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del '31".

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.
  
Proprio azzeccata 'a tomba 'e 'stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore;
pe' segno, sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo 'stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i 'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura... nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato... dormo, o è fantasia?

Ate che fantasia; era 'o Marchese:
c'o' tubbo, 'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'na scopa mmano.

 E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?

 Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo... calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!

Da Voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va, sì, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava, sì, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente".

"Signor Marchese, nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo, obbj'... 'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé... piglia 'sta violenza...
'A verità, Marché, mme so' scucciato
'e te senti; e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere... nu ddio?
 Ccà dinto, 'o vvuo capi, ca simmo eguale?...
...Muorto si' tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato è tale e qquale".

"Lurido porco!... Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale... Pasca e Ppifania!!!
T''o vvuo' mettere 'ncapo... 'int'a cervella
che staje malato ancora È fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?... è una livella.

'Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò,  stamme a ssenti... nun fa' 'o restivo,
suppuorteme vicino - che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie... appartenimmo â morte!". 

La livella
(Traduzione in italiano, 1953/64)

Ogni anno, il due novembre, c'è l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno deve fare questa gentilezza;
ognuno deve avere questo pensiero.

Ogni anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo di zia Vincenza.

 Quest'anno m'è capitata un'avventura ...
dopo aver compiuto il triste omaggio
(Madonna!) se ci penso, che paura!
ma poi mi diedi anima e coraggio.

Il fatto è questo, statemi a sentire:
si avvicinava l'ora di chiusura:
io, piano piano, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

 "Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del '31".

Lo stemma con la corona sopra a tutto ...
...sotto una croce fatta di lampadine;
tre mazzi di rose con una lista di lutto:
candele, candelotte e sei lumini.

 Proprio accanto alla tomba di questo signore
c’era un'altra tomba piccolina,
abbandonata, senza nemmeno un fiore;
per segno, solamente una piccola croce.

E sopra la croce appena si leggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardandola, che pena mi faceva
questo morto senza neanche un lumino!

Questa è la vita! tra me e me pensavo...
chi ha avuto tanto e chi non ha niente!
Questo pover'uomo s'aspettava
che anche all’altro mondo era pezzente?

Mentre rimuginavo questo pensiero,
s'era già fatta quasi mezzanotte,
e rimasi chiuso prigioniero,
morto di paura... davanti alle candele.

Tutto a un tratto, che vedo da lontano?
Due ombre avvicinarsi dalla mia parte...
Pensai: questo fatto a me mi pare strano...
Sono sveglio...dormo, o è fantasia?

Altro che fantasia! Era il Marchese:
con la tuba, la caramella e il pastrano;
quell’altro dietro a lui un brutto arnese;
tutto fetente e con una scopa in mano.

E quello certamente è don Gennaro...
il morto poverello... il netturbino.
In questo fatto non ci vedo chiaro:
sono morti e si ritirano a quest’ora?

Potevano starmi quasi a un palmo,
quando il Marchese si fermò di botto,
si gira e piano piano... calmo calmo,
disse a don Gennaro: "Giovanotto!

Da Voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

 La casta è casta e va, sì, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava, sì, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente".

"Signor Marchese, non è colpa mia,
io non vi avrei fatto questo torto;
mia moglie è stata a fare questa fesseria,
io che potevo fare se ero morto?

Se fossi vivo vi farei contento,
prenderei la cassa con dentro le quattr'ossa
e proprio adesso, in questo stesso istante
entrerei dentro a un'altra fossa".

"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Fammi vedere! prendi 'sta violenza...
La verità, Marchese, mi sono stufato
di ascoltarti; e se perdo la pazienza,
mi dimentico che son morto e son mazzate!

Ma chi ti credi d'essere...un dio?
 Qua dentro, vuoi capirlo che siamo uguali?...
...Morto sei tu , e morto son pure io;
ognuno come a un altro è tale e quale".

"Lurido porco!... Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

 "Ma quale Natale, Pasqua e Epifania!!!
Te lo vuoi ficcare in testa... nel cervello
che sei ancora malato di fantasia?...
La morte sai cos’è?... è una livella.

Un re, un magistrato, un grand’uomo,
passando questo cancello, ha fatto il punto
che ha perso tutto, la vita e pure il nome:
non ti sei fatto ancora questo conto?

 Perciò, stammi a sentire... non fare il restio,
sopportami vicino - che t'importa?
Queste pagliacciate le fanno solo i vivi:
noi siamo seri… apparteniamo alla morte!"
1 La livella è uno strumento usato generalmente da chi lavora nel campo dell'edilizia per "livellare" una superficie, cioè stabilirne l'orizzontalità. Totò, nella sua poesia 'A livella, la usa come metafora della morte, livellatrice di ogni tipo di disuguaglianza esistente tra i vivi.

ADDIO ALL’ULTIMO JEFFERSON



Se n’è andato il 24 luglio 2012, “silenziosamente” all’età di 74 anni nella sua casa di El Paso in Texas, Sherman Hemsley, l’attore di colore protagonista della sit-com televisiva “I Jefferson”, andata in onda nel decennio 1975-1985 con grandi ascolti e consensi.

Nella fiction Sherman interpreta George Jefferson proprietario di lavanderie che dal nulla riesce ad affermarsi e a diventare ricchissimo, guadagnandosi un posto nella èlite che conta in una New York ancora alle prese con i problemi della segregazione razziale.

Gli fa da spalla una bravissima Isabel Sanford  che nella sit-com interpreta Louise-Wizzie, moglie paziente che lo asseconda nella sua scalata al potere con una ironia degna del miglior humour inglese.

Tutti gli episodi ruotano intorno a questa coppia pregevole alla quale si affianca la “mitica” cameriera Florence interpretata da Marla Gibbs le cui battute esilaranti, sempre in contrapposizione con il “burbero” ma simpaticissimo padrone di casa , hanno contribuito a rendere la fiction  una delle più divertenti e amate dal pubblico televisivo e non solo.

Il filo conduttore della difficile integrazione fra “bianchi” e “neri” viene trattato con ironia ed eleganza grazie ad un cast di attori di primissimo livello, fra i quali Franklin Cover e Roxie Roker, rispettivamente Tom ed Hellen Willis, vicini di casa dei Jefferson e uniti in matrimonio nonostante la diversa etnia (l’uno “bianco” e l’altra “nera”), a dimostrazione di quanto le differenze razziali siano atavici pregiudizi e retaggi di un “passato” ancora molto “presente”.

Purtroppo quasi tutto il cast è passato al mondo dei più; sopravvivono solo la già ricordata Marla Gibbs (“Florence”), oggi 81 enne, Ned Wertimer, 89 enne, il portiere Ralph del palazzo dove vivono i Jefferson, e Berlinda Tulbert, 63 enne, che nella sit-com interpreta il personaggio Jenny, figlia dei Willis.

Per gli amanti del genere, sul canale satellitare 132 della piattaforma Sky sono in onda gli episodi di questa fortunatissima serie che ancora oggi fa divertire e sorridere il pubblico non solo dei nostalgici ma anche delle nuove generazioni: la buona comicità è un’arte che non conosce i limiti del tempo.

                                                        SIGLA TV DEI "JEFFERSON "


ORIANA FALLACI: QUEL CHE RESTA DI … UN UOMO.



Pubblicato nel 1979, il romanzo “Un uomo” di Oriana Fallaci ebbe un enorme successo (c.a. tre milioni e mezzo di copie vendute)  raccogliendo consensi da parte dei migliori esponenti della critica letteraria.

Il romanzo racconta la storia del rivoluzionario greco Alekos Panagulis, compagno nella vita della scrittrice, che tenta in tutti i modi di sovvertire il regime dittatoriale di Georgios Papadopoulos, leader della Grecia. Ma il golpe fallisce e Panagulis viene rinchiuso in carcere e condannato a morte.

La sentenza non viene eseguita e Panagulis ottiene la grazia. Uscito dal carcere incontra la Fallaci che lo intervista e s’innamora di lui. Inizia tra i due una tormentata storia d’amore che li porterà a fuggire in Italia cercando aiuto negli esponenti della politica nostrana per liberare la Grecia dal tiranno Papadopoulos.

Il rientro in Patria avviene poco dopo la caduta del dittatore e Panagulis si iscrive all’Unione di Centro- Nuove forze, diventa deputato ma non accetta le logiche del partito.

Dedicherà gli ultimi anni della sua vita nel tentativo di sovvertire il nuovo Papadopoulos identificato nel ministro della difesa Evangelos Averoff che verrà ucciso da dei sicari in un incidente stradale.

Chiede e ottiene dalla sua compagna la stesura di un libro sulla sua vita per essere ricordato ai posteri.

Bellissima e di pregevole stile letterario la parte del racconto in cui il protagonista, rinchiuso nel carcere in due metri quadrati di spazio intesse l’unica relazione possibile con uno scarafaggio:

A uno scarafaggio si può dire qualsiasi cosa ci venga in mente, perfino che il coraggio è fatto di paura, che in questi mesi avevi avuto spesso paura, che soprattutto ne avevi avuta quando era giunto il plotone di esecuzione. Loro non se n’erano accorti, ma obbligarti a quella calma e quella spavalderia era stata una fatica terribile: sulla motovedetta non ne potevi più. Anche un’ora fa non ne potevi più. E mezz’ora fa, e un minuto fa.”

Il romanzo della bravissima e compianta scrittrice fiorentina è di ottima fattura ma sarebbe oggi anacronistico per il depauperamento dei valori e degli ideali della politica, miseramente sommersi dai ripetuti scandali degli ultimi tempi.

L’uomo della Fallaci è l’eroe che combatte per gli ideali della Giustizia e della Libertà; l’uomo di oggi vive per se stesso e non ha punti di riferimento. Esercita il potere dell’immagine in una solitudine mediatica nella quale la moltitudine è la semplice equazione di tante individualità che non comunicano e che sono distanti tra loro.

E’ un libro da consigliare per gli amanti della raffinatezza letteraria e soprattutto per coloro che desiderano scoprire e identificarsi in valori autentici in grado di elevare e rivalutare quello che dovrebbe essere … un uomo!


RAMAZZOTTI FA SEMPRE BENE


Eros Ramazzotti, dopo tre anni di assenza, torna alla ribalta con il singolo “Un angelo disteso al sole”, che anticipa il nuovo album “Noi” in uscita dal 13 novembre prossimo.

Il cantautore romano è uno dei pochi artisti italiani ad essersi imposto nel mercato oltre frontiera collezionando successi e celebrità al pari delle più grandi star internazionali.

L’ex ragazzo della periferia di Roma ha avuto il merito di rimanere sempre se stesso non lasciandosi travolgere dall'onda del successo, ma riproponendo spesso nei testi delle sue canzoni quella solitudine esistenziale che appartiene soltanto a coloro che hanno a lungo sofferto  e che , ciononostante, sono riusciti ad emergere proprio grazie alla “forza” del dolore.

Come non ricordare canzoni memorabili come l’intensa “Lacrime di gioventù”, dall'album “Nuovi Eroi” pubblicato nel 1986 nel quale spicca la hit “Adesso tu”, vincitrice del Sanremo di quell'anno.

E ancora “Più bella cosa” del 1996, canzone dedicata forse al più grande amore della sua vita: quella Michelle Hunziker , oggi diva della TV, che proprio sul palco del teatro Ariston di qualche anno fa ammise davanti a milioni di telespettatori di aver provato emozioni forti solo verso l’ex compagno.

Le sue canzoni sembrano raccontare la storia della sua vita in una sorta di biografia in continuo divenire: dall'intimistica “Con gli occhi di un bambino” del 1986 nella quale Eros racconta frugali aspetti della sua infanzia, alla celebre “Un’ emozione per sempre”, brano dell’album “9” del 2003., con il quale l’artista sembra immortalare la sua esperienza sentimentale con la Hunziker imprimendola in un ricordo indelebile.

E adesso l’Eros nazionale si cimenta in una nuova fatica che ha tutti i presupposti dell’ennesimo successo di pubblico e di vendite.

Ricalcando lo slogan di un carosello degli anni settanta, antesignano della “Milano da bere”, si può proprio dire che ascoltare o “gustarsi” un Ramazzotti …fa sempre bene.

          UN ANGELO DISTESO AL SOLE

 Non chiedi libertà
Lo sai non sono io
A incatenarti qua
Il sentimento va
Già libero da se
Tu quanto amore dai
In cambio niente vuoi
Nell’attimo in cui sei
Purezza e fedeltà davanti agli occhi miei
Ma tu chi sei
Ci credi che non lo so dire
Un angelo disteso al sole
Che è caduto qua
Nuda verità
E fa l’amore anche l’anima
Ma tu chi sei
Il cielo ti ha lasciato andare
Un angelo disteso al sole
La natura che si manifesta in te
E in tutto quello che tu sfiori
E adesso che mi vuoi
Non devi fare niente che non vuoi
Il cuore non ci sta in una scatola
E tanto meno noi
Ma tu chi sei
Ci credi che non lo so dire
Un angelo disteso al sole
Che è caduto qua
Nuda verità
E fa l’amore anche l’anima
Ma tu chi sei
Il cielo ti ha lasciato andare
Un angelo disteso al sole
La natura che si manifesta in te
E in tutto quello che tu sfiori
Che tu sfiori
Ma tu chi sei
Ci credi che non lo so dire
Un angelo disteso al sole
Che è caduto qua
Nuda verità
E fa l’amore anche l’anima
Ma tu chi sei
Il cielo ti ha lasciato andare
Un angelo disteso al sole
La natura che si manifesta in te
E in tutto quello che tu sfiori
Che tu sfiori